Ludwig van Beethoven e Hector Berlioz: le note di sala di Daniele Spini

Ludwig van Beethoven e Hector Berlioz: le note di sala di Daniele Spini

Giovedì 9 e venerdì 10 maggio - Auditorium Rai di Torino, Andrés Orozco-Estrada e Emanuel Ax

Ludwig van Beethoven e Hector Berlioz: le note di sala di Daniele Spini
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Concerto n. 3 in do minore per pianoforte e orchestra, op. 37 (1798-1803)

Tessera centrale nella cinquina dei concerti per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven, il Terzo concerto prese forma circa sette anni dopo la composizione di quello che oggi conosciamo come Primo, e che era in realtà stato scritto dopo quello ufficialmente catalogato come Secondo, e tre anni prima del Quarto (il N. 5 “Imperatore” sarebbe invece nato nel 1809). La prima esecuzione ebbe luogo a Vienna, con Beethoven solista, il 5 aprile 1803. Beethoven aveva ormai al suo attivo capolavori imponenti come le prime tre sinfonie (l’Eroica però non era ancora stata presentata in pubblico), e stava entrando nel cuore del suo periodo di mezzo; quello al quale appartengono quasi tutte le sue composizioni destinate a una popolarità immediata e perenne, per il linguaggio eloquente e comunicativo, per una dimensione espressiva intensa e immediata, nei momenti più lirici come in quelli più tragici o eroici. Una fase alla quale senz’altro dimostra di appartenere il Concerto n. 3:
fra tutti il più drammatico, l’unico impiantato in una tonalità minore, forse non per caso nello stesso do minore che avrebbe caratterizzato pochi anni più tardi la Quinta sinfonia
Proprio la Quinta il Concerto sembra anticipare, anzitutto nell’inquietudine minacciosa del ritmo, fin dagli accenti incisivi e tragici dell’esordio, che contrappone fra loro archi e fiati per poi riunirli in una esposizione sinfonica vigorosa e infiammata. L’impostazione marziale, tipica di molti concerti per pianoforte fra Sette e Ottocento trova in questo primo movimento una variante assai intensa e imprevedibile, caratterizzata anche da una dialettica intensa fra uno strumento solista più che mai protagonistico e aggressivo e un’orchestra densa e moderna, con quattro coppie di fiati, corni trombe e timpani, e da una estrema ricchezza e diversità dei temi via via presentati e sviluppati. Un momento eccezionale poco prima della conclusione, quando il trillo con il quale come d’uso il pianoforte segnala la fine della cadenza anziché innescare subito il rientro vittorioso dell’orchestra, lo ritarda con l’imprevedibile ingresso dei timpani soli, in un episodio carico di mistero, ormai lontanissimo dal tradizionale impiego festoso di questi strumenti.

Molto diverso il clima del secondo tempo, senz’altro una delle pagine di lirismo più estremo di Beethoven, per la cantabilità gonfia ed elaborata dei motivi e il dialogo intenso fra solista e “tutti”. Tocca ancora una volta al pianoforte avviare il Rondò finale: movimentato e virtuosistico, ma sostanzialmente ancorato ai climi agitati del modo minore, finché l’impennata cadenzale del pianoforte non lascia esplodere il maggiore di una coda ampia e travolgente.
Con questa partitura Beethoven sembra adeguare alla sua grande e problematica maturità anche una dimensione compositiva apparentemente vincolata a una relativa leggerezza e a un’inevitabile spettacolarità come quella del concerto per strumento solista e orchestra: una svolta che i capolavori successivi, anche nel caso di pagine distesamente cantabili come il Concerto per violino, o maestosamente cerimoniali come l’Imperatore, non rinnegheranno davvero
 


Hector Berlioz (1803 - 1869)
Symphonie fantastique
episodi della vita di un artista in 5 parti per orchestra, op. 14 (1929 - 1930)

Nel 1830 Parigi ne vide delle belle. In febbraio la prima dell'Hérnani di Victor Hugo, con la battaglia in platea fra romantici e classicisti. In luglio la rivoluzione che mandò via Carlo X. Molto meno chiasso, nonostante il bel successo, destò il 5 dicembre la prima esecuzione al Conservatorio della Sinfonia fantastica di Hector Berlioz. La partitura era nata con tempi relativamente brevi. È del giugno 1829 l'accenno alla voglia di scrivere una "immensa composizione strumentale". Berlioz aveva venticinque anni e mezzo e non moltissimo al suo attivo, come compositore: adesso aspirava a far le cose in grande, spinto anche dall’amore del tutto unilaterale per  Harriet Smithson, l'attrice irlandese che nel 1827 aveva visto recitare Ofelia nell’Amleto del suo amatissimo William Shakespeare, rimanendone entusiasta pur non conoscendo l’inglese. Ne era tuttora innamoratissimo, con tutto che non ci avesse mai scambiato parola. Harriet era tornata in Inghilterra, e Berlioz vagheggiava l'idea di andare fino a Londra per far eseguire, davanti a lei, l'opera ancora da scrivere.Non ne parlò più fino al gennaio del 1830:

