Il 15 dicembre 2000 viene firmata a Palermo la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. Aderiscono 189 paesi, che si impegnano a recepire nella propria legislazione nazionale misure di contrasto, prevenzione e cooperazione nella lotta contro le mafie. Un risultato storico e fondamentale, poiché le associazioni criminali non operano nel territorio in cui sono nate, ma con un raggio d’azione a livello mondiale. Il percorso per arrivare a questo traguardo parte da molto lontano: fra i primi a teorizzare una collaborazione tra gli Stati per contrastare l’azione dilagante delle mafie è il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici. Dopo l’omicidio del magistrato il 29 luglio 1983, A dare seguito a queste intuizioni a metà degli Ottanta sarà Giovanni Falcone, sfruttando i suoi rapporti con l’Fbi e con le Procure dei vari paesi europei.
Maxi+25: il documentario di Rai Storia realizzato a 30 anni di distanza per ricordare la storica sentenza di primo grado che condannò centinaia di uomini d’onore e svelò all’Italia i segreti della mafia siciliana. Il “mostro processuale”, come lo definisce Pietro Grasso memoria storica del processo, è lo spartiacque della storia siciliana, l'anno zero della lotta alla mafia e il primo avvenimento giudiziario divenuto evento televisivo.
23 maggio 1992, nel tragitto da Punta Raisi a Palermo, all'altezza dello svincolo autostradale di Capaci, una esplosione di inaudita potenza investe la Fiat Croma blindata su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone e le due auto della scorta. Falcone è, insieme a Borsellino, il simbolo della lotta dello Stato alla mafia, esemplificata dal maxiprocesso, che mette alla sbarra i più importanti boss di Cosa Nostra e termina, il 16 dicembre 1987, con la condanna per 360 dei 475 imputati. Nell’esplosione, perdono la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro.
“Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola”. Anche queste parole fanno parte dell’ eredità lasciata agli italiani, da un eroe dello Stato che ha dato la vita nella lotta alla mafia: il magistrato Paolo Borsellino, strappato alla vita, in un attentato, a 57 giorni dalla strage di Capaci, nella quale perse la vita il suo collega e amico, Giovanni Falcone, insieme alla moglie e agli agenti della scorta. Il 19 luglio 1992, nel pomeriggio, un boato risuona in via D’Amelio, a Palermo: è l’esplosione di un’autobomba con 50 chili di tritolo che uccide, con il giudice del pool anti mafia, cinque uomini della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
17 febbraio 1992. Il PM della Procura di Milano Antonio Di Pietro ordina l’arresto di un esponente milanese del partito socialista, Mario Chiesa, colto in flagrante mentre prende una mazzetta di sette milioni di lire da un imprenditore. Quella che sembra una notizia di malaffare locale dà vita a un gigantesco effetto-domino che nel giro di pochi mesi arriva a travolgere i partiti della Prima Repubblica. Il nuovo appuntamento con “L’Italia della Repubblica” con un’introduzione di Paolo Mieli, ripercorre il periodo che va dall’arresto di Mario Chiesa all’apertura del processo Enimont, nell’autunno del ‘93. Ospite in studio, intervistato da Michele Astori, il giornalista Giulio Anselmi, oggi Presidente dell’Agenzia Ansa e all’epoca di Mani Pulite condirettore del “Corriere della Sera”.
La lotta dello Stato alla mafia ha radici lontane. La prima commissione parlamentare antimafia nasce nel 1962. È il 1992 quando le stragi di Capaci e via d’Amelio fanno piombare il paese in un dramma che sembra senza uscita. Gli eccidi in cui perdono la vita Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, e poi Paolo Borsellino, con i loro agenti di scorta, scuotono il paese da un torpore lungo anni e rappresentano uno spartiacque della storia italiana. Lo racconta questa puntata della serie “L’Italia della Repubblica”, introdotta da Paolo Mieli. Ospite in studio il Presidente del Senato Pietro Grasso, magistrato fin dai primi anni 70, poi giudice a latere nel Maxiprocesso, Procuratore di Palermo e Procuratore Nazionale Antimafia. Intervengono inoltre gli storici Salvatore Lupo e Isaia Sales e il giornalista Francesco La Licata.
