Rai Cultura
Nicola Samorì (Forlì, 1977), "Medea rende la giovinezza a Esone", 2023. Tecnica mista su lino, 400 x 300 cm. Samorì ricerca sempre un imprevisto che gli permetta di manipolare i soggetti delle opere del passato. In questo caso, il modello che viene “tradito” è il dipinto Medea rende la giovinezza a Esone (1606-1608 ca.) di Pasquale Ottino, un piccolo dipinto su lavagna che offre una Medea carismatica, bella, selvatica, in uno scenario notturno carico di mistero. Nell’opera di Samorì è mantenuta la posizione verticale di Medea e quella orizzontale del corpo di Esone, ma la dimensione, diventata qui monumentale, trasforma la maga in un’apparizione, in una figura fiammeggiante che si staglia decisa su tutto con uno sguardo freddo e determinato. Lo sfondo nero, continuamente interrotto dal tessuto pittorico, evoca un cielo stellato, ma anche un teatro in cui la finzione viene percepita come realtà.
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Daniel Pitín (Praga, Cecoslovacchia, 1977), "Medea and her sons", 2023. Olio, acrilico e tecnica mista su tela. 180 x 160 x 4 cm. Foto Martin Polák. Courtesy Nicodim Gallery, Bucharest, New York - Los Angeles. Riflettendo sull’incremento degli episodi di violenza domestica, Pitín ha visto in Medea il simbolo di quei comportamenti patologici che talvolta si insinuano nella routine familiare e che, paradossalmente, portano a fare del male proprio alle persone più amate. L’artista ha utilizzato come modello per il suo dipinto la fotografia di una famiglia scattata durante le vacanze. Per trasmettere impersonalità e senso di oppressione psicologica, le identità dei soggetti sono state cancellate, sostituendo le teste e parti del corpo con volumi geometrici che si presentano quali elementi di disturbo. Sebbene Pitín abbia guardato una fotografia per realizzare Medea and her sons, la costruzione della scena richiama le tecniche e le atmosfere della pittura metafisica e cubista.
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Rusudan Khizanishvili (Tbilisi, Georgia, 1979), "Medea, a Play in Three Acts", 2023. Olio su tela, 200 x 300 cm. Il dipinto di Khizanishvili è concepito come un’opera in tre atti ambientati rispettivamente nel passato, nel presente e nel futuro. La teatralità è accentuata dal paesaggio, i cui elementi sono raffigurati come oggetti di scena, mentre lo sfondo è concepito come il disegno di un tappeto persiano ricco di elementi iconografici persiani e islamici. La parte sinistra è ambientata nella Colchide – l’attuale Georgia –, antica regione costellata di montagne colorate e fiumi. La parte centrale è dominata da una doppia Medea dai lunghi capelli che confluiscono nelle acque del mar Nero. La sua energia e la padronanza del suo destino sono esaltate dalla stella che tiene in mano. Nella parte destra, sei donne celebrano un rituale, mentre le fruttiere colme fanno pensare a un territorio generoso.
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Sverre Malling (Skedsmokorset, Norvegia, 1977), "Medea", 2023, matita colorata su foglio, 44 x 32 cm. Il disegno a matita colorata di Malling utilizza uno stile contaminato da elementi liberty e simbolisti. Medea appare con gli occhi della veggente; come una guerriera che sfida le istituzioni e le regole sociali, è raffigurata quale donna glaciale e sensuale insieme. Una scritta criptica nella parte superiore sembra la formula di un incantesimo, mentre il coltello in primo piano è come l’amuleto di un rituale arcaico. In basso al centro, il triangolo con l’occhio simboleggia lo sguardo di Dio. Ai lati si guardano due Erinni, le furie alate che inseguono Oreste dopo il matricidio, personificazioni della vendetta. È con questi elementi che Melling mescola le carte della narrazione originaria, focalizzandosi sul matricidio e non sull’infanticidio, ricordandoci che ogni storia coincide anche con il suo rovescio.
