Rai Cultura

Miguel De Cervantes e l'inganno della letteratura

Intervista a Corrado Bologna

Corrado Bologna, professore di filologia romanza all'Università "La Sapienza" di Roma, ha condotto per Radio Tre Suite una rilettura critica del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes e ha firmato la prefazione alla riedizione dell'opera di Miguel de Unamuno, dedicata appunto al mitico hidalgo.

Il Don Chisciotte è un libro in due volumi, creati in anni diversi. Ci può spiegare la differenza tra il primo e il secondo volume?
Il Don Chisciotte nasce nel 1605, 400 anni fa esattamente venne pubblicato il primo dei due volumi che lo costituiscono. Dieci anni dopo, visto il successo e che qualcuno aveva cominciato a scrivere delle storie apocrife, finte sul don Chisciotte, Cervantes decise di pubblicare un secondo volume in cui i personaggi hanno letto il primo volume. Da subito questo libro si presenta dunque come una meravigliosa biblioteca nella biblioteca, un gioco del libro nel libro, questo è uno degli aspetti della sua grande modernità.

Cervantes ebbe una vita molto avventurosa, che andò a confluire nella sua scrittura, alcune delle vicende narrate nel Chisciotte ce ne parlano.
Cervantes ebbe una vita non facile, figlio di un cerusico ambulante, in una rissa compì un reato e venne condannato al taglio della mano destra, per nostra e sua fortuna non perderà la mano. Fuggì infatti in Italia e partecipò nel 1571 alla battaglia di Lepanto, di conseguenza le storie delle battaglie dei paladini moderni che i due goffi straordinariamente eroicomici personaggi Chisciotte e Sancho sono anche un riflesso della sua vita. Alla battaglia di Lepanto perde la mano sinistra, con una sola mano continuerà a combattere, viene preso prigioniero, mandato ad Algeri, dove rimane cinque anni. Sembra sia stato anche nel sud d’Italia a curarsi e in questa occasione probabilmente vide il teatro dei pupi, dei pupi siciliani, che forse ispirarono con le loro storie dei paladini trasmesse lungo i secoli almeno in parte le storie di Chisciotte e di Sancho. Un episodio preciso del primo dei due Chisciotte, quello del 1605, presenta mastro Pedro in azione con il suo retablo, i suoi burattini, quindi abbiamo effettivamente un innesto non solo dei grandi libri di cavalleria ma anche delle piccole storie buone per i bambini, quelle dei burattini, dei pupi, che oggi Mimmo Cuticchio conserva nel suo cunto e non a caso la Rai, alla radio, presenta un Chisciotte assieme a Mimmo Cuticchio.

Don Chisciotte e Sancho Panza sono definiti due personaggi picareschi, ma che cosa si intende con picaro e con letteratura picaresca?
Uno dei più celebri picari è Lazarillo de Tormes. Intorno alla metà del secolo sedicesimo, una cinquantina di anni prima che Cervantes scriva il suo capolavoro, appare questo grande libro, Lazarillo è un briccone un trickster, un personaggio che muore di fame, che chiede l’elemosina, che vive sempre ai bordi della società civile, oltraggia le regole ed è accompagnato da un cieco e da un curato: i due personaggi, diventeranno il barbiere e il curato che compaiono con il fido scudiero anche nel Chisciotte. La letteratura picaresca è dunque letteratura eroicomica che riprende la tradizione del cavaliere errante e la riduce ai brandelli della quotidianità, ne fa una giocosa messa in scena teatrale dell’antica ed eroica letteratura dei cavalieri erranti, che vanno nel mondo, come diceva uno degli autori dei romanzi medioevali, in cerca del senso del mondo; oramai il senso del mondo sembra essersi perduto, il picaro e il Chisciotte, che del picaro prende la tradizione e la rinnova, rappresenta il punto di saldatura e di rottura suprema tra il senso del mondo che la letteratura riproduce e il mondo che ha perduto i sui sensi.

In questo senso Sancho è per Chisciotte un ancoraggio alla realtà?
Kafka ha scritto un piccolo racconto che si chiama “La verità su Sancho Panza”, in cui sostiene che Chisciotte è un invenzione di Sancho. Sancho è la realtà, ma è contemporaneamente un profondo rivoluzionario. Chisciotte crede ancora nella possibilità che i libri riproducano il reale, gli diano senso, esattamente come i libri di cavalleria medioevali facevano; il vero conservatore, anzi il vero reazionario, in fondo è lui che vuole nel pieno di una società come quella barocca, come quella che ha conquistato oramai il nuovo mondo, combattendo le grandi guerre di religione, in questo tipo di società, Chisciotte vuole conservare la cavalleria, vuole come dice in un punto del suo romanzo, rinnovare, richiamare in vita tutti i grandi cavalieri del passato; è lui stesso tutti i cavalieri del passato, ed in questa dimensione è un conservatore.