Il documentario biografico racconta la vita di Giovanni Falcone. Attraverso interviste, testimonianze e immagini del passato il video descrive il percorso professionale ed esistenziale del giudice assassinato a Capaci dalla mafia il 23 maggio 1992 insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta.
Per la prima volta sullo schermo, le parole pronunciate da Paolo Borsellino davanti al C.S.M. che gli italiani non hanno mai ascoltato. Il 31 luglio 1988 il giudice viene convocato davanti al C.S.M. a causa delle interviste rilasciate a “La Repubblica” e “l’Unità”, nelle quali denunciava il preoccupante stato di smobilitazione del pool antimafia di Palermo. Borsellino, minacciato dall’ombra di imminenti provvedimenti disciplinari, parla per oltre 4 ore davanti al Consiglio Superiore, condannando con forza l’inadeguatezza dei mezzi di contrasto attivati dallo Stato contro la Mafia. Il pomeriggio dello stesso giorno verrà ascoltato Falcone. Brani di queste audizioni tesissime, mai rese pubbliche integralmente, sono raccontate in “Paolo Borsellino Essendo Stato”, il film documentario di Ruggero Cappuccio, che offre anche uno spaccato sulla vita del giudice palermitano.
Per il ciclo Diario Civile, un ricordo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con l'introduzione del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.
L’indagine privata di Dora, una ragazza alla soglia dei trent’anni che cerca notizie sul nonno, ucciso dalla mafia cinque mesi prima che lei nascesse.
Aiutano Dora Dalla Chiesa a ricostruire la vita del Generale i giudici Gian Carlo Caselli e Armando Spataro, l’ex Generale dei Carabinieri e dei servizi Giampaolo Sechi, l’ex ministro democristiano Virginio Rognoni, il giornalista Attilio Bolzoni, il figlio di Pio La Torre Franco e il giudice che disvelò le attività della loggia P2 Giuliano Turone.
Classe 1952, originario di Canicattì, uomo mite e religioso, magistrato appassionato. Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di Agrigento, mette in ginocchio la “stidda”, applicando i metodi investigativi di Giovanni Falcone. A Rosario Livatino, assassinato a 38 anni dalla criminalità organizzata, è dedicata la puntata di “Diario Civile” dal titolo “Il ragazzo con la toga”, con un’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti. Il documentario, firmato da Alessandro Chiappetta rende omaggio a un protagonista dell'antimafia spesso poco ricordato, raccontando la sua vita familiare, la sua fede e le vicende legate al suo omicidio.
La Napoli in fermento culturale, artistico, musicale. Ma anche la Napoli della “guerra” dove si affrontavano a colpi di omicidi i clan della Nuova Famiglia, il cartello avversario della Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. E’ la città degli anni ‘80, quella di Giancarlo Siani, il giovane cronista del “Mattino” ucciso il 23 settembre 1985.
La vicenda di Siani viene rivisitata dalla nipote Ludovica, anche lei giornalista, e rivive attraverso le affettuose testimonianze del fratello Paolo, dell’amica Chiara Grattoni, oltre alle ricostruzioni di Roberto Saviano, Maurizio De Giovanni, Luigi Necco, Sandro Ruotolo, Alessandro Barbano, direttore del Mattino, e molti altri.
Cronista appassionato e scrupoloso, corrispondente da Ragusa del quotidiano palermitano “L’Ora”, Giovanni Spampinato ha soltanto 26 anni quando viene ucciso con sei colpi di pistola.
Nel dopoguerra, a Ragusa vengono trovati giacimenti di petrolio che rappresentano una fonte di prosperità per la popolazione. Spampinato segue la crescita della sua città che diventa centro di sviluppo del malaffare economico della Sicilia, crocevia di traffici di armi e droga, rapporti con la mafia, e anche luogo nevralgico dell’eversione di destra degli anni Sessanta, con campi di addestramento di stampo paramilitare delle organizzazioni neofasciste.