S'ella potesse concepire tutta la poesia, tutto l'infinito d'un simile amore, volerebbe nelle mie braccia, dovesse morire del mio amplesso. Ero sul punto di cominciare la mia grande sinfonia (Episodi della vita d'un artista), nella quale la storia della mia infernale passione dovrà essere dipinta; l'ho tutta in testa, ma non riesco a scrivere niente. Aspettiamo 

Poi Harriet Smithson tornò a recitare a Parigi, ma senza fortuna. Berlioz disingannato riprese il lavoro facendo tutt'uno del degrado artistico e di quello morale che era arrivato a immaginarsi, forse per qualche pettegolezzo sulla vita privata di lei; l'amata divenne per lui una strega lussuriosa, aiutando lo spasimante deluso a trovare il finale demoniaco capace di "impressionare fortemente" l'ascoltatore. A maggio la partitura era pronta. Per presentarla al pubblico Berlioz raccolse centotrenta strumentisti al Théâtre des Nouveautés, dove però ce n'entravano meno della metà; subito dopo l'inizio delle prove il teatro annullò il concerto. Nel frattempo si era innamorato di un'altra, la pianista Camille Moke: per farla sua, giocò la quinta scommessa con il Prix de Rome e finalmente vinse, con il Sardanapale. Poi riuscì a condurre in porto la prima esecuzione della Fantastica, scegliendo bene la data: quella sera stessa Harriet Smithson dava all'Opéra una serata d'onore; la storia all'origine del programma della sinfonia era stata pubblicizzata a dovere da Berlioz, destando in molti la curiosità di ascoltarne la narrazione musicale poche ore prima che Harriet salisse sul palcoscenico.  

Al pubblico Berlioz offrì questo "programma":

Un giovane musicista, dalla sensibilità morbosa e dall'immaginazione ardente, s'avvelena con l'oppio in un accesso di disperazione amorosa.  La dose del narcotico, troppo debole per dargli la morte, lo piomba in un sonno greve accompagnato dalle visioni più strane, e durante il quale le sensazioni di lui, i suoi sentimenti, i suoi ricordi si traducono, nella sua mente malata, in pensieri e immagini musicali. la donna amata è ella stessa divenuta, per lui, una melodia, quasi un'idea fissa ch'egli ritrova e ode dovunque.

1 - Sogni, passioni
 Dapprima egli ricorda quella sofferenza dell'anima, quel vuoto delle passioni, quelle melanconie, quelle gioie senza causa ch'egli aveva provato prima d'aver visto colei che ama; poi l'amore vulcanico ch'ella gli ha ispirato d'un tratto, le angosce deliranti, i furori di gelosia, i ritorni di tenerezza, le consolazioni della fede.

2 - Un ballo
Egli ritrova l'amata a un ballo, in mezzo a una festa brillante.

3 - Scena nei campi
Una sera d'estate, in campagna, egli ascolta due pastori che intonano dialogando un “Ranz des vaches”; questo duetto pastorale, il luogo ove si svolge la scena, il lieve mormorio degli alberi, dolcemente agitati dal vento, certi motivi di speranza ch'egli ha da poco concepito, tutto concorre a restituire al suo cuore una calma insolita, a dare ai suoi pensieri un colore più sorridente: ma di nuovo ella appare, il cuore di lui si stringe, dolorosi presentimenti lo turbano; se ella lo ingannasse... Uno dei pastori riprende la sua ingenua melodia, l'altro non gli fa più eco. Il sole si corica... lontano rumore di tuono... solitudine... silenzio...

4 - Marcia al supplizio
Egli sogna d'aver uccisa colei che amava, d'esser condannato a morte, condotto al supplizio. Il corteo s'avanza al suono d'una marcia, ora cupa e feroce, ora brillante e solenne, nella quale un rumore sordo di passi gravi succede senza trapasso alle esplosioni più  brucianti. Da ultimo, l'idea fissa ricompare per un attimo, come un ultimo pensiero d'amore interrotto dal colpo fatale.

