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Limite del finito e ontologia dell'inesauribile
Ugo Perone
La questione della finitezza e dei limiti è tema prevalentemente moderno. In Heidegger essa assume una rilevanza affatto speciale, poiché la differenza ontologica diviene snodo decisivo nel quale si incrociano la finitezza gettata del Dasein e la domanda ontologica fondamentale circa l’essere. Il problema può essere invero rintracciato anche nell’antichità e nel medioevo, ma con modalità e tonalità diverse. Nuova in ogni caso è la consapevolezza di una specifica asimmetria del nesso di essere ed ente finito.
Nel secondo dopoguerra italiano dopo la crisi dell’ubriacatura neoidealista due furono le direzioni che la filosofia di ispirazione cattolica prevalentemente assunse: una ripresa del progetto metafisico classico, ma con l’esplicita intenzione di guadagnare una risposta non contraddittoria alle aporie del pensiero moderno, e uno spiritualismo personalistico non privo di matrici esistenzialistiche.
La scuola neotomista rivendica con orgoglio la possibilità di un accesso razionale all’essere, di una via metafisica non subalterna al moderno, ma sconta poi gli impacci che provengono dagli sviluppi severiniani che inclinano, per un verso, a un ridimensionamento dell’attenzione per l’ente finito ridotto ad apparire dell’essere e, per un altro, a un radicale abbandono delle opzioni metafisiche e teologiche della tradizione.
Il post-spiritualismo, specie nella versione ermeneutica, prosegue nel solco heideggeriano e fa del finito il punto di snodo della questione ontologica, pensando l’essere come un’inesauribilità suscettibile di dizioni molteplici. Ma come evidenziano gli sviluppi vattimiani deve far fronte al rischio che l’infinita dicibilità dell’essere non sfoci in una decostruzione illimitata dell’essere e in una dissoluzione della verità stessa.
Per parte mia, che mi sono formato entro questa scuola, ritengo che si possano evitare questi pericoli, pur tenendo fermo alla finitezza come via di accesso a una metafisica possibile (quella che io chiamerei metafisica a posteriori). Si tratta infatti di muovere da ciò che ci è dato, e non da ciò che è pensato, e di sottoporlo al vaglio del pensiero, determinandone fenomenologicamente il significato e prospettandone infine ermeneuticamente un senso.
Noi, esseri finiti, produciamo solo significati, ma i significati resterebbero insignificanti, pura caducità, implicito, variopinto, strisciante nihilismo, se non li pensassimo come modi di esistenza di un senso che è, ed è essere. Attraverso i significati esso è però essere esistente.Il significato è una puntualità accertabile, ma in certo modo ottusa e dialogicamente inutilizzabile. I significati possono essere isolati fenomenologicamente, ma solo un progetto ermeneutico che li inscriva in un orizzonte che trascende la puntualità e li metta in relazione tra loro è in grado di “trovare” inventivamente un senso. Tra significato/i e senso esiste una differenza ontologica, e solo con il senso si attinge un piano metafisico. Questo attingimento non è però un’ascesi irenica e graduale, poiché nella differenza è contenuta anche un’opposizione: i significati, che abbisognano di un compimento di senso, anche vi si oppongono; il senso, che accoglie e valorizza i significati, anche ne mette in crisi la consistenza (come nel rapporto di ultimo e penultimo in Bonhoeffer).
A mio modo di vedere, l’ermeneutica - questa ermeneutica - è una sorta di metafisica della modernità. Essa è il modo in cui si resiste alla strisciante secolarizzazione della verità (operazione del tutto parallela alla secolarizzazione come l’abbiamo sperimentata in ambito teologico religioso), accettando che le interpretazioni – modo con cui si dà espressione alla verità – siano molteplici e anche concorrenti, pur tenendo sempre fermo a un valore veritativo essenziale che le sostanzia e le sorregge. Con ciò l’ermeneutica dà conto di una crisi epocale che ha coinvolto il nostro sistema culturale di riferimento, ma vi vede un’opportunità non spenta di dare (e dire) testimonianza della verità. L’esistenza non è l’essere, neppure l’apparire dell’essere, ma dell’essere, che la fonda, dice e dà testimonianza.
Penso che sia questa la via da seguire nel concreto esercizio della filosofia. La questione antica del tempo, pensato superando l’alternativa classica tra concezione soggettiva e oggettiva del tempo mi pare sia singolarmente prossima a quanto detto fin qui e prometta utili sviluppi. Nel tempo, che passa e resta, vi è una traccia preziosa di intreccio asimmetrico di finitezza e infinità. Il tempo dice di una relazione fontale tra caducità ed eternità, tra finitezza e compimento. Del resto, è proprio nel tempo che cerchiamo di attingere e di fermare qualcosa che eccede il tempo.
Ugo Perone è un filosofo e uomo politico italiano (Torino 1945). Laureatosi in Filosofia teoretica con Luigi Pareyson nel 1967, ha insegnato presso le università di Torino, Roma “Tor Vergata” e del Piemonte Orientale, dove dal 2005 è direttore del Dipartimento di Studi Umanistici. Dopo aver soggiornato a lungo in Germania (Monaco, Friburgo, Berlino), dal 2001 al 2003 ha diretto l’Istituto italiano di cultura a Berlino. Nel 2006 ha fondato la Scuola di Alta Formazione Filosofica (SdAFF) di cui è direttore; è presidente dell’Associazione Italiana per gli Studi di Filosofia e Teologia (AISFET) e membro del direttivo nazionale della Società Filosofica Italiana (SFI), nonché Senior Fellow del Collegium Budapest. Già assessore alla cultura della Città di Torino dal 1993 al 2001 (giunta Castellani), dal 2009 è assessore alla cultura e al turismo della Provincia di Torino (giunta Saitta). Ha tenuto conferenze nelle principali università italiane e straniere e ha all’attivo numerose pubblicazioni su studi di carattere storiografico, tra queste si ricordano Schiller: la totalita interrotta (1982), Modernità e memoria (1987), Nonostante il soggetto (1995), Il presente possibile (2005), La verità del sentimento (2008); in collaborazione con altri autori ha pubblicato diversi testi di Storia della filosofia per le scuole. Inoltre in occasione dei suoi sessant’anni alcuni allievi hanno realizzato il volume Interruzioni. Note sulla filosofia di Ugo Perone (2006). Tra i numerosi libri che ha curato si ricorda Filosofia dell’avvenire (2010).