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Ruprecht Von Kaufmann (Monaco, 1974), "Medeas Erben / Medea’s Heirs", 2023. Olio e collage su linoleum, 250 x 460 cm. Partendo dall’analisi del concetto di vendetta come ripicca che mira a creare il maggior danno possibile al nemico, anche se questo comporta danneggiare se stessi, nel suo Medeas Erben (Gli eredi di Medea) Von Kaufmann dipinge uno scenario che parte dall’antichità – rappresentata dal soldato greco e da una Medea dal volto sfocato –, e giunge a contesti di guerra medievali e contemporanei, fino alla Prima guerra del Golfo. In quell’occasione gli iracheni, ritirandosi dal Kuwait, incendiarono i pozzi di petrolio creando un enorme danno ambientale a causa della diossina sprigionata. Il polittico espressionista di Von Kaufmann è attraversato da figure trasparenti e cupe, fantasmi della storia che hanno lasciato le conseguenze dei loro comportamenti in eredità a quanti verranno dopo di loro.
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Wang Guangyi (Harbin, Cina, 1957) "Obscured Existence, Medea" 2023. Acrilico su tela, 100 × 80 cm. Nella Medea di Wang Guangyi, realizzata a partire dalla Medea Furiosa di Eugène Delacroix (1862), la visione passionale del mito di impronta romantica decade in favore di semplici sagome seminascoste da strisce di colore, che attraversando in verticale la tela delineano il soggetto rendendo la visione inaspettata. La tecnica in uso è quella antica del Wu Lou Hen (dinastia Tang, 618-907 d.C.), termine che descrive delle pennellate simili a macchie di inchiostro sgocciolante lungo una superficie. L’opera vuole rappresentare il senso di smarrimento dell’artista dinanzi a qualcosa di cui non può cogliere appieno il significato originario. Il suo è, allo stesso tempo, un modo per andare alla ricerca di qualcosa non ancora conosciuto.
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Yue Minjun (Daqing (Heilongjiang), Cina, 1962); Medea, 2023. Olio su tela, 100 x 80 cm. La Medea Furiosa (1862) di Eugène Delacroix è stata oggetto di ispirazione per Yue Minjun: ma la testa della sua Medea è girata di centottanta gradi rispetto al corpo e guarda verso lo sfondo, mentre quelle dei figli sono rivolte verso il ventre della madre. Lo spettatore non può immaginare i loro sguardi e rimane estraneo alla relazione tra loro e Medea. Tuttavia, tale relazione appare sin da subito innaturale, come innaturale appare la torsione delle teste dei tre soggetti rispetto ai corpi. I dettagli visibili (la cinghia, il bracciale, il coltello) sono elementi chiave della tragedia; ma l’elemento spiazzante e pervasivo è la postura delle teste, che esprime più di tutto l’assurdità della vicenda e in generale della condizione umana.
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Natee Utarit (Bangkok, 1970), "Two Boys and The Sacrifice", 2023, trittico. Olio su tela, 200 x 450 cm, 200 x 150 cm per pannello. In Two boys and the sacrifice, Utarit trasferisce il dramma dell’infanticidio in un elegante appartamento dei nostri giorni. Essenziale, ordinato, dai colori neutri, è la perfetta ambientazione di una tranquilla vita borghese. In questo scenario in cui tutto sembra studiato, è sconcertante vedere i corpi senza vita di due bambini stesi per terra. Uno di loro è in primo piano sul pavimento; dell’altro, attraverso una porta che dà su un’altra stanza, vediamo solo le gambe e una mano che stringe una camiciola bianca. In questa “scena del crimine”, i particolari echeggiano il tempo del mito: il dipinto Giasone e Medea (1759) di Charles-André Van Loo, una statuetta di Medea in marmo, una tela tagliata di Lucio Fontana – allusione alle ferite dei bambini. Un gioco di rimandi che ripete la tragedia nello spazio.
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Cian Dayrit (Manila, Filippine, 1989), "Neither Created Nor Destroyed", 2023. Ricamo su tessuto, collaborazione con Henricus, 214 x 158 cm. Courtesy the artist and NOME Gallery, Berlin. L’arazzo di Dayrit ispirato al mito di Medea è una mappa delle conseguenze disastrose della mentalità colonialistica che sfrutta selvaggiamente le risorse a vantaggio di pochi. Il mostro centrale, simbolo di una civiltà autoproclamatasi “eletta”, taglia un atomo con le forbici. Nel suo stomaco ha fagocitato piante e animali; attorno al suo corpo gravitano i simboli del capitalismo (dalla farmaceutica all’industria alla gestione delle fonti energetiche). Le mani che emergono dal mare sono un chiaro richiamo alle grandi migrazioni e ai loro tragici esiti. Così come i Greci si sentivano i depositari della civiltà, in contrapposizione alla “barbarie”, allo stesso modo in epoca moderna europei e americani hanno giustificato le loro invasioni con una pretesa superiorità religiosa e culturale.
