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Simone Regazzoni. Jacques Derrida
Tra desiderio, scrittura e sopravvivenza
Simone Regazzoni, intervistato in occasione della Seconda edizione del Kum! Festival - Risurrezioni, diretto da Massimo Recalcati, tenutosi dal 18 al 21 ottobre 2018 presso la Mole Vanvitelliana d Ancona , parla del pensiero filosofico del suo maestro, Jacques Derrida, in relazione al tema oggetto del Festival, le risurrezioni. Non si impara a vivere se non si fa esperienza di questo nulla irrevocabile che è al cuore della vita, ma Derrida radicalizza la tradizione della filosofia che si misura con la morte: non è un misurarsi con la morte per vivere meglio o per prepararsi meglio a morire, ma per incorporare la morte, come nulla irrevocabile, al cuore della vita, anche con una sorta di fascinazione verso la pulsione di distruzione, che è in rapporto diretto con la morte. Derrida pensa alla vita come sopravvivenza, come se ci fosse una ferita mai sanata al cuore di essa. In questo senso Derrida arriva anche a parlare di risurrezione, intendendo con questo termine che noi dobbiamo fare in vita il lutto della nostra morte possibile e rinascere e accedere così alla vita a partire da questo lutto, che deve rimanere come spazio vuoto irrevocabile al cuore della vita stessa. Derrida sembra toccare, anche se non lo nomina, un grande problema teologico che è quello del sepolcro vuoto, uno spazio vuoto, di cui la teologia non sa bene che cosa fare e che la risurrezione non arriva a riempire: la risurrezione è ciò che sorge a partire da questo vuoto che va tenuto. La singolarità si costituisce come un circolo attorno a questo vuoto, che è uno spazio caratterizzato dalle pulsioni di morte ma anche dal desiderio. Siamo la nostra singolarità irriducibile nel modo in cui ci costituiamo intorno a questo vuoto. In questo Derrida ha anche iscritto quella che è la cifra del suo pensiero, cioè il desiderio di scrittura.
La filosofia come desiderio di scrittura coincide per Derrida con la costituzione dell’autobiografia, l’autos, l’essere se stessi, il bios, l’accesso alla vita e la grafia, il segno, la traccia.
C’è accesso alla vita a partire dalla scrittura, che è un plasmare la propria soggettività, la scrittura è un diventare se stessi, un farmakon, al contempo rimedio e veleno, perché la scrittura è ciò che resta quando l’assenza è totale, si misura con la potenza di sopravvivenza, ma è al contempo qualcosa che fin dall’inizio ci ricorda che ci sopravviverà: ogni testo è una sorta di testamento.
Simone Regazzoni (Genova 1975) è stato allievo di Jacques Derrida. Ha insegnato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università di Pavia. Al pensiero di Derrida ha dedicato diversi testi tra cui: “La decostruzione del politico. Undici tesi su Derrida”, il melangolo, 2006; “Derrida. Biopolitica e democrazia”, il melangolo, 2012; “Derridario. Dizionario della decostruzione”, il melangolo, 2012 (co-autore). È autore di due romanzi il cui protagonista è ispirato alla figura di Derrida: “Abyss”, Longanesi, 2014 e “Foresta di tenebra”, Longanesi, 2017.