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Paesaggisti inglesi d'après nature
Seconda parte
Con la mostra Un paese incantato. Italia dipinta da Thomas Jones a Corot (Grand Palais, Parigi; Palazzo Te, Mantova; 2001), la curatrice Anna Ottani Cavina, asseriva con efficacia, attraverso una vagliata serie di 190 opere, che gli studi d'après nature iniziavano a fine Settecento proprio in Italia. Dal 1780, dal pieno affermarsi della stagione Neoclassica, quando il Grand tour italiano significava tuffarsi a capofitto nell'antichità di Roma, Ercolano, Pompei, Paestum, Segesta, fino al 1830, epoca di afflati romantici, gli artisti viaggiatori catturati dal sentimento per la luce mediterranea che avvolgeva questi paesaggi di memoria classica, iniziavano una sperimentazione tecnica e formale che porterà a un nuovo linguaggio di sintesi ed immediatezza. Dopo il Rinascimento di Raffaello, per l'ultima volta l'Italia offriva a questi moderni viandanti, per lo più francesi, inglesi e del nord Europa, il panorama necessario per la svolta epocale che, cinquant'anni dopo, porterà alla nascita della pittura impressionista en plein air.
Il filmato proposto, estratto dal documentario girato per l'occasione da Nino Criscenti, presenta gli artisti inglesi in Italia, nel racconto di Anna Ottani Cavina.
Thomas Jones, Ponte Loreto vicino Nettuno, 1787
Thomas Jones, La Cappella nuova fuori della porta di Chiaia, olio su carta, 20x23,2 cm., 1782
Thomas Jones (1742–1803), di origine gallese, dopo un soggiorno a Roma (1776-78), era vissuto a Napoli per circa cinque anni (1778-'83). Qui aveva avuto due figli e familiarizzava con artisti conterranei, quali Jacob More (1740–1783), Francis Towne (1739-1816), John Robert Cozens (1752-1797). Malgrado la diversità di tecniche e vedute, questi pittori avevano la stessa visione moderna della natura, registravano abilmente rami e fronde, boschi e radici aggrovigliate dietro muri screpolati e questo, grazie alla tradizione inglese dell'acquerello, tecnica di veloce stesura, dai risultati essenziali. Di Jones, rimangono memorabili gli acquerelli trasparenti in cui sviluppa una particolare tavolozza di sfumature variabili del blu, di Towne, i toni raffinati delle tinte profonde del bruno, viola e marrone. E mentre Towne favoriva un processo lento e meditato, registrato anche in diario meticoloso, che trova eco nelle iscrizioni sul retro dei suoi disegni, Jones in una accelerazione di pensiero, introduceva il "flying sketches", categoria rivoluzionaria ad indicare gli studi dal vero eseguiti "al volo", mentre era in cammino con amici.
Francis Towne, Veduta del Tevere, 1780, penna e acquarello su carta, 20,8x54,3cm
Thomas Jones, Un muro a Napoli, olio su carta, 11,4x 16cm., 1782
Piccoli formati anche gli oli su carta di Jones, inquadrature dai tagli minimali, messa a fuoco ravvicinata su muri, tetti, camini, imposte chiuse, niente che potesse evocare nelle case inglesi, un sublime e spettacolare Vesuvio in Eruzione (1776-'80), dipinto in quegli anni da Joseph Wright of Derby (1734-1797). Eppure ecco un capolavoro di Jones, Un muro a Napoli, soggetto il tufo, i panni stesi, la macchia d'acqua e il tutto, dentro una geometria cromatica degna del futuro Corot. Questi lavori, privi di acquirenti e soprattutto precedenti, perché troppo antimonumentali e privi di eventi, tardano di molti anni la fama dell'artista. Jones dovrà attendere ancora un secolo e la sua autobiografia, Memoirs of Thomas Jones of Penkerrig, rimarrà inedita fino al 1951. Jones visse nella solitudine del genio, tornò nel Galles per nostalgia, irrequietezza e senza denaro. Scrisse in seguito di essere nato in un tempo sbagliato.
Robert Cozens, Villa Madama, acquerello su matita, 20,5 x30cm., 1780
Rai Web Cultura ringrazia Land Comunicazioni per la gentile cessione del filmato
Il filmato proposto, estratto dal documentario girato per l'occasione da Nino Criscenti, presenta gli artisti inglesi in Italia, nel racconto di Anna Ottani Cavina.