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Rafael Megall (Yerevan, Armenia, 1983), "Medea and Jason in my Blossoming Garden", 2023, Trittico. Olio su tela, 250 x 480 cm. L’opera di Megall è in stretta relazione con l’iconografia e la storia del suo paese: i motivi floreali e animali sono tipici della simbologia religiosa cristiana e dei bestiari armeni. Riportati sulla tela con la tecnica dello stencil con manipolazioni e sovrapposizioni, questi elementi decorativi divengono una trama che si intreccia con i momenti cruciali della tragedia di Euripide. Ciò che gli preme sottolineare è la condizione della donna nel mondo greco, in cui la società della polis era espressione del potere assoluto maschile. La matrice pop e surreale tipica di Megall si contamina con i linguaggi del fantasy, dei cartoon e dei videogiochi, pur non tradendo i temi drammatici affrontati.
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Francesco De Grandi (Palermo, 1968), "Medea nel giardino di Colchide", 2023. Olio su tela, 230 x 340 cm. De Grandi si concentra su un preciso momento della vita di Medea: l’età dell’innocenza. La scena, organizzata come una quinta teatrale, rappresenta la maga-bambina che si muove in uno spettacolare giardino esotico popolato da piante rigogliose e da animali (tra cui spiccano due sfarzosi pavoni). Scalza e con una pelliccia dorata dal sole infuocato del tramonto, Medea possiede già in potenza tutta l’energia che sprigionerà nel corso della vita; simbolo di ciò è il serpente che tiene tra le mani, creatura esoterica e metamorfica per eccellenza. A disturbare l’equilibrio dell’insieme è un uccello nero con un lungo becco che, posato su un ramo spoglio, presagisce il tragico destino della protagonista
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Helgi Thorgils Fridjónsson (Búðardalur, Islanda, 1953), "Fog and mushrooms", 2023. Olio su tela, 145 x 115 cm. In Fog and Mushrooms, Fridjónsson raffigura Medea come una dea della natura che genera e distrugge. Seducente e pericolosa, ci appare nuda mentre prepara uno dei suoi filtri magici. I piedi di Medea poggiano sugli stinchi di Giasone che, ammantato del vello d’oro, siede su un lembo di terra in mezzo ai flutti. Mermero e Fere, i loro figli, si aggrappano alle gambe dei genitori e la circolarità della composizione richiama la metamorfosi che genera vita, sospesa tra desiderio e sogno. I soggetti sono immersi in una luce simile a quella dei ghiacciai islandesi, in cui si può ravvisare l’eco della pittura romantica ma anche l’ironia fiabesca del mondo dei fumetti. Ogni elemento, in linea con la soggiacente poetica simbolista, presenta nel suo fascino un risvolto inquietante.
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Ruben Pang (Singapore, 1990), "Medea, My Undivided Self", 2023. Olio, resina alchidica e vernice dammar su pannello composito di alluminio, 220 × 150 cm. La Medea di Pang è una potente e indomabile mantide religiosa: la femmina dell’insetto, le cui danze per l’accoppiamento fanno pensare a dei rituali sacri, è indotta dall’istinto a divorare il maschio per assicurare nutrimento alle uova che deporrà. La capacità di ingannare, di premeditare, e l’agire repentino sono caratteristiche in contraddizione che, per l’artista, ben si adattano all’eroina. In un’atmosfera che evoca il surrealismo di Salvador Dalí e di Max Ernst, Medea, armata di coltello, sconfigge il drago, domina lo spirito del vello d’oro e sottomette Giasone, che compie due azioni contemporaneamente: lotta con il drago e affonda le mani nel vello. Ai suoi piedi c’è il corpo di uno dei figli assassinati. L’altra vittima, dice l’artista, è fuori dal quadro a osservare la scena.