"La cosa peggiore che possa accadere, e’ essere ucciso. Io non ho paura della morte… e so benissimo che possono colpirmi in ogni momento” . Suonano come una premonizione le parole del giudice Rocco Chinnici, nel giorno in cui ricorre la sua morte. Aveva 58 anni quando esplode un autobomba, una Fiat 127, parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Federico Pipitone a Palermo. Con Chinnici muoiono il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. Ad azionare il detonatore è il killer mafioso Pino Greco. Si spegne così , il padre fondatore del pool antimafia, di cui facevano parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.
Sei donne in Polizia, di scorta a uomini delle istituzioni e magistrati impegnati contro la criminalità: persone che con dedizione e passione, vivono il loro impegno civile, giorno per giorno. Le racconta il documentario di Alessandro Chiappetta “All’altezza degli occhi. La vita delle donne delle scorte”, realizzato in collaborazione con la Polizia di Stato per il ciclo “Diario Civile”, con un’introduzione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Il documentario è anche un omaggio ad Emanuela Loi, la prima donna della Polizia a restare uccisa in servizio, proprio nella strage di via D’Amelio.
A Palermo nel quartiere Brancaccio, un commando di Cosa Nostra uccide don Giuseppe Puglisi. Parroco da tre anni del rione, il sacerdote non aveva esitato a contrapporsi con grande coraggio ai boss della zona, soprattutto battendosi per sottrarre alla loro influenza i bambini altrimenti destinati al reclutamento criminale. Per l’omicidio di don Pino Puglisi verranno condannati all’ergastolo il boss Giuseppe Graviano, ritenuto il mandante, e, a 16 anni di detenzione, Salvatore Grigoli, ritenuto l’esecutore materiale.
Il 19 marzo 1994 viene ucciso Don Giuseppe Diana, parroco di Casal di Principe. Negli anni la sua figura è diventata un’icona non soltanto per la chiesa ma per tutto il territorio casertano, per molto tempo regno incontrastato del clan dei Casalesi.
Roberto Saviano ricorda il suo rapporto col sacerdote la cui vicenda avrebbe ispirato il pentimento di alcuni camorristi.
L’eredità del sacerdote è nel lavoro di Libera, che nelle terre confiscate ai clan nel casertano, opera tutt’oggi con cooperative agricole che promuovono i prodotti tipici del luogo nel nome di Don Diana. A ricostruire la vicenda, saranno i familiari e gli amici del sacerdote, giornalisti ed esperti di camorra, oltre ai giudici Franco Roberti, Francesco Curcio e Raffaele Cantone.
E' il 9 maggio del 1978. Mentre l’Italia è sotto choc per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, a Cinisi, in Sicilia, Peppino Impastato muore, a 30 anni, dilaniato dall’esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia. Sin da giovanissimo, Peppino si è battuto contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le collusioni con la politica. A dare l’ordine di uccidere Impastato è il capo indiscusso di Cosa Nostra negli anni Settanta, Gaetano Badalamenti, bersaglio preferito di Peppino in “Onda Pazza”, il programma di punta di Radio Aut, la Radio libera che lo stesso Impastato ha fondato a Cinisi nel 1977.
5 gennaio 1984 - Ore 22.00, lo scrittore, giornalista e sceneggiatore Giuseppe Fava viene ucciso da 5 proiettili alla nuca. A sparare è la mafia. Nato il 15 settembre del 1925 in provincia di Siracusa, Fava affianca al giornalismo una brillante carriera di drammaturgo: il film “Palermo or Wolfsburg”, tratto dal suo romanzo “Passione di Michele”, vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1980. Nello stesso anno, gli viene affidata la direzione del “Giornale del Sud” e ne fa un quotidiano coraggioso, in prima fila nel denunciare le attività mafiose a Catania. Licenziato dal “Giornale del Sud”, continua la sua campagna antimafiosa sulla rivista “I Siciliani” , in cui pubblica l’anno prima un’inchiesta-denuncia (“I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa”) sui collegamenti fra quattro importanti imprenditori catanesi e il clan di Nitto Santapaola.
