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Antonio Carulli. Dove si muore
Sull'idea di Città e i suoi annessi
Un’indagine metafisica sulla Città, il luogo dove la morte, la necessità e l’impossibilità di scomparire nel nulla assoluto si rivelano con una chiarezza spaventosa, contro tanta sociologia e urbanistica anodine, contro la romantica visione della Città come posto di socialità e libera costruzione del senso umano.
Non si sfugge alla città come non si sfugge a Dio, non si sfugge al destino, al destino acrimonioso che ci perseguita.
La città è come la tecnica: nate per servire l’uomo alla fine stanno mostrando che l’uomo è sostituibile.
A noi basta il cattivo presagio di Frank Lloyd Wright: “Guardare la pianta di una grande Città è come guardare la sezione di
un tumore fibroso”. La Città deve pagare l’accumulo dei padri, le loro colpe architettoniche, le loro bramosie accumulative. Secondo Spengler la metropoli è negativa, si fa a spese del paesaggio e della Natura. La Città rompe l’androginia, è maschia, aggressiva, dominante, metastatica, invasiva.
Col peggio di noi allora ha a che fare la Città: illegale, potere subìto, morte. È la Città a ricordarci che siamo preceduti, siamo alle prese con un che che starà nei secoli dei secoli (senza tirare fuori la banalità della Città eterna).
Ogni singolo cadavere richiede un’attenzione particolare che non sia quella fatta di fiori e parole di zucchero o fuoco. Esso sarebbe
indegno di una Estetica trascendentale. O meglio, sarebbe oggetto per l’Estetica trascendentale di altri, cioè della nostra cui non è possibile
mettere capo. Nulla più di un morto “vive”, è preda di processi di grande “motilità” (il tema che viene radicalmente saltato).
L’urna con le ceneri del caro estinto non è nulla, è ancora qualcosa.
L’unica differenza vera tra un morto e un vivente è nello spazio occupato. Tutto qui. La scelta di vedere la vita fermarsi al cadavere e
poco oltre, turandosi le nari, sino alla decomposizione incipiente, è quanto di più iniquo si possa pensare. Sulla realissima decomposizione
è piombata la rimozione. La volatilizzazione del corpo – sottratto proditoriamente allo spazio-tempo nel momento esatto in cui viene
posto nella cassa da morto, cioè in un non-luogo/non-tempo – confina ciò che ancora c’è sulla terra nella pura Dialettica trascendentale
di un Kant. Lo spirito che aleggerebbe su di noi e ci guarderebbe dai cieli (chi dice così e chi dice non essere vero tutto ciò) è quel
corpo che c’è ma come non ci fosse più per la maggior parte delle persone. Il cattivo odore? È solo la continuazione di un olezzo.
La decomposizione? È solo una cospicua variazione, un differente dislocarsi di parti (cfr. il discorso di impossibile Gestalt nella parte
finale del Teeteto).
Si gonfia, agita, irrigidisce, ingrandisce, schiuma, avvizzisce, male odora, contrae, caccia fuori gli occhi dalle orbite e modifica
la tensione dello scroto, espelle le feci: è un morto, ma pare la descrizione di un vivente.
Il problema della morte è toto coelo un problema di parti come il Tutto. Se da vivo l’umano sarebbe la mente intemporale, il cadavere
non è già il teschio resistentissimo? E allora?
Già Kant nella Monadologia fisica ci ricorda che l’ultima divisione di una sostanza non può essere un che di semplice a sua volta. Per
noi significa molto.
La sopravvivenza dopo la morte, basta che ci sia una nostra parte a sopravviverci ed è fatta (è Aristotele, Categorie a garantirci
che il corpo ha limite comune nella superficie in cui le parti del corpo si uniscono occupando un certo spazio).
Le Città restano con dei resti allora al loro interno.
Antonio Carulli (Bari, 1983) è dottore di ricerca in filosofia. Mosso da interessi classici di metafisica e politica – Oggettività dell'Impolitico. Riflessioni negative a partire da Walter Benjamin (2013), De contemptu (Dallo Schelling tardo), 2014 – è giunto ad esiti originali con la produzione dei volumi: Sfiducia e sragione. Trattato teologico-politico (2018), Teoria della destra contemporanea (2022), Studio della donna (2022). E’ assertore della verità ontologica di essenti che non giungono mai all'annullamento definitivo: una filosofia che lo distanzia dagli ‘eternisti’ come pure dai cultori del puro annientamento. Ha studiato a fondo il pensiero di Sgalambro (collettanei: Caro misantropo, 2015, La piccola verità, 2019; monografie: Introduzione a Sgalambro, 2017; Sgalambro materialista, 2022).