Thomas Jones, Ponte Loreto vicino Nettuno, 1787
Mentre gli artisti francesi nei primi anni dell'Ottocento metteranno in crisi l'apparato storico neoclassico, dalla metà del Settecento sono gli artisti inglesi i più diretti e audaci sperimentatori di paesaggi, capaci di dedicarsi alla esaltazione di brani naturalistici apparentemente insignificanti, resi con monumentalità e freschezza. La moderna pittura paesaggista inizia proprio in Inghilterra con piccoli studi e bozzetti d'après nature e culminerà nelle visioni vorticose e quasi astratte di William Turner (1775–1851) degli anni Quaranta dell'Ottocento. Nelle vivaci discussioni inglesi dell'epoca infatti, alternative al Bello ideale winckelmanniano, trovano spazio le nuove categorie estetiche di sublime e pittoresco che gli artisti maturano su Claude Lorrain, padre dei valori luminosi e atmosferici dei loro paesaggi. Del maestro seicentesco, Thomas Gainsborough adottava, per primo, lo strumento ottico dei futuri viaggiatori, il così detto Claude glass, lo specchio nero per inquadrare e contenere ampi spazi dentro una piccola cornice, che andava a corredo delle prime valigette portatili per colori. Nell'Inghilterra formativa di questi artisti, il primo e più evidente carattere culturale del tempo è lo "scientismo" promosso da saggi filosofici e trattati naturalistici, dove l'osservazione diretta del vero portava al superamento delle categorie metafisiche a favore di nuovi orizzonti come la chimica, la biologia e le scienze psicologiche. Il sublime di Edmund Burke (Un'indagine filosofica sull'origine delle nostre idee di Sublime e Bello, 1757), inciterà l'artista ad interrogare l'anima e a restituire emozioni forti e drammatiche che Turner porterà all'estremo. Il carattere pittoresco invece, concetto all'epoca applicato ai numerosi studi sui "giardini all'inglese", era soggetto di un poema didattico dell'archeologo Payne (Richard Payne Knight, The Landscape, 1794), che metteva in risalto come nella composizione paesaggistica, diventava importante "l’antica rovina, il cottage isolato, la grande quercia, l’aspra roccia e il limpido ruscello", quali elementi di fascinazione e soprattutto "impressione sugli organi di senso".Attraversando per la prima volta queste terre bellissime, era come era come se ogni scena mi fosse già apparsa in sogno. Sembrava un paese incantato
Thomas Jones, 1777
Thomas Jones, La Cappella nuova fuori della porta di Chiaia, olio su carta, 20x23,2 cm., 1782
Thomas Jones (1742–1803), di origine gallese, dopo un soggiorno a Roma (1776-78), era vissuto a Napoli per circa cinque anni (1778-'83). Qui aveva avuto due figli e familiarizzava con artisti conterranei, quali Jacob More (1740–1783), Francis Towne (1739-1816), John Robert Cozens (1752-1797). Malgrado la diversità di tecniche e vedute, questi pittori avevano la stessa visione moderna della natura, registravano abilmente rami e fronde, boschi e radici aggrovigliate dietro muri screpolati e questo, grazie alla tradizione inglese dell'acquerello, tecnica di veloce stesura, dai risultati essenziali. Di Jones, rimangono memorabili gli acquerelli trasparenti in cui sviluppa una particolare tavolozza di sfumature variabili del blu, di Towne, i toni raffinati delle tinte profonde del bruno, viola e marrone. E mentre Towne favoriva un processo lento e meditato, registrato anche in diario meticoloso, che trova eco nelle iscrizioni sul retro dei suoi disegni, Jones in una accelerazione di pensiero, introduceva il "flying sketches", categoria rivoluzionaria ad indicare gli studi dal vero eseguiti "al volo", mentre era in cammino con amici.
Francis Towne, Veduta del Tevere, 1780, penna e acquarello su carta, 20,8x54,3cm
Thomas Jones, Un muro a Napoli, olio su carta, 11,4x 16cm., 1782
Piccoli formati anche gli oli su carta di Jones, inquadrature dai tagli minimali, messa a fuoco ravvicinata su muri, tetti, camini, imposte chiuse, niente che potesse evocare nelle case inglesi, un sublime e spettacolare Vesuvio in Eruzione (1776-'80), dipinto in quegli anni da Joseph Wright of Derby (1734-1797). Eppure ecco un capolavoro di Jones, Un muro a Napoli, soggetto il tufo, i panni stesi, la macchia d'acqua e il tutto, dentro una geometria cromatica degna del futuro Corot. Questi lavori, privi di acquirenti e soprattutto precedenti, perché troppo antimonumentali e privi di eventi, tardano di molti anni la fama dell'artista. Jones dovrà attendere ancora un secolo e la sua autobiografia, Memoirs of Thomas Jones of Penkerrig, rimarrà inedita fino al 1951. Jones visse nella solitudine del genio, tornò nel Galles per nostalgia, irrequietezza e senza denaro. Scrisse in seguito di essere nato in un tempo sbagliato.
Robert Cozens, Villa Madama, acquerello su matita, 20,5 x30cm., 1780
Robert Cozens, nato a Londra e figlio del disegnatore e acquarellista russo, Alexander Cozens, fu l'anticipatore dello spirito romantico, non a caso ammiratissimo dai giovani John Constable (1776–1837) e Turner per i suoi acquerelli, dove riesce a plasmare forme di solo colore restituendo solennità e profondo senso dell’infinito alla veduta. Di salute precaria, Cozens testimoniava la piccolezza dell’uomo di fronte alla natura dipingendo la sua malinconia e quel senso del dramma, rintracciabile nel sublime di Burke, che investiva la sua breve vita e le sue composizioni mai eccessive e di sottile equilibrio instabile. "Cozens è solo poesia", dirà Constable. Nel 1776, l'artista iniziava il Grand tour, attraversando l'Italia da Bressanone a Bolzano e poi giù verso Roma. Qui, immortalava Villa d’Este, Villa Madama, Villa Lante e il Lago di Albano, con uno stile compositivo di grande naturalezza, catturando il paesaggio assieme al sentire vero e palpabile dell'emozione scaturita dall'attenta indagine.Robert Cozens, il più grande genio che abbia mai trattato il paesaggio
John Constable
Rai Web Cultura ringrazia Land Comunicazioni per la gentile cessione del filmato