Il 23 novembre 1980, un terremoto violentissimo sconvolge gran parte del sud Italia, facendo quasi tremila vittime e causando 280mila sfollati. Ad essere colpito, anche Pagani, un paese nel salernitano, dove è sindaco l’avvocato Marcello Torre. Torre è in mezzo alla gente la notte della scossa, a coordinare i primi soccorsi, e sarà in prima linea per i giorni successivi al sisma. Si opporrà fermamente alle infiltrazioni criminali negli appalti per la ricostruzione e il suo impegno civile e contro la criminalità organizzata gli costerà caro: sarà ucciso l’11 dicembre 1980, neanche un mese dopo il terremoto, da uomini legati a Raffaele Cutolo. Il suo torto era quello di non voler “gonfiare” le cifre dei senzatetto impedendo di fatto l’arrivo di cospicui finanziamenti alle imprese.
Ucciso in un agguato mafioso ordinato da Leoluca Bagarella il 21 luglio 1979, il capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano, fu tra i primi a capire le trasformazioni criminali di Palermo negli anni Settanta e a cogliere i rapporti tra politica e Cosa Nostra. La sua vicenda , umana e professionale, è la centro del nuovo appuntamento con “Diario Civile” dal titolo “Boris Giuliano, un commissario a Palermo” di Alessandro Chiappetta, regia di Agostino Pozzi, con un’introduzione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Giuliano fu anche il primo a indagare su Totò Riina negli anni in cui il boss stava prendendo il potere e stava preparando la mattanza che avrebbe insanguinato Palermo dal 1978 al 1983. Tra le ultime indagini un’enorme evasione fiscale che poteva essere una tangentopoli ante litteram, le esattorie dei cugini Salvo e il caso De Mauro.
Il 30 aprile del 1982, viene assassinato a Palermo Pio La Torre. Con lui, nella macchina crivellata dai colpi dei sicari, c'è anche Rosario Di Salvo, il compagno di partito che gli faceva da autista e guardia del corpo. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato Prefetto di Palermo immediatamente dopo quell'attentato, a chi gli chiede perché la mafia abbia ucciso Pio La Torre, risponde “per tutta una vita”. Il deputato comunista Pio La Torre si è sempre schierato in difesa degli ultimi, e in Sicilia questo ha voluto dire battersi contro gli interessi illeciti della mafia. Sua anche la rivoluzionaria proposta di legge, che per prima ha previsto il reato di associazione di stampo mafioso e la confisca dei beni dei condannati.
6 gennaio 1980 - Palermo, via Libertà. Il Presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, viene raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco. Morirà mezz’ora più tardi in ospedale. Al termine di una lunga e complessa vicenda giudiziaria, verranno condannati all’ergastolo, come mandanti della sua esecuzione, i boss della commissione di Cosa Nostra: Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci, detto Nenè. L’inchiesta non riuscirà tuttavia a identificare i sicari né i mandanti esterni.
C’erano tante sfumature nella vita e nel pensiero di Mauro Rostagno, tutte spente in una sera d’autunno quando viene assassinato su incarico della mafia trapanese. Sociologo, leader del movimento studentesco del ‘68, tra i fondatori di Lotta Continua, nel 1979 Rostagno aderisce al movimento arancione e con la compagna Chicca Roveri e l’editore Francesco Cardella, fonda “Saman”, la comunità per il recupero per tossicodipendenti. Proprio mentre sta facendo ritorno nella sede della comunità a Lenzi di val D’Erice, il 26 settembre 1988 Rostagno è vittima di un agguato mortale. Aveva solo 46 anni. A 'Il tempo e la Storia' Michela Ponzani ne parla con lo storico Giovanni De Luna.
