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Io, Canova. Genio Europeo

Barbara Guidi presenta la mostra del Bicentenario

Allestita al Museo Civico di Bassano del Grappa, Io, Canova. Genio Europeo chiude l’anno delle celebrazioni dedicate al Bicentenario di morte dell’artista. La straordinaria mostra su Antonio Canova (1757-1822) e la sua epoca è stata curata da specialisti della materia come Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo, con la direzione scientifica di Barbara Guidi, direttrice dei Musei Civici, qui intervistata per l’occasione.
L’esposizione è stata organizzata dagli stessi Musei bassanesi (in collaborazione con Villaggio Globale International), prezioso scrigno di opere e documenti canoviani in parte esposti per l’occasione. Infatti, Bassano come Possagno, paese natio di Canova oggi sede della più grande Gipsoteca monografica al mondo, sono luoghi di elezione dove l’artista ha intrattenuto importanti relazioni ed amicizie coltivate tutta la vita (Canova e la sua terra). 

Ispirandosi all’antico, Canova seppe dare vita ad un linguaggio artistico moderno e ad un’ideale di bellezza universale e senza tempo con la quale conquistò la scena artistica internazionale divenendo lo scultore più ricercato d’Europa. Con le sue creazioni fece rivivere miti, dei ed eroi di un lontano passato affinché ispirassero ai suoi contemporanei affetti e sentimenti utili ad un futuro migliore
Barbara Guidi

Uno scenografico allestimento immerge lo spettatore nell’universo canoviano dispiegato nei tre saloni monumentali del piano nobile, ognuno dedicato a rispettive sezioni tematiche: L’uomo e l’artista, Canova e l’Europa e Canova nella Storia
Grandi marmi, piccoli busti in gesso, bozzetti di creta, disegni su carta, tele monocrome, dipinti, quaderni e lettere dell’artista dialogano con preziosissimi ritratti pittorici ed allegorie realizzati dai suoi contemporanei, a partire da Anton Raphaël Mengs, Thomas Lawrence, Pompeo Batoni, Angelica Kauffmann, François Gérard e tanti altri, artisti presenti a Roma che con Canova hanno plasmato l’epoca Neoclassica. Centoquaranta opere, magistralmente poste a dialogo tra loro, restituiscono anni importanti che, dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione circa, vedono crescere la fama di Canova ideatore e creatore di una nuova idea di modernità. 

A noi piaceva l’idea di raccontare l’uomo, l’artista, il diplomatico, il collezionista, la persona che è stata in grado di rapportarsi a grandi personaggi della storia con umiltà, ma allo stesso tempo con determinazione e libertà intellettuale
Barbara Guidi