Quindi che cos’è Chisciotte, l’archetipo dell’idealista o sono i mulini a vento la realtà, con cosa si è scontrato per tutta la sua vita con la realtà o con un falso idealismo?
Chisciotte è diventato pazzo a forza di leggere libri, sappiamo bene che il curato e il barbiere andranno nella sua biblioteca prenderanno tutti i libri e li butteranno in un rogo, su questo rapporto tra i libri e la realtà Michael Focault nel libro Le parole e le cose dedicava un bellissimo intervento proprio a Chisciotte dicendo qualcosa che mi pare importante ricordare: “Chisciotte vuole essere fedele al libro che è divenuto, lui stesso è il proprio libro, è in carne ed ossa” e cerca nella sua vita di conservare la somiglianza tra la scrittura e la realtà.

Tutto il medioevo ha ribadito che le parole e le cose sono speculari l’una all’altra, sono uno specchio, nelle parole di un testo sacro come la Bibbia, il medioevo cerca il rispecchiamento della realtà o viceversa. Chisciotte rimane fedele a questo ideale, Focault lo descrive come un pazzo in quanto continua ad essere in un mondo che non lo sopporta più, non sopporta più questo legame profondo di somiglianza tra le parole e le cose, tra la scrittura e la realtà, e continua "ad essere l’uomo delle somiglianze selvagge”.

Focault dice che il pazzo è questo ma è anche il poeta, colui che al di sotto delle differenze nominate e quotidianamente previste della vita di tutti i giorni ritrova le parentele sepolte delle cose, le loro similitudini disperse. Ecco questo credo sia Chisciotte, il vero conflitto non è con i mulini a vento, con il mago Frestone che ha trasformato i giganti in mulini per ingannarlo e sottrargli la fama, il vero problema è che quelli sono mulini Chisciotte lo sa, lo sa anche Sancho. Chisciotte sa che Dulcinea è una donna umile e nemmeno troppo bella, non importa ciò che importa è trovare le somiglianze e credere che queste somiglianze siano ancora la realtà. Quei mulini sono mulini ma Chisciotte dice che assomigliano tanto ai giganti che lo diventano, questo cercare ossessivamente similitudini, rapporti tra le cose che sono e le cose che vorremmo che fossero è in fondo la vera follia di Chischiotte, che è una follia tutta letteraria, è la letteratura come follia, una follia necessaria.

In questo senso è Chisciotte a offrire un senso alle cose che lo circondano?
Non solo è lui a fare questo, ma diciamo che in questo libro, che è un libro-mondo, un libro-universo, il reale in realtà non ha spazio. Chisciotte non esce mai dai libri, dal libro in cui vive, è una biblioteca vivente, questa biblioteca coincide ancora perfettamente per lui con tutto il mondo e questo offre senso al mondo, carica di segni la realtà, in quanto la realtà è già stata caricata dalla letteratura di segni. Lui deposita nella sua memoria infinita, che è memoria di letteratura, tutto ciò che i libri hanno raccontato. Borges ha scritto alcune pagine meravigliose su Chisciotte, in una pagina di Finzioni scrive che Pierre Menard volle riscrivere il Chisciotte, anzi lo volle proprio scrivere e si mise non a copiare il libro ma a scriverlo così come era stato scritto, ad esempio “la verità la cui madre è la storia emula del tempo deposito delle azioni”, frase in cui noi riconosciamo una prosa barocca e che Pierre Merard riscrive in questo modo “la verità la cui madre è la storia emula del tempo deposito delle azioni”, riproducendo quindi esattamente lo stesso testo. Borges come Focault, che conosce molto bene Borges, e lo mette alla base del suo libro, colgono nel libro di Cervantes un grande gioco sulla realtà, ma anche un gioco in cui noi siamo coinvolti, perché in fin dei conti se i personaggi di una finzione possono leggere il libro in cui essi esistono, allora anche noi possiamo essere finti, fittizi, essere noi stessi personaggi di un grande libro, quel grande libro che è la storia nella quale noi stessi siamo iscritti. Ecco al di sotto della meraviglia delle fiabe, delle avventure del Chisciotte c’è questo profondo riflettere sulla realtà del mondo in mutamento, sulla realtà della modernità che trasforma alla radice i rapporti sociali, politici, culturali tra le persone, tra le classi e anche tra le idee delle persone e le parole che queste idee rappresentano. In questo senso dunque è un libro che genera altri libri: così fu per L’idiota di Dostoevskij, uno dei suoi grandi libri, quando ideò il personaggio del principe Myškin pensò a Chisciotte e scrisse nei suoi appunti che il principe doveva camminare come Chisciotte, avere quell’andatura traballante nel mondo. L’idiota è ancora il folle, è ancora il folle che non riesce a venire a patti con le proprie idee e la propria interiorità, con il proprio esteriore, la letteratura e la vita.