Il 26 giugno 1983 Bruno Caccia, procuratore della Repubblica di Torino, viene ucciso in un agguato sotto casa. Due killer gli sparano 17 colpi. Si pensa subito a un attentato di matrice terroristica, ma presto quella pista viene abbandonata. Si indaga allora sulle numerose inchieste aperte dalla Procura di Torino sotto la sua guida: dallo scandalo delle tangenti in Comune e in Regione, il primo caso di corruzione politica emersa dieci anni prima di Mani Pulite, allo scandalo dei petroli che investe politici, imprenditori e vertici della Guardia di Finanza. La svolta nelle indagini avviene però con le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia. Francesco Miano, boss del clan dei catanesi a Torino, raccoglie in carcere le confidenze di Domenico Belfiore, capo della cosca dei calabresi che nel 1989 verrà condannato come mandante dell'omicidio Bruno Caccia. Negli atti della sentenza si legge il movente: "Ostacolava la disponibilità altrui". Come a dire che altri magistrati erano invece disponibili.
A confronto, due documentari di Giuseppe Marrazzo sulla camorra, il primo del 1974 e il secondo del 1981. La prima inchiesta riguarda in particolare il confronto tra il sistema criminale napoletano e quello siciliano, quindi le differenze tra Camorra e Mafia. Partendo dal caso di omicidio per vendetta di Pasqualino Simonetti, l’inchiesta prova a tracciare il profilo della situazione criminale nel territorio del napoletano e i rapporti tra attività criminose e attività economiche.
L'inchiesta va a scavare negli affari della ‘ndrangheta, nell’omertà del triangolo San Luca-Platì-Africo, e di come quella calabrese sia stata sempre una mafia sommersa, e soprattutto parentale, che più difficilmente riesce a produrre pentiti e collaboratori.
Giuseppe Marrazzo va alla ricerca di informazioni e dipinge in due diversi reportage, nel 1977 e nel 1981, in piena faida, una realtà di povertà in cui lo Stato è assente e la gente si arrangia da sola, spesso nell’illegalità più diffusa.
Dal 1957 Cosa Nostra è organizzata secondo una struttura unitaria, gerarchica e verticistica, che segue regole precise: la Commissione Provinciale, la cosiddetta “Cupola”. Racconteremo le sue funzioni, le sue trasformazioni, la storia di lotte e conflitti interni che hanno portato i maggiori boss al vertice dell’organizzazione: dal triumvirato degli anni Settanta, alla seconda guerra di mafia che porta alla guida di Cosa Nostra, i Corleonesi di Totò Riina. “Per far comprendere meglio la struttura mafiosa – spiega Grasso – ricorro spesso alla metafora dei cerchi concentrici. Rappresento l’organizzazione partendo dal suo nucleo centrale, la parte militare, organica di Cosa Nostra, composta dagli uomini d’onore, gli affiliati”. Fu il collaboratore Tommaso Buscetta a raccontare per primo a Giovanni Falcone la struttura della Commissione, nel 1984. “La Commissione Provincialedi Cosa Nostra - aggiunge il Procuratore Grasso - è il vero organo di coordinamento dell’organizzazione”.
Le metamorfosi sociali, culturali ed economiche che hanno favorito il consolidamento economico del potere criminale mafioso: dalla mafia del latifondo al business dei sequestri, dalla droga fino al riciclaggio. Un potere che ha ormai da tempo varcato i confini oceanici alla conquista dei mercati globali. “Un mafioso preferisce restare in galera da ricco, che in libertà da povero”, ci spiega Pietro Grasso, in questa terza puntata del suo ciclo 'Lezioni di Mafia'.
Le stragi del 1992 e 1993 sono uno spartiacque nella storia del Paese. La morte di Falcone e Borsellino è il culmine dell’attacco stragista di Cosa Nostra allo Stato. Ma è anche lo snodo cruciale per capire i rapporti ambigui tra Cosa Nostra e parti delle Istituzioni, che come stanno svelando le recenti indagini, hanno intavolato una trattativa arrivando a un vero e proprio patto. “Per comprendere certe cose ci sarebbe bisogno di un pentito anche a Roma”, dice Pietro Grasso in questa puntata del ciclo 'Lezioni di Mafia'.
