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Vita di Dino Campana
Un ritratto
Sulla scorta degli scritti di Montale e Vassalli, ripercorriamo la tormentata vita del poeta Dino Campana (1885-1932). Visitiamo i luoghi dei suoi vagabondaggi interiori e reali: il primo ricovero in manicomio, lo studio della chimica, per lui “incomprensibile”, il viaggio al di là dell’oceano, a Buenos Aires. Attraverso passaggi drammatici, come la disattenzione da parte dell’ambiente letterario dell’epoca e la perdita del manoscritto dei Canti Orfici, l’amore passionale e sfortunato per la scrittrice Sibilla Aleramo e il definitivo internamento nel 1918, si ricostruisce la biografia di un poeta “di rottura” su cui ancora oggi la critica si divide. Chimera:
Dino Campana nasce a Marradi, in provincia di Firenze nel 1885. Tra le voci più significative della poesia del ‘900, è autore dei Canti orfici. Di questa raccolta viene smarrito il manoscritto consegnato a Papini e Soffici e l’autore è costretto a ricostruire i testi a memoria. Una prima edizione viene stampata a spese di Campana da un tipografo di Marradi nel 1914. Personalità travagliata, chiude i suoi giorni nel 1932 nel manicomio di Castel Pulci dove era stato ricoverato del 1918. Il carteggio con la scrittrice Sibilla Aleramo, con cui stringe una tormentata relazione, è pubblicato in Un viaggio chiamato amore.Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina O Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l'immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.