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Addio a Vitaliano Trevisan
La nostra intervista sul suo romanzo Works
A sessantun anni è morto lo scrittore Vitaliano Trevisan. Era nato a Sandrigo, vicino Vicenza, nel 1960. In Works (Einaudi) aveva raccontato sé stesso e il proprio paese attraverso la chiave del lavoro. Dai quindici ai cinquant’anni di lavori ne aveva cambiati tanti, partendo da operaio in una fabbrica di gabbie per uccelli e finendo come portiere di notte (ma nel suo variegato curriculum compaiono anche le qualifiche di magazziniere, manovale, disegnatore di cucine, cameriere, gelataio, geometra condonatore, lattoniere, mobilitato, spacciatore di acidi, ladro di giacche, disegnatore tecnico, garzone di orefice, caposquadra per la manutenzione degli spazi verdi). Sin dall’inizio Trevisan sapeva cosa voleva fare nella vita e cioè lo scrittore, ma prima di arrivare a pubblicare un libro, e soprattutto a guadagnare con la scrittura, c’è stata la lunga discesa nell’inferno dei lavoratori. A partire dal Nord Est aveva delineato un ritratto dell’Italia contemporanea, dei suoi mille vizi e delle sue scarse virtù.
Andrea Cortellessa, Le parole e le cose su Works:
Andrea Cortellessa, Le parole e le cose su Works:
Vitaliano Trevisan nasce a Sandrigo nel 1960. Einaudi Stile libero ha pubblicato I quindicimila passi, un resoconto (2002), Un mondo meraviglioso, uno standard (2003), Shorts (2004), Il ponte, un crollo (2007) e Grotteschi e Arabeschi (2009). Per il teatro, Trevisan ha curato nel 2004 l'adattamento di Giulietta di Federico Fellini e ha scritto, tra gli altri, Il lavoro rende liberi, messo in scena nel 2005 da Toni Servillo, e i monologhi Oscillazioni e Solo RH, pubblicati da Einaudi nel volume Due monologhi (2009). Per il cinema, è stato sceneggiatore e attore in Primo amore di Matteo Garrone e attore in Riparo di Marco Simon Puccioni e in Senza lasciare traccia di Gianclaudio Cappai. Sempre per Einaudi, nel 2011 ha pubblicato Una notte in Tunisia e nel 2016 Works.lo sguardo più disincantato, cinico e politicamente scorretto, il più visceralmente violento e il più gelidamente accorato, che nella nostra letteratura si posi, oggi, sull’inconveniente di essere nati.