Il primo capitolo della mostra, “L’uomo e l’artista”, racconta gli anni di formazione a Venezia e il definitivo trasferimento del giovane Canova a Roma, nel 1781, con un focus significativo sul suo innovativo atelier, luogo fisico di lavoro e studio, ricco di volumi e tele importanti che costituirono la sua preziosa collezione d’arte.  
A documentare il Grand tour lungo la Penisola, da Ferrara, Bologna, Firenze e passando per Roma fino a Napoli, sono “I Quaderni di viaggio 1779-1780” e il “Diario romano” (Biblioteca Civica di Bassano), due taccuini fitti di annotazioni, pagine inedite che restituiscono aspetti intimi dell’artista: l’amore per il teatro e la danza, la cura dei capelli, l’amato tè e caffè.   
Poco più che ventenne, l’umile scultore di Possagno arrivava nella Città dei Papi su invito di Girolamo Zulian, patrizio veneziano ambasciatore della Repubblica nell’Urbe e cultore di antichità romane. Con lui, in questo museo a cielo aperto, Canova riempiva fogli del suo taccuino scoprendo la grandezza dell’antico: dalle collezioni Vaticane, fino ai Dioscuri di Monte Cavallo, gli antichi “Colossi” di Castore e Polluce, qui rievocati da due enormi gessi ottocenteschi di bottega romana che Canova studiava, quasi ossessivamente, in venticinque disegni di “perfezione anatomica”. 
Grazie al governo veneziano, Zulian assicurava a Canova un consistente sostegno economico e uno studio in Palazzo Venezia introducendo così il giovane nel circolo eletto di importanti artisti stranieri e antiquari romani che gravitavano attorno alla corte pontificia. 
Due imponenti gessi del “Damosseno” di Siracusa e “Creugante” di Durazzo (Accademie di Belle Arti di Carrara e Ravenna, 1796-1808), i due Pugilatori greci studiati a Venezia nella collezione Farsetti, mostrano l’approdo del giovane Canova a soluzioni inedite di eroismo e titanica celebrazione di forza. Compiaciuto nello sfoggio di tanta scienza anatomica, nei primi fecondi anni romani Canova modella tensioni muscolari di notevole suggestione plastica e inscena pose atletiche, decise e scattanti. 
“Creugante”, ben piantato sulle gambe divaricate, col pugno chiuso sopra la testa, venne concepito senza commissione, fatto assolutamente moderno per l’epoca
Nel 1801, “Creugante” fu acquistato da Pio VII per colmare i vuoti lasciati dalle soppressioni napoleoniche nei Musei Vaticani e solo nel 1806, il pontefice commissionava a Canova il “Damosseno” per esser posto in dialogo con il compagno (Creugante e Damosseno, i pugilatori di Canova). 


Antonio Canova, Autoritratto come pittore, 1792, olio su tela, 68x54,5cm., Gallerie degli Uffizi, Firenze

Il giovanissimo Canova entrava così nel tempio dell’arte classica riservato agli antichi maestri; già interprete di quell’idea di bellezza sostenuta dai maggiori teorici del Neoclassicismo allora presenti nella scena, figure di spicco come il teorico tedesco Johann Joachim Winckelmann (Winckelmann: dall'antiquaria alla storia dell'arte) e il pittore boemo Mengs (Mengs. La scoperta del Neoclassico), appare in mostra nel fiero “Autoritratto come pittore” (Gallerie degli Uffizi, 1792) con sguardo vivace e bocca socchiusa. 
A ricordare uno dei primi protettori veneziani del giovane a Roma, la “Stele funeraria” dedicata al nobile Giovanni Falier (Chiesa di Santo Stefano, Venezia, 1806-‘08), qui affiancata dal disegno monocromo in cui Canova studiava la composizione. Falier aveva commissionato a Canova il gruppo di “Ercole e Lica”, pagato 300 scudi con i quali l’artista aveva intrapreso il suo viaggio verso Roma. 
Nella Città Eterna, il giovane Canova intraprende fin da subito importanti relazioni con la corte pontificia anche attraverso il senatore veneto Abbondio Rezzonico, nipote di Clemente XIII, presente in mostra nell’imponente e sontuoso ritratto che lo inquadra sullo sfondo del Campidoglio, opera del più grande ritrattista dell’aristocrazia romana settecentesca, Pompeo Batoni (1708-1787; Ritratto di Abbondio Rezzonico, 1766; Palazzo Barberini), la cui Accademia di disegno dal vero fu frequentata anche dal giovane artista. 
Opera esemplificativa del metodo quasi proto-industriale messo a punto da Canova, “La Maddalena penitente” (1795), gesso a grandezza naturale qui affiancato al bozzetto in terracotta (1793-1794, entrambe del Museo Civico di Bassano del Grappa), un veloce schizzo assai lontano dal modello definitivo, realizzato con spatole e mani visibili nelle impronte dell’artista. Da qui, Canova procedeva alla realizzazione a grandezza originale della terracotta da cui ricavava poi il gesso con la tecnica del calco e infine, attraverso un suo originale procedimento di misurazione, arrivava alla trasposizione dell’opera nel marmo definitivo. 

