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Oswald Spengler. Il tramonto dell'Europa

Domenico Conte

Nel video il professor Domenico Conte, intervistato a Napoli nella sede della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, parla del filosofo e storico tedesco Oswald Spengler (Blankenburg im Harz, Sassonia-Anhalt, 1880 - Monaco di Baviera 1936).
Nell’autunno 1918, mentre sta per finire la Prima Guerra Mondiale, viene pubblicato Il tramonto dell’Occidente, un libro scritto da un autore in quel momento sconosciuto, un ex professore liceale che aveva insegnato storia e matematica ad Amburgo e che poi si era trasferito a Monaco come libero studioso. Nel giro di pochi mesi il libro diventa un grande successo e si scatena la "controversia Spengler" (Spengler-Streit): sull'idea del tramonto dell’Occidente, che è il tramonto dell’Europa, intervengono gli autori più importanti in quegli anni, come Thomas Mann, Robert Musil, Friedrich Meinecke, Benedetto Croce.
Spengler guarda alla storia universale come ad una storia di civiltà e le civiltà sono organismi, che hanno una vita, nascono, crescono, invecchiano e muoiono. 

Ogni civiltà ha una sua anima (Seelentum), che la distingue da tutte le altre e l’Occidente è la civiltà faustiana, la civiltà dello «spazio infinito», perché nell’Occidente tutto tende verso la lontananza, verso la scoperta di terre incognite, verso il dominio. 

La coppia concettuale ideata da Spengler, civiltà/civilizzazione (Kultur/Zivilisation),  è destinata a diventare celeberrima. La civiltà è la fase ascendente e la civilizzazione quella discendente, di cristallizzazione e inaridimento. Spengler è uno straordinario interprete dei fenomeni della modernità e della contemporaneità, il suo sguardo è molto acuto nello scrutare i processi di tecnicizzazione, di massificazione, di globalizzazione. Nelle metropoli come Londra, New York, Berlino, che divora la vita del popolo tedesco, le anime sono «sorde e cieche». 

                 

Nel tramonto della civiltà Spengler vede il tramonto dell’egemonia europea: al culmine della parabola dell’Europa, egli riesce a cogliere la crisi dell’egemonia culturale, politica e militare europea e comprende che l’Europa non è più il centro del mondo.                             

C’è però un’ambiguità nel suo discorso sulla civilizzazione: il suo sguardo potrebbe sembrare a prima vista privo di speranza, ma sottilmente emerge una possibilità di rinascita. In una delle sue opere conclusive Spengler si chiede retoricamente «ma noi tedeschi siamo un popolo attuale?» e la sua risposta è affermativa, dice che allora bisogna capire che «è una fortuna essere qui». 



Domenico Conte è professore ordinario di Storia della filosofia nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove attualmente insegna Filosofia e storia della cultura e coordina il Corso di dottorato in Scienze Filosofiche. È membro dell’Accademia Pontaniana e dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche, di cui è stato per due mandati Presidente. È stato anche Presidente Generale della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli. Domenico Conte è studioso della storia della cultura italiana e tedesca fra Otto e Novecento. Fra le sue pubblicazioni si ricordano: Viandante nel Novecento. Thomas Mann e la storia (2019); Primitivismo e umanesimo notturno. Saggi su Thomas Mann (2013); Albe e tramonti d’Europa. Su Jünger e Spengler (2009); Storia universale e patologia dello spirito. Saggio su Croce (2005, trad. tedesca 2007), per il quale ha ricevuto il «Premio Federico Chabod» dell’Accademia dei Lincei; Introduzione a Spengler, 1997 (trad. tedesca 2004); Catene di civiltà. Studi su Spengler, 1994.