Mario Sironi
Futurismo e Metafisica, monumentalità e primitivismo. A sessant'anni dalla morte Mario Sironi è celebrato con due mostre, a Milano e a Nuoro, che ripercorrono la drammatica visione dell'esistenza dell'artista fondatore di "Novecento" e padre del muralismo.
L’arte non ha bisogno di riuscire simpatica [...] ma esige grandezza
Mario Sironi
Al Museo del Novecento di Milano una grande e approfondita retrospettiva ripercorre l’opera di Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961) a sessant’anni dalla morte.
Mario Sironi. Sintesi e grandiosità, a cura di Elena Pontiggia e Anna Maria Montaldo (organizzazione e catalogo realizzati da Ilisso Edizioni), attraverso centodieci opere esposte ricostruisce l’intero percorso artistico di Sironi: dalla giovanile stagione simbolista all’adesione al futurismo; dalla sua originale interpretazione della metafisica nel 1919 al momento classico del Novecento Italiano; dalla crisi espressionista del 1929-30 alla pittura monumentale degli anni Trenta; fino al secondo dopoguerra e all’Apocalisse dipinta poco prima della morte.
Sono esposti, infatti, alcuni capolavori che non comparivano in un’antologica sironiana da quasi mezzo secolo ("Pandora", 1921-1922; "Paese nella valle", 1928; "Case e alberi", 1929; "L’abbeverata", 1929-30), e altri completamente inediti.
Numerosi i prestiti da importanti musei come la Pinacoteca di Brera, Ca' Pesaro e la Fondazione Guggenheim di Venezia, il Mart di Trento e Rovereto e diverse collezioni private che hanno consentito di riunire i maggiori capolavori del Maestro. L'esposizione coinvolge anche alcune sale a lui dedicate nella Casa Museo Boschi Di Stefano.
Il senso di una grande mostra dedicata a Sironi al Museo del Novecento sta anche nell’identificazione del suo segno nella rappresentazione del paesaggio urbano di Milano: nella resa livida e di struggente bellezza delle sue periferie, nella tragica sintesi delle figure umane del periodo fascista, nella relazione con l’arte pubblica che ha segnato il capoluogo lombardo negli anni Trenta del secolo scorso.
Anna Maria Montaldo, direttrice Museo del Novecento
Una narrazione asciutta, perentoria, una costruzione che procede attraverso la sottrazione degli elementi descrittivi a vantaggio di una forma spoglia, essenziale e un segno potente, sono gli elementi identificativi della pittura di Sironi, che dopo i giovanili lavori simbolisti e qualche esito iniziale della sua stagione futurista, diventa "drasticamente sintetica". Una singolare semplificazione delle forme, messa in luce sin dal '24 da Margherita Sarfatti che presenta Sironi alla Biennale di Venezia, affinata dall'ispirazione classica del gruppo Novecento di cui Sironi è tra i fondatori, sarà dominante fino alle ultime opere dell'artista (Sarfatti, la musa del Duce). Lo si nota in modo evidente nei lavori prodotti fra le due guerre, ma anche i suoi quadri tardi, composti come mosaici e quindi apparentemente più analitici, "sono in realtà moltiplicazioni di frammenti radicalmente semplificati".
Del resto la sintesi di Sironi non è un’operazione chirurgica e nemmeno una rarefazione geometrica, ma un’azione drammatica, una concisione tacitiana che infonde nel suo linguaggio una ideale grandiosità.
Elena Pontiggia, curatrice della mostra
Ampiamente rappresentato in mostra è il ciclo dei paesaggi urbani, il soggetto prediletto e il più famoso di Sironi, con cui la sua arte si identifica maggiormente. ll tema acquista intensità dopo il suo arrivo a Milano nel 1919 ed esprime sia la drammaticità della città moderna, sia la vocazione architettonica dell'artista, la sua anima non soltanto di pittore ma anche di scultore e costruttore. Sironi è infatti, insieme a de Chirico il maggior pittore di architetture del secolo. Tra i dipinti più noti Sintesi di paesaggio urbano, 1921; La cattedrale, 1921; Paesaggio urbano col tram, 1925-28, del Museo del Novecento, esposto alla Biennale di Venezia del 1928; la Periferia del 1943.
Se il panorama milanese, con la sua modernità futurista e la grandezza delle fabbriche, entra nei paesaggi sironiani l’artista, attivo a Milano per la maggior parte della sua vita, lascia il segno anche in città con importanti progetti decorativi elaborati a fianco dei principali architetti del tempo: come per Il Palazzo dell'Arte e per il Palazzo del Popolo d'Italia con Giovanni Muzio, e per il Palazzo di Giustizia con Marcello Piacentini. Alla fine del 1933, infatti, assieme a Carrà, Funi e Campigli, Sironi firma il Manifesto della pittura murale: arte sociale “per eccellenza”.
Gli anni Trenta sono densi di capolavori monumentali, quali la luminosa Vittoria alata, il gigantesco studio per l’aula magna della Sapienza di Roma, il visionario Condottiero a cavallo (tutti realizzati nel 1935) e il potente studio preparatorio, lungo quasi sei metri, del la Giustizia Corporativa (1937-'38). Commissioni in cui il pittore dispiega una personale visione della figura, talvolta incompresa nel proprio tempo, percepita come "fuori dal buon senso fuori dalla tradizione e dall'arte italiana" (Ugo Ojetti).