Canova si serviva di numerosi e valevoli assistenti, ma era lui a dare il tocco finale di rifinitura e lucidatura del marmo

Una tela ottocentesca di Pompeo Calvi, “Interno dell’atelier di Canova” (Collezione privata, 1880), mostra lo scultore nello studio di via delle Colonnette, luogo di incontro per tanti artisti, intellettuali e collezionisti. Lo spazio era suddiviso in un vano pubblico e uno privato; in quest’ultimo, l’artista conservava una fitta biblioteca di volumi e parte della sua ricca collezione di opere d’arte qui, per la volta, in parte esposte (Canova: l’atelier del collezionista e studioso).

Un secondo capitolo della mostra è dedicato a “Canova e l’Europa”, alla sua straordinaria ascesa artistica forgiata con prestigiose commissioni provenienti da grandi sovrani, aristocratici e mecenati del vecchio continente, tutti con l’ambizione di possedere una scultura del più grande artista vivente, le cui opere diventarono ben presto un vero e proprio status symbol 

Tra i più fedeli ammiratori di Canora vi erano gli inglesi: “Venere e Marte” (1816, Gipsoteca di Possagno), fu commissionata dal Re di Inghilterra Giorgio IV, così come le figure giacenti della "Maddalena" (1819-’22, marmo Collezione privata, Regno Unito) e dell’"Endimione" (1819-’22, Gesso, Accademia di Belle Arti, Ravenna), furono scolpite rispettivamente per Robert Jenkinson, ovvero Lord Liverpool e per il Duca di Devonshire. La “Maddalena giacente”, ultima grande opera del maestro veneto, assurta agli onori della cronaca mondiale dopo quasi due secoli di oblio, viene qui esposta per la prima volta (La Maddalena giacente di Canova). 
Uomo dai vasti interessi culturali e committente dei principali artisti del tempo, quali Reynolds, Gainsborough e Canova appunto, Giorgio IV è ricordato in mostra con un capolavoro di Thomas Lawrence, che lo ritrae in una dimensione informale, mettendo in luce l’eleganza e la raffinatezza per cui era celebre il sovrano (“Ritratto di re Giorgio IV”, 1822, Cobbe Collection, Hatchlands Park). 
Nonostante il successo internazionale e a dispetto delle umili origini dell’artista, Canova seppe colmare con lo studio dei classici e delle lingue la disparità culturale: il raro e curioso “Quaderno di esercizi di inglese” esposto in mostra, dimostra il coraggio delle sue libere azioni. Stessa cosa vale per le sue opere, “libere” da obblighi espressivi e dotate di autonomia spaziale: infatti, di volta in volta, Canova dava precise indicazioni ai committenti circa le modalità di esposizione delle sue sculture. ”Endimione”, per esempio, è qui stato allestito tenendo conto del suggerimento dell’artista che aveva pensato ad un’illuminazione zenitale notturna, in riferimento alla vicenda mitica del giovane.
Il ricco banchiere inglese Alexander Baring, illustre committente d’eccezione, amico fra gli altri del Primo Ministro francese Talleyrand, appare nel percorso espositivo con un altro ritratto di Lawrence (“Ritratto di Alexander Baring”, 1810, The Baring Archive, Londra). Uomo politico e attento collezionista, Baring, raccolse una ragguardevole collezione d’arte in cui si annoveravano ben cinque marmi di Canova: in mostra, il busto di bellezza melanconica di “Lucrezia d’Este” (1821-’22, Daniel Katz Gallery, Londra) e un commovente “San Giovannino” (1821-‘22, Trebosc van Lelyveld, Parigi). 


Francois-Xavier Fabre, Ritratto di Canova, 1812, Musée Fabre, Montpellier

Fu tuttavia nell’Europa continentale e precisamente nell’Impero Asburgico, che Canova vide la sua affermazione internazionale. Giunto a Vienna nel 1798, il duca Alberto di Sassonia gli commissionava un Monumento funebre per commemorare la moglie Maria Cristina appena scomparsa. Già acclamato in patria per avere avuto l’onore di eseguire ben due monumenti funebri papali, quello di Clemente XIII e XIV, ricordati in mostra in questa sezione, il “Monumento funerario di Maria Cristina d’Austria”, è qui focalizzato da una serie di disegni e ritratti in gesso canoviani dell’opera. 

