Enrico Caruso: il "Fanciullo del West"

Il 2 agosto del 1921 moriva il leggendario tenore

La storia di Enrico Caruso, oltre ad essere la storia di un grande artista, è anche quella di un grande riscatto sociale. Apparentemente destinato, “per nascita”, com’era uso a quei tempi, a seguire le orme del padre, meccanico, la strada del giovanissimo Enrico si discosta da quella familiare grazie alla frequentazione dell’oratorio di don Giuseppe Bronzetti, dove fa le prime esperienze vocali come "contraltino" nel coro e, poi, da solista.

Caruso nasce a Napoli il 25 febbraio 1873. Dopo l’oratorio, le prime lezioni di canto a carattere dilettantesco, l'esordio sul palcoscenico del teatrino parrocchiale a quattordici anni, qualche trasferta nei caffè e negli stabilimenti balneari nei dintorni di Napoli, esibendosi con un repertorio che alla canzone napoletana unisce qualche celebre aria d’opera.

Nell'estate del 1891, avviene un secondo incontro importante, dopo quello con l’oratorio. Il baritono Edoardo Missiano lo nota e si offre di pagargli le lezioni di canto, stavolta professionali.

Il debutto nel grande repertorio avviene, però, solamente nell'aprile 1895, al teatro Cimarosa di Caserta, con Cavalleria rusticana. Si allarga, gradualmente, l’area geografica in cui Caruso si esibisce, come si ampliano i suoi contatti: il celebre tenore Fernando De Lucia lo ascolta e lo apprezza e, altrettanto, nel 1897, fa Nicola Daspuro, critico musicale, agente teatrale e librettista, che lo porta al Lirico di Milano. Con la sua intraprendenza, poi, Caruso si presenta a Puccini, conquistandone la stima e la fiducia.

Altre tappe importanti, ben ricostruite nel video qui proposto, Memorie - Fatti e persone da ricordare. Enrico Caruso, cantore di modernità, condurranno Caruso a Pietroburgo, a Mosca, a Buenos Aires e a Montevideo, al prestigioso Teatro Costanzi di Roma, ai riconoscimenti di Arrigo Boito, alla Scala per il concerto celebrativo della morte di Verdi, diretto da Arturo Toscanini, al San Carlo di Napoli, a Londra, a Lisbona e, infine, a New York, dove sbarca l'11 novembre 1903 e dove firma un contratto in esclusiva per la casa discografica Victor. Nemmeno due settimane dopo, con Rigoletto, il debutto al Metropolitan, dove resterà, a parte le tournée, per ben diciassette stagioni.

Enrico Caruso diventa presto una star internazionale, protagonista, spesso con Arturo Toscanini, di rappresentazioni che assurgeranno alla leggenda come quella di Manon Lescaut allo Châtelet e la prima assoluta di La Fanciulla del West, scritta per lui da Giacomo Puccini.

Il 23 marzo 1919, il Metropolitan festeggia il venticinquesimo anniversario della carriera di Enrico Caruso con un gala senza precedenti. Di lì a poco, però, si affacciano i primi, seri problemi di salute dovuti, anche, a un sovraccarico di lavoro. Durante una rappresentazione di Pagliacci, l'8 dicembre 1920, Caruso ha un malore, ma porta a termine la recita.

[…] per quel giorno era annunciata la mia recita di ‘Pagliacci’, mi alzai e mi accorsi che ogni piccolo respiro, ogni piccolo movimento, ogni piccola parola mi davano torture terribili al fianco. […] Resistetti per tutta la prima scena e proseguii magnificamente; arrivando all’arioso che cominciai splendidamente, sentii nell’andare innanzi che il dolore cresceva a misura dell’intensità del fiato immagazzinato e infatti, allorché arrivai alla frase finale e avendo caricato bene il mio mantice, nell’emettere la voce sentii come se un ferro rovente attraversasse tutte le vie respiratorie arrivandomi alla gola e producendomi un male enorme ed insopportabile, fino a strozzarmi completamente. Un altro al mio posto si sarebbe spaventato ed arrestato, ma data la mia esperienza, voltai in singhiozzi tutta la frase e l’effetto per il pubblico riuscì lo stesso ma per me fu terribile. Non appena calata la tela cascai di piombo nelle braccia del mio segretario singhiozzando a più non posso per il male che sentivo. Il pubblico applaudiva freneticamente e mi chiamava fuori, io non volevo andare ma il baritono mi trasportò fuori e traversando la scena singhiozzando e gridando come un bue ferito, fui trasportato quasi a braccia nel mio camerino. Il male era terribile e per ben venti minuti dovetti restare senza fiatare e mercé applicazioni fredde, calde e stimolanti mi rimisi. […] Si annunciò al pubblico che un dolore causato dalla caduta alla chiusa del primo atto, faceva ritardare di poco lo spettacolo. Mia moglie voleva che smettessi ma io, capa tosta, dissi no come Pio IX ed il secondo atto cominciò e finì bene fino alla fine ma mantenendomi il fianco sinistro con la mano dello stesso lato
Enrico Caruso

L’11 dello stesso mese, invece, deve lasciare la scena per una forte emorragia dalla gola. Il 24 dicembre, infine, appare in teatro, al Metropolitan, per la sua ultima performance, in La Juive di Jacques Fromental Halév. Il giorno dopo, la diagnosi: una grave pleurite da operare al più presto. L’intervento al polmone sinistro si svolge il 30 dicembre. Poi, la convalescenza in Italia, a Sorrento e il progressivo peggioramento che culminerà nella morte, a Napoli, il 2 agosto 1921, all’età di quarantotto anni.

Enrico Caruso è sepolto nella sua città natale, in una cappella privata del cimitero di Santa Maria del Pianto.

La critica, servendosi sia di testimonianze dell’epoca, sia delle registrazioni discografiche, è stata unanime nel reputare non indiscutibili le doti naturali del giovane Caruso. Tuttavia, con lo studio e con l’esercizio, il cantante seppe sviluppare una tecnica vocale del tutto personale (esposta in uno suo scritto), che gli permise di correggere quei difetti degli esordi.

Cosa occorre a un cantante? Un gran torace, una gran bocca, il novanta per cento di memoria, il dieci per cento di intelligenza, molto duro lavoro e qualcosa nel cuore
Enrico Caruso

Voce eccezionale, Caruso seppe farsi interprete dei cambiamenti in atto nel panorama operistico, sostituendo i manierismi ottocenteschi con un stile del tutto nuovo, sottolineando, col proprio temperamento, il tormento, la sensualità e la passionalità, soprattutto dei caratteri pucciniani e veristi, ma, anche, col fraseggio nitido, rendere in modo del tutto particolare tanti diversi personaggi verdiani.