In mostra, un gruppo nutrito di opere testimonia la particolare interpretazione della figura umana, rivisitata e riproposta da Sironi in forme che attingono alla statuaria antica, greca e romana e si riconnettono ai maestri quattrocenteschi: il pierfranceschiano Nudo del 1923, prediletto da Margherita Sarfatti; la misteriosa Donna con vaso del 1924; il Pescatore, 1925; La fata della montagna, 1928; la Niobide del 1931, e il doloroso Lazzaro, 1946, dove, per la prima volta nella millenaria iconografia del soggetto, Sironi dipinge un Lazzaro che non risorge, simbolo del crollo di tutte le sue idee, a cominciare dal fascismo in cui aveva creduto.
Sono drammatici gli ultimi anni di vita dell'artista, segnato dalla fucilazione mancata, grazie all’intervento del partigiano Gianni Rodari, e tormentato anche dalla perdita della figlia Rossana, che si toglie la vita nel 1948 a diciotto anni.
Una fase crepuscolare che si riflette nell'espressione artistica. Assenti gli impegni pubblici, tornato alla pittura da cavalletto, Sironi dipinge le sue opere più disperate.
Se dal 1920 al 1940 Sironi aveva dipinto un mondo di architetti, pur esprimendo la fatica e il dramma della costruzione, nell’ultimo ventennio dipinge un mondo senza progetti, dove è impossibile agire. Gli ultimi lavori del fondatore del “Novecento” sono abitati da presenze totemiche e fantasmatiche, da pietre frananti, da immagini senza salvezza.
Elena Pontiggia, curatrice della mostra
Come ha scritto Jean Clair, le sue opere di questi anni «evocano dei cimiteri. Si vedono forme umane dentro a cripte o a tombe che le rinchiudono. Sono prigioni, sono sepolcri in cui gli esseri umani sono costretti all’immobilità e sembrano mummie. Questa specie di immenso sepolcro … è il testamento spirituale di Sironi»
L’Apocalisse, dipinta poco prima della morte, è la sintesi perfetta del tormentato ripiegamento dell'artista che abbandona i prediletti paesaggi urbani, e mette in scena la catastrofe finale della storia.
Mario Sironi: Composizione (La fata della montagna) 1928, Milano, Casa Museo Boschi Di Stefano © Mario Sironi, by SIAE 2021.
Anche la regione Sardegna rende omaggio all'artista: a Nuoro la mostra Mario Sironi, l’eternità del mito, ideata e realizzata in collaborazione con l’Archivio Mario Sironi di Roma (organizzazione e catalogo a cura di Ilisso Edizioni), si unisce idealmente a quella in corso al Museo del Novecento a Milano, riallacciando il tracciato esistenziale dell’artista tra l’Isola in cui è nato nel 1885 (a Sassari) e Milano, sua città d’elezione, nella quale è morto nel 1961.
L’esposizione propone un Sironi nella sua fase matura, nella forma definitiva in cui oggi è conosciuto: l’artista della sintesi. Oltre sessanta opere tra oli, tempere e disegni, documentano trent’anni di ricerca artistica di Mario Sironi dal 1928 al 1958.
Il percorso inizia da alcune significative testimonianze delle opere monumentali degli anni Trenta, destinate alla fruizione pubblica. Sono lavori che testimoniano la sua predilezione per la pittura murale che sentiva come potente veicolo per la “funzione educatrice” delle masse, paragonabile all’arte pubblica classica, romana e cristiana, o del Rinascimento. Il padre del muralismo avversava l’opera da salotto, decorativa e cinicamente mercificabile; secondo Sironi, infatti, l’Arte non doveva necessariamente risultare “simpatica” ma rigorosa e responsabile, “grande” nei contenuti morali che lo Stato avrebbe dovuto consegnare ai cittadini. Concetto complesso, difficile da salvaguardare, e pagato caro da Sironi che più forte di tutti lo sostenne.
L’iter espositivo propone, inoltre, le opere degli anni Quaranta, condizionate dalla tragica parentesi bellica e dalla difficile ricostruzione del Dopoguerra. Il percorso pittorico in mostra si chiude con gli anni Cinquanta, con quei lavori che Sironi stesso definiva “frammenti”: qui l’architettura è il soggetto costante dell’artista, al quale affidava, nella personale traduzione pittorica, i valori laici e razionali dell’essere umano; costruzioni alternate spesso ai maestosi paesaggi con montagne.
La mostra offre anche un’ampia sezione dedicata all’illustrazione editoriale necessaria per comprendere meglio l’opera di Sironi. Filone espressivo fondamentale per la divulgazione artistica, coltivata fin dagli esordi, l’illustrazione ha per l’artista rappresentato la ricerca di un segno via via più sintetico per una resa più efficace del soggetto (Sironi, illustratore della Grande Guerra).
Mario Sironi. Sintesi e grandiosità, Milano, Museo del Novecento
dal 23 luglio 2021 al 31 marzo 2022
Sironi. L'eternità del mito. Nuoro, Spazio Ilisso
dall'l11 dicembre 2021 al 17 aprile 2022
FOTO DI COPERTINA
Mario Sironi: Pandora (dettaglio), 1921-'22 C SIAE 2021