Con il “Monumento a Maria Cristina” Canova cancellò per sempre gli schemi allegorici e celebrativi tipici dell’antico regime e aprì la strada a una nuova sensibilità meditativa già ottocentesca

L’apprezzamento unanime per quest’opera procurò all’artista nuove commissioni tra cui, spicca il grande marmo della giovane principessa austriaca “Leopoldina Esterházy Liechtenstein” (1805–’18, Palazzo Esterházy, Eisenstadt), ritratta in una posa di ispirazione classica, seduta su una roccia mentre disegna. Il marmo destò stupore ed ammirazione in tutta Vienna, la stessa protagonista lusingata nel vedere il suo nome legato per sempre al grande artista di Possagno, da pittrice dilettante donava a Canova una gouache su carta, qui esposta.
La fama di Canova correva fino in Russia. Una copia fedele di ”Amorino alato” (1795, Museo Correr, Venezia), realizzato da Canova per il principe Jusupov, fu commissionata dal procuratore veneziano Pietro Vettor Pisani per collocarlo nel suo giardino all’interno di un tempietto, consacrato a Cupido e progettato da Giannantonio Selva.
In Spagna, la marchesa di Santa Cruz gli commissionava un Monumento funerario, rimasto incompiuto, in memoria della giovane figlia, la contessa de Haro, morta prematuramente. Canova ideò lo studio preparatorio, un monumentale monocromo con il quale lo scultore verificava la composizione prima di trasporla in bassorilievo (“Compianto della contessa de Haro”, recto, 1805-’06, Museo Civico, Bassano del Grappa).
Nell’ultima parte del secondo salone, alcune opere raccontano i primi due “Monumenti funerari” di Canova dedicati a Clemente XIV (1783-’87; Chiesa dei SS. Apostoli) e a Clemente XIII (1783–’92; Basilica di San Pietro), opere romane che diedero inizio alla notorietà internazionale dell’artista. Il Monumento progettato per la Basilica vaticana fu voluto dal senatore Abbondio Rezzonico, nipote di Clemente XIII scomparso nel 1769; in mostra sono presenti disegni, busti, bozzetti in gesso e terra cruda, a documentare anche la lunga stagione dei pontefici romagnoli che, tra Sette e Ottocento (1769-1823), ripristinarono la centralità della Città Eterna attraverso il ritorno al classico e agli ideali estetici e morali delle antiche glorie. 
Grandioso il busto marmoreo di Pio VII (1807, Musei Capitolini, Roma), il pontefice che nel 1800 nominò Canova Accademico di San Luca (Canova Accademico di San Luca), per diventare in seguito Presidente in perpetuo (1814), assieme a Mengs, Jenkins, Kauffman e tanti altri artisti ricordati in mostra attraverso vividi ritratti.


François Gérard, Ritratto dell’Imperatore Napoleone I, post 1805, olio su tela, Musée National du Château de Fontainebleau, Fontainebleau

