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Marcella Emiliani: Robinson Crusoe e il mito del buon selvaggio
Una riflessione sul personaggio creato da Daniel Defoe
Marcella Emiliani spiega in che modo il più celebre romanzo di Daniel Defoe, Robinson Crusoe, ha contribuito a forgiare la mentalità con cui poi l’Europa, e la Gran Bretagna in particolare, si sono poste nel momento della grande globalizzazione del diciannovesimo secolo. I presupposti di questa mentalità erano sostanzialmente due. Il primo: il mercantilismo, la conquista economica; l’altro l’idea che i territori conquistati fossero abitati da “buoni selvaggi” che avrebbero accolto di buon grado questa civiltà superiore portata dall’uomo bianco. Nessuno però ha mai chiesto a vari Venerdì se erano o non erano contenti di accettare la spoliazione delle loro ricchezze, lo schiavismo, la depredazione di qualsiasi risorsa i loro territori contenessero. Robinson Crusoe è stato pubblicato nel 1719, ma siamo così sicuri che quella mentalità che era basata su un concetto di supremazia dell’uomo bianco sia davvero finita? Pensiamoci quando ci ritroviamo in casa una moltitudine di Venerdì che sono arrivati qui sull’onda della globalizzazione di oggi, quella che stiamo vivendo. L'incipit di Robinson:
Io nacqui nel 1632 nella città di York da una buona famiglia che peraltro non era del luogo. mio padre infatti era uno straniero di Brema, e in un primo tempo si era stabilito a Hull. Poi, grazie al commercio, aveva accumulato un ragguardevole patrimonio, cosicché abbandonati i propri affetti, aveva scelto di vivere a York e vi aveva sposato mia madre, appartenente a un'ottima famiglia locale.