5 - Sogno d'una notte di Sabba
Egli si vede ora al Sabba, frammezzo a una torma d'ombre orrende, di streghe, di mostri d'ogni sorta riuniti per i suoi funerali. Rumori bizzarri, gemiti, scoppi di riso: grida lontane alle quali altre grida paiono rispondere. La melodia-amata torna a comparire: ma ha perduto il suo carattere nobile e timido; non è ormai altro che una melodia di danza ignobile, triviale, grottesca: è ella che giunge al Sabba... Ruggiti di gioia al suo arrivo... Ella si mescola all'orgia diabolica... Rintocchi a morto, parodie burlesche del Dies Irae. Ronda del Sabba. La Ronda del Sabba e il Dies Irae insieme.

Autentico spartiacque nella storia della composizione sinfonica, la Fantastica inaugura la vicenda tutta ottocentesca e romantica della musica a programma, alla quale la cultura europea per giustificare la presenza di intenzioni extramusicali cercò di trovare un precedente in Ludwig van Beethoven, visto come padre della musica moderna. Berlioz volle identificarlo nella Sinfonia pastorale: nei suoi cinque tempi in luogo dei quattro classici, come nella Fantastica, e nelle sue intenzioni descrittive, dichiarate anche se ben più lievi e stilizzate. Si spinse però molto più in avanti, introducendo nella storia della grande forma il concetto di una composizione “ciclica”, che vedeva lo stesso materiale tematico tornare nei diversi movimenti. In questo caso l’idéé fixe che nella Fantastica identifica l’amata, e che giunge a interrompere con le sue comparse la relativa normalità costruttiva del primo tempo, la quiete provvisoria della Scena nei campi, la condotta leggera del Ballo, la tragicità paradossale della Marcia al supplizio - riciclaggio di un pezzo giovanile - e un ultimo movimento tutto diabolico secondo un preciso indirizzo di certo romanticismo francese. 

Ma al centro della Fantastica c’è anzitutto il suono

Primo forse fra tutti i musicisti della storia Berlioz eleva il fatto timbrico a parametro costruttivo della composizione stessa. Il trattamento dell’orchestra è stupefacente per genialità e novità di intuizioni, accogliendo colori come quelli del clarinetto piccolo, del corno inglese, delle campane, di due tube e quattro timpani. Imprestiti dalla buca dell'opera, ricca di colori e di "effetti speciali", che generano spesso una sensazione quasi di tridimensionalità del suono, in una concezione spaziale che per decenni in sede sinfonica fu quasi soltanto sua, e che fa da scena al racconto proposto da gesti musicali come le metamorfosi dell'idée fixe e degli altri motivi o le onomatopee sonore, da una scrittura ritmica aguzza e plastica, da una scrittura sulfurea, a volte avveniristica, come nella Marche au supplice, composta quando era ancora vivo Beethoven.

L'anno successivo Berlioz proseguì la traduzione in termini di romanzo musicale della sua immaginaria avventura con Harriet Smithson. Stando a quanto ci racconta, durante il soggiorno in Italia che gli spettava come vincitore del Prix de Rome, disperato per esser stato tradito da Camille Moke aveva vissuto un'esperienza strana, un tentato e prevedibilmente fallito suicidio. Ne doveva discendere, secondo una regia ben calcolata degli avvenimenti emotivi,  un "ritorno alla vita".  Ed eccolo comporre Lélio, ou le Retour à la vie, curiosa insalata di forme diverse con tanto di melologo per chiarire ulteriormente a uso e consumo di Harriet Smithson, tornata a essere il centro delle sue attenzioni, le cose dette nella Fantastica. Berlioz riuscì a far presenziare Harriet al concerto che nel dicembre 1832 unì la Sinfonia fantastica alla sua stramba appendice. Fu un trionfo per lui ventinovenne, acclamato fra gli altri da Frédéric Chopin, Franz Liszt, Victor Hugo e Alexandre Dumas, e anche la premessa perché i due facessero finalmente conoscenza. Berlioz non ebbe pace finché non ebbe fatta Harriet sua moglie; ma meno ancora ne ebbe quando il disgraziatissimo matrimonio fu realtà, fino al giorno che lo vide filarsela da casa dopo aver portato via alla chetichella, giorno dopo giorno, biancheria ed effetti personali.

Come sempre in lui la realtà mostrava banale, se non addirittura squallido, ciò che la fantasia e l’arte avevano reso per sempre unico e sublime