“Canova nella Storia”, terza e ultima sala, racconta il rapporto del grande artista con Napoleone Bonaparte conosciuto nel 1802, anno in cui Canova era nominato Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma (Canova Ispettore delle Belle Arti).  Canova si recava a Parigi su precisa richiesta dell’allora primo console di Francia; l’incontro con il futuro Imperatore sarà determinante nella vita di Canova e segnerà in maniera decisiva l’esistenza dell’artista e dell’uomo.
Consapevole del prestigio arrecato dalle opere del celebre artista, Napoleone chiedeva all’artista un ritratto, malgrado lo scultore non amasse realizzare effige veritiere. Canova ripartì dalla capitale francese con un busto in gesso del futuro imperatore da cui sarebbero poi state ricavate diverse versioni; in mostra, quella idealizzata come “Marte pacificatore” (Busto di Napoleone come Marte pacificatore, 1803, Museo Civico, Bassano del Grappa), e una più “realistica” (Busto di Napoleone, post 1803, Gesso, Museo Civico, Bassano del Grappa). Questi busti avrebbero costituto le immagini del sovrano, un Napoleone che qui appare anche ritratto in veste imperiale nella grandiosa tela di François Gérard (Ritratto dell’imperatore Napoleone I, 1805, Musée National du Château de Fontainebleau). 
L’entourage di Napoleone procurò a Canova numerose commissioni. Una delle principali estimatrici dell’artista, l’imperatrice Joséphine de Beauharnais prima moglie di Napoleone, qui effigiata in un dipinto di Gérard (Ritratto dell'imperatrice Joséphine de Beauharnais, Musée National deschâteaux de Malmaison e Bois-Préau, Rueil-Malmaison), arrivò a stringere con Canova un legame di profonda amicizia. La sua prestigiosa collezione a La Malmaison includeva “Ebe”, “Amore e Psiche stanti” e il gruppo delle “Grazie”, opere qui ricordate attraverso diversi studi dell’artista comprendenti terrecotte, gessi e monocromi.
Per esigenze diplomatiche Canova dovette ritrarre numerosi esponenti della famiglia imperiale francese, utilizzando un linguaggio allegorico che ne idealizzasse e nobilitasse i tratti. In particolare, le molte figure femminili quali le sorelle di Napoleone, Paolina (Testa di Paolina Borghese Bonaparte, 1807, marmo, Museo Napolonico, Roma) ed Elisa (Testa di Elisa Baciocchi Bonaparte, post 1812, Gesso, Museo Civico, Bassano del Grappa), la cognata Alexandrine de Bleschamp (Testa di Alexandrine de Bleschamp, 1808-1811, Marmo, Museo Napoleonico, Roma) e la madre Letizia Ramolino, così detta “Madame Mère”, che lo scultore istalla a grandezza naturale seduta nella posa di Agrippina (Letizia Ramolino Bonaparte, 1807-‘10, Accademia di Belle Arti, Carrara).

Il 1815 fu un anno cruciale per la storia europea e per Canova. Il “nuovo Fidia” si recava a Londra accolto con onori mai tributati ad alcun artista, per giudicare i marmi del Partenone da poco giunti in Inghilterra ad opera di Lord Elgin

L’episodio viene documentato in mostra negli Appunti del Viaggio in Inghilterra (1815, Biblioteca Civica, Bassano del Grappa) e con alcune “Metope” ottocentesche dei fregi del Partenone provenienti dall’Accademia di Bologna (1874, Ignoto, Accademia di Belle Arti, Bologna). 
Lo stesso anno, Canova era tornato per la terza volta a Parigi, su incarico di Pio VII, per una missione che avrebbe indelebilmente segnato la sua fama: il recupero di oltre cinquecento opere d’arte italiane sottratte dai francesi durante le campagne napoleoniche, per allestire il “Museo Universale”, l’attuale Louvre (Il Perseo Trionfante di Canova). 
A testimoniare il felice esito della difficile missione diplomatica sono riuniti, nell’ultima parte del salone, alcuni dei capolavori riportati in Italia dallo scultore: il calco del Laocoonte (Musei Vaticani), il celeberrimo dipinto de "La Fortuna" di Guido Reni (Accademia Nazionale di San Luca, Roma), l’"Assunzione della Vergine" di Agostino Carracci (Pinacoteca Nazionale, Bologna), la famosa "Carraccina" di Ludovico  Carracci (Pinacoteca Civica, Cento) e la "Deposizione di Cristo" di Paolo Veronese (1546-’49, Museo di Castelvecchio, Verona).

INFO
Io, Canova. Genio europeo
Museo Civico di Bassano del Grappa