Rai Cultura

Il Grand Tour di Claudio Strinati

La storia dell'arte in un romanzo di formazione

Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo: le mete del Grand Tour in Italia continuano a rappresentare un'esperienza formativa imprescindibile per uno studioso di arte, come sembra confermare Claudio Strinati con la sua prima opera di narrativa Il Giardino dell'arte. Il romanzo di un viaggio tra le meraviglie d'Italia (Adriano Salani Editore). Un viaggio rivissuto nel rispetto della tradizione celebrata da Goethe nel Settecento ma arricchito e rivitalizzato dall'autore attraverso lo sguardo di David, un dottorando in Storia dell’arte all’Università di Halifax, in Canada. A seguire il giovane da lontano c’è il suo mentore, il professore che lo ha scelto come pupillo, con il quale mantiene un continuo scambio epistolare.   
Con l'autore del romanzo, tra i maggiori conoscitori del Seicento italiano, ripercorriamo alcuni passaggi di un testo che in circa settecento pagine disegna se non proprio una “controstoria” dell'arte, uno svolgimento parallelo, un panorama molto più sfumato, ricco di luci e ombre, con artisti considerati minori da rivalutare e certezze consolidate sulle quali riflettere.  

ll tour si apre sulla grandezza delle rovine romane, tappa ineludibile. Tuttavia l'archeologia offre una visione incompiuta, consente una lettura difficile del mondo antico. Qual è l'approccio corretto per apprezzare questi frammenti di bellezza?  

L’approccio corretto è che non si tratta di frammenti di bellezza ma di frammenti di storia. Quindi vanno esaminati alla ricerca del loro significato prima di avventurarsi in qualche indagine di tipo estetico. Il frammento è tale proprio perché non è più riconoscibile nella sua forma originaria e conseguentemente nella sua funzione. La passione archeologica consiste proprio in questo ridare comunque senso a ciò che sembra averlo perduto.Trasformare mentalmente l’informe in una forma riconoscibile e comprensibile. Ciò genera una immensa soddisfazione intellettuale. Concreta e non astrattamente retorica. La bellezza sovente sta proprio in questa esaltante capacità di riconoscere.

Leonardo, Raffaello, Michelangelo. Una triade ai vertici della storia dell'arte, eppure il suo punto di vista è critico. Tutti  e tre fallirono. Perché?

Fallirono, secondo me. Non prenda questa tesi come una verità ma come un punto di vista, un’opinione. Ma di certo fallirono rispetto alle aspettative che la storiografia successiva ha posto in loro. E’ un paradosso, è ovvio, ma dipende dal fatto che la storiografia a loro coeva ne proclamò una sorta di perfezione raggiunta, sia pure da ciascuno in modo diverso. Ovviamente dato che questo non esiste mai per nessuno e in nessuna epoca, la lettura più recente sul lavoro di questi sommi geni permette di vedere con chiarezza tutte le carenze e le imperfezioni che inevitabilmente sono connesse con l’esame dell’ opera di questi grandi.
E’ la storiografia che ha eretto loro un monumento, ma questo monumento è nocivo perché non fa più vedere la realtà sostanziale del lavoro di questa grandi. Io non nego che lo siano ma dico che, rispetto agli obbiettivi che gli storici hanno ritenuto di vedere da loro conseguiti, sono effettivamente dei falliti.
Leonardo perché non ha mai avuto modo di progettare imprese degne del suo vastissimo ingegno; Raffaello perché stroncato sul nascere quando era appena riuscito a liberarsi di una serie di vincoli che ne avevano gravemente ritardato il pieno conseguimento di obiettivi che da giovane aveva molto vaghi nella testa; Michelangelo perché schiavo di un cliché che dovette inventare per proteggersi ma che lo ha come schiacciato impedendogli di esprimere quello che veramente aveva in animo. 

Non risparmia un sospetto su Leonardo: l'invenzione dello sfumato coprirebbe la carenza di abilità nel disegno di alcuni dipinti...

Secondo me Leonardo non sapeva dipingere. Nel senso che il suo talento di disegnatore eccelso (e che lo fosse lo si capisce bene quando si vedono i disegni veramente suoi, molto più rari di quel che si pensa perché la tradizione gli ha poi attribuito troppe cose) non si è mai risolto in una educazione veramente efficace nella pittura. Secondo me Leonardo non ha mai studiato veramente la pittura (in realtà credo che non abbia mai studiato niente sul serio). Era come quelle persone che suonano mirabilmente a orecchio il pianoforte. Sono talora bravissimi e sbalordiscono chi li ascolta. Ma difficilmente lasciano veramente un segno nella vita musicale perché non costruiscono mai niente, se non delle serate meravigliosamente piacevoli tra amici. Tutto è occasionale e spesso suonano meglio dei professionisti. Ma c’è un limite insuperabile. Non sapendo (per lo più) leggere la musica e non conoscendo le strutture tecniche e teoretiche della disciplina conseguite dai grandi maestri, non hanno mai veramente niente da dire di personale, se non esibire se stessi.

