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Giorgio de Chirico. L'uomo e l'artista
Un documentario sul Pictor Optimus con la partecipazione di Ascanio Celestini
Giorgio de Chirico nel suo studio mentre lavora su alcune sculture. Solo in età matura l'artista fece realizzare in bronzo alcune figure da lui già inventate su tela.
Giorgio de Chirico, custode della grande tradizione pittorica antica è stato un vero precursore del moderno: artista, scultore, teorico d'arte, formidabile visionario, ma anche umanista, filosofo e perspicace osservatore dell’essere umano nelle sue folli contraddizioni.
Un ritratto di Giorgio de Chirico di Carl Van Vechten, 1936. Courtesy Everett Collection/Contrasto
Questo viaggio attraverso le opere del Pictor Optimus alla scoperta dell’uomo de Chirico e del suo umorismo burbero, è stato realizzato grazie a prezioso materiale d’archivio RAI e a testimonianze varie, da quelle del nipote Ruggero Savinio, a quelle di diversi studiosi quali, Paolo Portoghesi, Claudio Strinati, Gianni Vattimo e Angela Carpentieri, segretaria di de Chirico. Il documentario, inoltre, vede la straordinaria partecipazione dell'attore e drammaturgo italiano Ascanio Celestini.
La potenza intellettuale di un uomo si misura dalla dose di umorismo che è capace di utilizzare
Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico (1888-1978), fratello maggiore di Andrea, alias Alberto Savinio (1891-1952), nasce in Grecia, a Volos dall'ingegnere Evaristo de Chirico, figlio di diplomatici dalmati trapiantati a Costantinopoli e Gemma Cervetto, cantante d’operetta.
I giovani de Chirico trascorrono l'infanzia tra Volos e Atene, al seguito del padre impegnato nella costruzione della prima rete ferroviaria della Tessaglia.
L'infanzia del giovane Giorgio è costellata di drammi: nel 1891, viene a mancare Adelaide, sorella maggiore di sette anni e nel 1905, il padre Evaristo.
Figlio di Evaristo, Giorgio familiarizza sin da piccolo con pantografi, regoli, squadre e locomotive che disseminerà da adulto in un’infinità di tele
A Volos, apprendeva i rudimenti del disegno dal suo primo maestro, un ingegnere greco e a dodici anni, nel 1900, s'iscriveva al Politecnico di Atene affollato di insegnanti e artisti greci formati a Monaco di Baviera.
De Chirico affina le sue doti pittoriche e si prepara al primo confronto con i grandi artisti della tradizione Simbolista tedesca che, dal 1906, con il fratello Andrea, avrà modo di approfondire nell'ennesimo trasferimento della famiglia a Monaco.
Infatti, con la morte del padre, Giorgio, Andrea e la madre viaggiano verso la nuova dimora tedesca soggiornando in Italia a Milano, Roma e Venezia. Per il giovane Giorgio la città lagunare è una rivelazione, visita chiese, palazzi, gallerie e musei alla scoperta di Tintoretto, Veronese, Bellini e Tiziano. A Milano poi, ammira la poesia simbolista di atmosfera di Segantini e Previati.
A Monaco, nel 1907, de Chirico frequenta l'Accademia delle Belle Arti con Franz von Stuck, fondatore della Secessione che lo indirizza verso l'opera pittorica di Arnold Böcklin e dell'incisore Max Klinger.
Böcklin, autore della nota opera di fine Ottocento, "L'isola dei morti", trasponeva la classicità di miti antichi, centauri e sirene, in una densa materia pittorica priva di qualsiasi dramma romantico, un "fare pittura" di atmosfera che sarà molto importante per de Chirico.
L'ampliamento culturale di Giorgio continua con la lettura dei filosofi tedeschi, Schopenhauer e in particolare Nietzsche, il cui pensiero sarà totalizzante. De Chirico farà proprio il rifiuto nietzschiano della Metafisica nella sua accezione tradizionale, ovvero come ricerca di ciò che sta “al di là di questo mondo”. L’unica Metafisica contemplabile per l'artista sarà riferita alla realtà terrena, quel senso immanente ed imminente delle cose che sta nelle cose stesse.
Schopenhauer e Nietzsche per primi mi insegnarono il non senso della vita e come tale non senso potesse venir rappresentato
Giorgio de Chirico
La condizione forzata di esule e di nomade, il continuo sentimento panico del venir meno a una casa e a un luogo fisso di riferimento, furono causa della salute cagionevole del giovane de Chirico.