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Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, 1987)"Medea pensosa", 2023. Tecnica mista su tela, 200 x 160 cm. Nazarena Poli Maramotti si ispira all’immagine didascalica di un dipinto della bottega di Corrado Giaquinto (1752). Nel quadro settecentesco l’assassinio è appena avvenuto; sui corpi dei bambini incombe un serpente che, per una contaminazione tra il mito greco e il pensiero cristiano, viene percepito come il diavolo ispiratore del delitto. L’artista opera una sorta di dissoluzione del dipinto di riferimento, facendolo diventare tutt’uno con la natura in cui è immerso. Aggiungendo materia pittorica a una prima stesura più nitida, l’artista sottrae la proprietà figurativa traducendola in un’astrazione in cui il tema dell’infanticidio è trattato come qualcosa di indicibile per l’orrore che suscita – ma che emerge tuttavia grazie al dettaglio nitido del coltello in primo piano.
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Vera Portatadino (Varese, 1984), "Chiamami pure leonessa se vuoi", 2023. Olio e gessetti su tela, 160 x 190 cm. Il titolo dell’opera di Portatadino richiama il passo della tragedia di Euripide in cui Medea, dopo aver trucidato i figli, dice a Giasone: «E ora se ti piace chiamami leonessa, chiamami Scilla, il mostro che abita la rupe tirrenica. Bene ho reso al tuo cuore, come si conveniva, colpo per colpo». Nel dipinto, una donna dei nostri giorni sembra stia per uscire di scena attraversando un giardino a piedi scalzi. Le margherite sul prato le forsizie gialle descrivono un paesaggio primaverile il cui splendore è turbato dalla presenza di due iris neri, che vestono a lutto la scena. Il taglio del quadro lascia fuori dai margini la testa della donna, che rimane così priva di una precisa identità. La scena è connotata grazie al coltello da cucina sull’erba dietro di lei.
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Chiara Calore (Abano Terme, 1994)" Mater terribilis", 2023, dittico. Olio su tela, 180 x 400 cm. L’opera ha come precedente iconografico la Medea pensosa di Henri Klagmann (1868). Nella versione di Calore, i bambini – che nel dipinto di Klagmann giocano ignari di ciò che li attende accanto alla madre seduta con un pugnale in mano – hanno corpi spezzati, che ricordano le antiche scene di deposizioni. Calore ha dapprima elaborato l’immagine in digitale, per poi decostruirla e sovrapporla, con pennellate larghe, grasse, gestuali, ad altri dettagli di figure selezionate dal web. Con una strategia vicina al metodo cubista, l’artista frammenta i soggetti mostrandoli da angolazioni diverse e in momenti temporali sfalsati. Il quadro è il risultato di un’interazione tra il linguaggio astratto e quello figurativo; tra la purezza del corpo delicato e l’astuzia emblematica di Medea.
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Margaux Bricler (Parigi, 1985) "L’omelette tragique (Sêma, Sôma)", 2020-2023. Stampa UV su Dibond spazzolato, 180 × 120 × 0,3 cm; acciaio inox, piombo, garza di cotone, vino, ossido di ferro, coltello, 213 × 142 × 45 cm. Per riflettere sulla figura di Medea, Margaux Bricler ha deciso di mettere in gioco il proprio corpo nel momento in cui sta per diventare madre: si è così autoritratta nuda in una fotografia, con una catena al piede saldata a un uovo di struzzo. Accanto a lei, dei gusci testimoniano che altre uova sono state consumate. Il telo bianco tinto di rosso che taglia in verticale lo spazio assume l’aspetto di un sudario che porta in sé le tracce di un sacrificio. La foto interagisce con la scultura dal titolo Sêma, Sôma. Questa espressione in greco antico è originariamente intesa da Platone come “prigione, corpo”, metafora che descrive il corpo come una costrizione da cui l’anima, vera essenza, si libera dopo la morte. Nell’interpretazione di Bricler, invece, sêma indica un “segnale” dato dal corpo. La maternità è perciò vista come un’esperienza ambivalente, desiderata ma anche subita per i limiti che pone alle donne.
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Medea in chiave contemporanea a Siracusa

All'Antico Mercato di Siracusa fino al 30 settembre 2023 la mostra Medea a cura di Demetrio Paparoni