Non dico che Leonardo fosse un improvvisatore ma riconoscere la sua mano nelle opere pittoriche che la tradizione gli riferisce è quasi sempre difficilissimo. Guarda caso, il quadro più bello e convincente di Leonardo è l’Adorazione dei Magi degli Uffizi che è un disegno, però!

Un pittore chiamato Leonardo da Vinci esiste certamente ma l’immagine che ne abbiamo oggi è secondo me per buona parte fasulla, Salvator Mundi compreso.

Sono tantissime le figure che meriterebbero una lettura diversa da quella convenzionale, come Lelio Orsi “che vale mille Correggio”, Perin del Vaga “pittore formidabile”. Tra queste c'è anche Daniele da Volterra, noto, purtroppo, soltanto come il pittore che vestì i nudi del Giudizio di Michelangelo. Invece a lui dobbiamo esser grati...

Daniele era un grande artista. Soprattutto un grande disegnatore. Come pittore è notevole ma aveva anche dei limiti tremendi. Però io lo preferisco a molti altri che hanno più fama di lui. Ma questo non c’entra gran che col libro. Il libro è un libro di storia e la storia è ben diversa da come è raccontata nei vecchi manuali su cui però ancora molto ci si basa. Su Correggio confesso di essere troppo di parte. E’ che a me non piace, come non mi piace il Parmigianino ( anche se un pò più di Correggio) e buona parte della scuola parmense del Cinquecento. Non so che farci. Lelio Orsi invece mi piace. Anche se questi artisti che ci si ostina senza ragione a definire minori purtroppo sono ancor oggi gravati da una pletora di attribuzioni fasulle accumulate sulle loro spalle da generazioni di sommi esperti e conoscitori che sovente si sbagliavano però. Comunque non è questione di intelligenze sommerse, ma soltanto di una migliore cognizione della storia dell’arte. Se pensiamo che oggi l’unico artista italiano importante è Caravaggio, questo dovrebbe far riflettere. Io lo stimo molto. Ma, appunto, lo stimo molto. Averne fatto un mito sovrumano ha contribuito alla sua distruzione. mentre è un grande artista.

Tra i miti da sfatare anche la scultura del Cristo velato a Napoli. Un'opera sopravvalutata?

Niente affatto. Io nel libro mi limito a ricordare che è un caso tipico di un’ opera d’ arte giudicata, nello stesso periodo storico in cui è stata fatta, un capolavoro da alcuni e una boiata da altri. E sia gli uni sia gli altri erano dei competenti. Per me è una lezione di Estetica. Può accadere che grandi opere d’arte vengano giudicate addirittura da due versati opposti, di lode sperticata o di denigrazione assoluta. E’ quello che è accaduto normalmente a molte avanguardie del ventesimo secolo e a ciascuno di noi quando va (o andava, dati i tempi calamitosi) al cinema con gli amici e uno dice: bellissimo e l’altro dice: assolutamente una scemenza, Io mi limito a mettere in luce che queste cose non sono affatto peculiari della modernità ma sono sempre accadute. A me personalmente il Cristo velato piace moltissimo.

Nel suo viaggio c'è un costante invito a guardare oltre, e accanto, ai capolavori più noti. A San Luigi dei Francesi a Roma non c' è soltanto il grandissimo Caravaggio. Cos'altro dobbiamo osservare?  