Dal dicembre 1962 al giugno 1963 Palermo diventa terreno di scontro per la supremazia all’interno di Cosa Nostra. È la cosiddetta prima guerra di mafia, raccontata dal professor Salvatore Lupo a “Il tempo e la Storia”, il programma di Rai Cultura condotto da Michela Ponzani. A contrapporsi sono soprattutto la famiglia di Salvatore Greco e il clan di Angelo e Salvatore La Barbera. Il conflitto di potere e interessi tra i due schieramenti cova già da qualche tempo e non aspetta che un pretesto per esplodere. Ad accendere la miccia è una truffa sul ricavato di una grossa partita di droga diretta negli Stati Uniti. Per sei mesi Palermo vive in un incubo: tra autobomba e raffiche di mitra.
'Il tempo e la storia' racconta Giovanni Falcone. Una storia che inizia nel 1979, anno del suo arrivo all'Ufficio istruzione del tribunale e si conclude il 23 maggio del 1992, quando cento chili di esplosivo pongono fine alla sua esistenza e alla sua guerra contro Cosa Nostra. Lo storico Salvatore Lupo, uno dei massimi studiosi di mafia in Italia, spiega che già nella sua prima inchiesta (sul costruttore narcotrafficante Rosario Spatola) Giovanni Falcone imprime subito quello che resterà il suo metodo e cioè “seguire i soldi”. Quell’inchiesta porterà il magistrato e il pool antimafia al maxiprocesso di Palermo e a raccogliere le decisive dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta.
23 maggio 1992. Alle 17.56 lungo l’autostrada che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi, all’altezza dello svincolo di Capaci, le auto su cui viaggiano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta saltano letteralmente in aria. A causare l’esplosione del tratto di autostrada sono 500 kg di tritolo. Oltre al magistrato e alla moglie perdono la vita gli agenti di scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Una strage ordita dalla mafia. Una vera e propria dichiarazione di guerra allo Stato che proseguirà con la strage di Via d’Amelio, che meno di due mesi dopo colpisce il giudice Borsellino e gli uomini della sua scorta e gli attentati di Firenze, Roma e Milano del 1993. In questa puntata de ‘Il tempo e la storia’, Michela Ponzani ne parla con Paolo Pezzino.
Il 23 maggio 1992 caddero per mano mafiosa il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
In occasione degli eventi promossi a Palermo dalla Fondazione Falcone e dal MIUR, abbiamo intervistato Maurizio de Lucia, sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia. Con lui ricordiamo quei giorni – culminati con gli attentati del 1992 a Giovanni Falcone e, il 19 luglio, a Paolo Borsellino - e cerchiamo soprattutto di capire cosa è cambiato fino ad oggi e cosa possiamo auspicare per il futuro di tutte le ragazze ed i ragazzi che hanno partecipato alle manifestazioni palermitane.
"Avrei dovuto essere in quell'aereo con Giovanni Falcone. E nella macchina con lui". Così Pietro Grasso nel ricordare dove si trovava al momento della strage di Capaci e come reagì ad essa. Una preziosa testimonianza, nella quale l'ex giudice del Maxiprocesso alla mafia e poi Procuratore nazionale antimafia racconta anche la strage di Via D'Amelio del 19 luglio 1992, in cui vennero uccisi Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta.
"Prima di morire Paolo disse una volta: Quando mi ammazzeranno ricordatevi che non sarà stata soltanto la mafia." A parlare, in quest'intervista rilasciata alcuni anni fa, è la sorella del magistrato ucciso a Via D’Amelio. A oltre vent'anni da quella strage mafiosa, ancora non si conosce la verità completa. "Chi utilizzò la mafia? Perché e per quali scopi?", si chiede Rita Borsellino. "Io credo veramente che ci siano troppe domande che aspettano ancora delle risposte. Questa povera Italia ha troppe verità che non arrivano, mezze verità, buchi neri... buchi neri che indeboliscono sempre di più la nostra democrazia."
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