Per seguire gli studi musicali del fratello Andrea, Giorgio raggiunge la famiglia a Milano e poi, nel 1909, soggiorna a Firenze dove sarà ospite di uno zio.
Vicino al Duomo, agli Uffizi e a Palazzo Pitti, de Chirico ebbe la prima "rivelazione metafisica" immerso nella malinconia delle giornate autunnali. In Piazza Santa Croce, la chiesa e la statua di Dante, daranno vita a "Enigma di un pomeriggio d'autunno" (1909), una prima immagine metafisica che de Chirico replicherà con infinite varianti, secondo una grammatica costante di architetture antiche, ombre allungate, statue, treni e vele al di la del muro.
Nel 1911, prima di raggiungere il fratello a Parigi, vede Roma in occasione dell'Esposizione Universale; la grandezza dell’architettura dei fori rinsalda il sentimento dell'antico innestato nella contemporaneità moderna.
Prima di salire sul treno visita la tomba di Böcklin a Fiesole e poi inizia l'ennesimo viaggio: porta con sé alcuni quadri dedicati al mistero e all'attesa
Tra questi, "L’enigma dell’oracolo" (1910), nel quale il motivo della figura femminile di schiena e avvolta nel mantello, rimanda all'Ulisse di Böcklin, un personaggio pensoso che guarda il mare dell'eterno viaggio. Sullo sfondo, il senso di spiazzamento viene accentuato dalla tenda nera dietro la quale spunta una statua classica.
Fino al 1915, de Chirico visse a Parigi.
In quattro anni, frequenta e conosce l’avanguardia della Ville Lumière stringendo un rapporto sentimentale che non tocca la sua ricerca artistica. De Chirico, infatti, a differenza di tutti gli artisti presenti nella scena parigina, non si misura apertamente con la grande novità del Cubismo, ma ancora una volta con la sua storia: Monaco, filtrata dalla culla mediterranea della Grecia e dell'Italia (Giorgio e Alberto. Da Volo a Monaco).
A Parigi, de Chirico introduce nuovi archetipi metafisici e inaugura la serie delle torri, alcune ispirate all'architettura di Torino, visitata prima della sua partenza per Parigi, nella quale ritrova Nietzsche. A Torino, infatti, il suo filosofo di elezione era impazzito nel 1888, il suo stesso anno di nascita (I Dioscuri. Giorgio de Chirico e Alberto Savinio).
Negli anni di Parigi, de Chirico espone le sue atmosfere enigmatiche nei prestigiosi "Salon d'Automne" (1912) e "des Indépendants" (1913), affianco agli artisti più in voga.
La sua prima Metafisica, fatta di accostamenti di oggetti apparentemente privi di nessi logici, attira l'attenzione del poeta Guillaume Apollinaire per lo straordinario potere evocativo delle immagini.
Frammenti classici di statue, torsi femminili, teste del Belvedere, ombre di omini allungate, una bambina che corre dietro un cerchio, quinte architettoniche, muri di mattoni dietro i quali viaggia un treno, banchine del porto, stazioni, caschi di banane, palline da tennis, guanti di caucciù, tutto concorre alla metafisica della sua realtà quotidiana
I fratelli de Chirico avevano seguito da Parigi, con molto interesse, le vicende politiche della patria italiana alla quale si sentivano di appartenere, anche se come luogo vagheggiato da lontano fin dagli anni dell'infanzia.
Ad appagare il desiderio di identità italiana di Giorgio non era bastato il soggiorno milanese, fiorentino, romano e torinese; per sentirsi riconosciuto tale dovrà attendere il 1915, con l'entrata in guerra dell'Italia e la chiamata alle armi.
De Chirico lasciava Parigi per essere destinato al fronte di Ferrara. Qui, nel 1917, viene ricoverato nell'ospedale militare di Villa Seminario per patologia neurologica e nella sventura, incontra Carlo Carrà (1881-1966).
Prende il via la Metafisica del periodo ferrarese
De Chirico abbandona i misteri della pittura parigina e in composizioni raffinatissime cosparse di oggetti presi dalla realtà bellica e locale, dipinge immagini nuove racchiuse in spazi stretti, ricche di squadre, righe, compassi, biscotti, cioccolatini e tante mappe riferite al viaggio del poeta.
Ora, de Chirico pensa di poter ricostituire a Ferrara una "legione sacra", con il fratello Savinio, Carrà, Papini, Ungaretti e buona parte dell'intellighenzia italiana.
Iniziano a prolificare i suoi manichini immersi nelle piazze rinascimentali, mentre la cultura greca classica s'intensifica preannunciando la sua maturità anni Trenta
Con le sue "Muse inquietanti" (1916), il Pictor Optimus denuncia il facile concetto di modernità, quel volere superare il passato in un'ottica di progresso futuro che scaldava allora gli animi rivoluzionari.