Moltissime cose. Ne cito alcune: la pala dell’altare maggiore, un capolavoro vero di Francesco Bassano, insigne esponente di una grande famigli di artisti veneti che annovera numerosi e importanti esponenti nel corso del Cinquecento. Poi le posso dire la magnifica pala raffigurante San Luigi di Francia che fa demolire gli idoli pagani, di Jacopino del Conte, un pittore del Cinquecento fiorentino molto oscillante, a volte debole e irritante, altre volte formidabile e come medianico. Il quadro di San Luigi dei Francesi è un capolavoro che renderebbe valida la visita della chiesa anche solo a vedere questo. Poi c’è la cappella affrescata dal Domenichino a inizio Seicento che è una meraviglia incomparabile, una vera gioia per la mente e per il cuore, se soltanto si fosse in grado di vedere qualcosa nell’arte senza il filtro della fama o almeno della notorietà dell’ artista o dell’opera stessa. Poi c’è la testimonianza commovente di una delle poche donne pittrici e architette del Seicento, Plautilla Bricci che adesso è diventata un pò più nota dopo il bellissimo libro, L’ Architettrice di Melania Mazzucco.  A questo punto potrei cominciare l’elencazione di una serie di opere insigni conservate nella chiesa, tra cui gli affreschi, che trovo adorabili ma sono troppo mal conservati, di Giovanni Baglione, il grande rivale del Caravaggio, ma ne faccio a meno.

Tra le integrazioni al percorso, che entrano di diritto in un Grand Tour ideale, c' è anche Siena con gli affreschi nella Sala del Pellegrinaio. Quale storia dell'arte testimonia quest'opera?

Quella ospedaliera per l’appunto che è un capitolo immenso nella storia dell’arte italiana.La mia tesi è che il Rinascimento ha tratto spunti determinanti dalla vita ospedaliera e che c’è uno sviluppo parallelo tra la storia della medicina e assistenza pubblica e la storia dell’arte. Nel Pellegrinaio di Siena si trova una quantità di informazioni in tal senso veramente notevole ma si potrebbero citare tanti altri casi di cui non parlo nel libro, primo fra tutti l’ospedale di Santo Spirito di Roma.

Una riflessione che ritorna nel romanzo è l'importanza della riforma luterana per il destino dell'arte stessa. E qui il racconto ci guida verso l'espressione drammatica del Pordenone a Cremona... 


Nel libro sostengo la tesi che Pordenone è stato uno dei primi artisti in assoluto a percepire la tremenda svolta della Riforma. E' una tesi personale e non è detto che debba essere condivisa. Ma quel che conta è il formidabile impatto etico e e visivo che la Crocifissione di Cremona ha al cospetto della grande storia dell’arte europea.

E' un’opera che esprime terrore, tragedia, monumentalità e fragilità al contempo con una potenza figurativa incomparabile.
Del resto l’area culturale veneto-friulana da cui Pordenone viene era ed è strettamente connessa con la autorevolezza della cultura tedesca. Nel libro cerco di argomentare tale tesi.

Dal lato tenebroso al lato solare dell'arte italiana: Tiepolo e gli affreschi nell'Arcivescovado di Udine. Come leggere Tiepolo “l'imperatore della pittura”, cosa apprezzare della sua intelligenza figurativa?

Che era intelligente! Nel senso che Tiepolo è un pittore che fa vedere sempre oltre rispetto a quello che realmente vedi nelle sue opere. E’ un attivatore delle percezioni e quindi la forza vitale che è in lui la sento come positiva e dilettevole.

Tiepolo doveva appartenere a quella categoria di persone che pensano che il divertimento sia una dimensione nobile dello spirito. Non sarà la felicità cui tendono i filosofi ma è una condizione mentale che io mi augurerei di vivere tutti i giorni. Nelle sue opere questa dimensione si percepisce immediatamente.

E’ la sua bravura che glielo permetteva, perché dal punto di vista della bravura sono pochi nella storia dell’ arte che possono gareggiare con lui.

La visita all'Archivio di Stato compiuta da David è una lezione di metodo. La scienza, la verifica dei dati come momento fondamentale per la costruzione del sapere. Eppure un approccio anche più intuitivo rende viva la materia artistica...

Naturalmente. L’intuizione è il fondamento dell’arte (Benedetto Croce diceva che l’Arte e’ una sintesi di intuizione ed espressione e non mi sembra una grande sciocchezza) ma lo è anche della Scienza.
E' vero che la Scienza è deduzione e dimostrazione ma sappiamo bene che la catena delle deduzioni non è una scala regolare ma una pista su cui poter progredire e bisogna quindi acquistare slancio. E lo slancio è generato dalla capacità della mente di accorgersi delle cose. Accorgersi delle cose non è la deduzione del teorema matematico ma è proprio quel quid che possiamo chiamare intuizione. 
Anche nella vita pratica possiamo riconoscere chi questa dote ce l’ha e chi no. E chi è meglio secondo voi?

Claudio Strinati: Il Giardino dell'arte. Il romanzo di un viaggio tra le meraviglie d'Italia, Adriano Salani Editore.
Foto: dettaglio cover del volume.