De Chirico prepara il suo "ritorno all'ordine".
"Ettore e Andromaca" (1917), tratti dall’Iliade di Omero, sono due manichini che si stringono nell'ultimo abbraccio: la sposa saluta il marito che sa, morirà per mano di Achille. Fatti di squadre e righelli, i personaggi esibiscono la materia del legno che de Chirico riproduce attraverso un disegno e una pittura molto curati.
Queste opere, assieme ad altre, verranno pubblicate nella rivista di Mario Broglio, "Valori Plastici" (1918), promotrice in tutta Europa di quel "ritorno all'ordine" a cui aderivano un nutrito gruppo di intellettuali ed artisti.
De Chirico consegnava le sue iconiche immagini al fondatore della rivista che diventerà, fino al 1922, uno dei suoi più importanti mecenati e collezionisti.
Nel 1918, de Chirico si trasferisce a vivere a Roma, presso la madre. Nel '21, con Carrà e Giorgio Morandi, approdano a Berlino in una mostra promossa da "Valori Plastici" dalla quale nascerà il termine di "Realismo Magico", per designare quella pittura figurativa europea di atmosfera metafisica, dalla quale prenderà il via anche la "Nuova Oggettività" tedesca.
Tra Roma e Firenze, de Chirico inizia un'ennesima svolta verso un nuovo classicismo nutrito da assidue frequentazioni di musei: Raffaello, Tiziano, Lotto e i suoi antichi amori, Böcklin, Klinger, Previati, ai quali dedica alcuni saggi su riviste importanti dove dichiara di sé stesso: "Pictor classicus sum"
A Parigi, il suo mercante e gallerista Paul Guillaume, organizza una mostra con le opere del periodo ferrarese presentate dal padre del Surrealismo André Breton che subito, designa de Chirico "musa" ispiratrice del movimento
Dopo i continui insuccessi romani, dal 1925 al '31, de Chirico tornava a vivere a Parigi, incoraggiato dai surrealisti e dalla vendita cospicua dei suoi quadri.
Nel 1924, aveva incontrato la prima moglie, Raissa Gurievich, ballerina russa protagonista di una tragedia del Savinio.
Non tardano i primi diverbi con Breton che, di fronte alla nuova produzione classicheggiante di de Chirico, ispirata a temi antichi, accusa il pittore di tradimento. La rottura definita avverrà nel 1926, quando Giorgio metteva in guardia anche il fratello Savinio, appena tornato a Parigi per la sua nuova avventura di pittore (Savinio incanto e mito. Una mostra di Ester Coen), di non mescolarsi con certa "gente cretina e ostile".
I primi "Gladiatori" risalgono al 1927 e nel corso di circa cinque anni de Chirico svilupperà il tema in circa settanta tele. Molteplici e molto variegate le ispirazioni: archeologiche in primis, grazie anche a dedicati studi universitari della moglie, di pittura rinascimentale e barocca ampiamente ripresa dagli anni Quaranta in poi, fino a suggestioni cinematografiche e in particolare, per kolossal di cui de Chirico era ghiotto (Gli ultimi giorni di Pompei, Gallone, 1926).
Con la crisi del 1929, anche il clima culturale parigino si spegne. De Chirico perde i suoi galleristi e si separa dalla moglie, ma subito incontra una nuova compagna, l'ebrea russa di Varsavia Isabella Far, con la quale, nel 1931, torna a vivere Milano
Tra il 1936 e il '38, l'artista trascorre due anni a New York, per sfuggire con la moglie alle leggi razziali. In America, de Chirico rialza le sue finanze, raggiunge una certa fama grazie a collezionisti come Albert Barnes e ad esposizioni importanti presso la Julien Levy Gallery. La notorietà lo porta a collaborare con le riviste “Vogue” e “Harper’s Bazaar”, nonché a realizzare decorazioni murali per la celebre sartoria Scheiner, per l'istituto di bellezza Helena Rubinstein e per la sala da pranzo della Decorators Picture Gallery, in cui coinvolge anche Picasso e Matisse.
Nel 1937 riceve dal fratello la notizia della morte della madre e rientra in Italia, a Milano, fino al '42. Prima di raggiungere Roma, nel 1944, sua dimora definitiva, soggiorna anche a Firenze.
Vivrà il resto dei suoi anni nella casa di Piazza di Spagna.
APPROFONDIMENTO
Fondazione Giorgio de Chirico