Don Chisciotte quindi è ingannato dalla letteratura?
Don Chisciotte è l’inganno della letteratura, è l’autoinganno della letteratura. Il poeta è colui che in realtà trova la misura delle cose nel essere somiglianti alle idee che ci facciamo su di esse, ma non perfettamente coincidenti, va sempre in cerca di uno scarto sottile tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse, ciò che è e ciò che crediamo sia, quindi trova le similitudini disperse tra le cose, quelle che gli occhi quotidiani non vedono: questa è la grande virtù del poeta Chisciotte, dell’avventuroso folle che ci fa saggi con la sua follia, come diceva Unamuno.

Quindi quello di Chisciotte è un inganno necessario, è la necessità di andare oltre l’apparenza della realtà?
Penso che non ci sia nulla di più necessario della letteratura, cioè di Chisciotte, la sua necessità sta proprio nel fatto che non serve proprio a nulla, cioè che non è al servizio di nulla. A che serve una poesia? Direi che una poesia non serve, è quel dono di cui Giorgio Caproni ci ha parlato in una splendida poesia di Res Amissa: un dono che come una rosa ha le sue spine, dimentichiamo chi ci ha fatto quel dono e ci rimane la rosa. La poesia è questo, la letteratura è questo: una necessaria finzione che non deve portarci fuori dal reale, deve aprire nel reale uno spazio che non è al servizio di nulla, che non serve, e per questo è necessario.

Don Chisciotte in questi quattrocento anni ha continuato a ispirare autori e poeti, anche molto lontani da lui, è così anche oggi?
Io credo che questo personaggio abbia ispirato e continui ad ispirare oggi i cantautori. Francesco Guccini ha scritto una bellissimo testo, che è anche una bellissima canzone su Chisciotte, in cui Chisciotte parla con Sancho e gli spiega che anche lui è stato un realista, poi ho scoperto che essere idealisti è più importante che essere realisti, l’idealista è un realista che nella realtà trova un seme nuovo, trova un senso che il puro realista non riesce a riconoscere. E’ quel di più, è quell’aggiunta del gratuito, dell’inutile e quindi necessario che è appunto il farsi delle idee, avere un’ideale. Cito solo Guccini, ma potrebbe essere citato Lucio dalla, che ama molto Chisciotte, oppure Mimmo Cuticchio, puparo e cantastorie, un grande cantastorie siciliano che ha ripreso questo tema e ne ha colto la violenta presenza nel mondo quotidiano, un mondo di gente che non fa che invitarci a credere soltanto alla realtà, all’importanza del successo, del guadagno, delle cose.

Non fidiamoci troppo di quel Sancho che quotidianamente ci dice che il reale è così come noi lo vediamo. Non fidiamoci, in questo non fidarsi c’è ancora io credo lo spirito necessario, gratuito e un po’ folle di Chisciotte.


Quali sono i mulini a vento, l’idealità nella realtà per cui oggi Don Chisciotte si batterebbe?
I giovani non credono più nel donchisciottismo, io credo vada di nuovo proposta loro non la follia del don Chisciotte ma questo scarto rispetto al reale, questa voglia di conservare se stessi, le idee, il passato che siamo e la tradizione che portiamo. Lo scollamento che noi stiamo provando, che i giovani stanno provando, per esempio verso la politica, la sfiducia nella politica, il non sentirsi più riconosciuti nella delega politica, e di conseguenza l’abbandono dell’idealità, e della partecipazione al reale (partecipare vuol dire non tanto appropriarsi del reale quanto volerlo cambiare, voler interferire con esso) credo che in questo interstizio delicato e difficile si trovi forse una risposta a questa domanda. C’è un punto, vorrei proporlo come allegoria, che è forse anche un’allegoria di tipo politico e civile: anche Sancho diventa Chisciotte ad un certo punto. Chisciotte promette a Sancho, in uno dei primi capitoli del libro: “se verrai con me nelle mie avventure ti regalerò un’isola come Alessandro magno nella tradizione letteraria aveva fatto con un suo giullare”. Sancho crede in questa isola, ma è proprio questo credere profondamente e aspettare l’isola e cercarla e combattere a fianco del suo eroe che fa di Sancho un piccolo don Chisciotte, un Chisciotte in potenza. Sancho crede nell’isola combatte per l’isola e quando vede Chisciotte che crede morto, disteso nel letto, incomincia a piangere disperato. Ciò che conta non è l’isola, che non c’è appunto, ma è questo cercarla, questo continuare a sognarla, a immaginarla, a farla esistere nella realtà, in quanto idealità della realtà, desiderio di cambiarla. Vorrei concludere con un gesto, la mano appoggiata alla guancia, "la mano en la mejilla" come scrive Cervantes, credo che in questo piccolo gesto profondo stia una grande metafora, una grande allegoria. Chisciotte ha combattuto contro dei pastori, ha ucciso le loro pecore, i pastori si indignano e gli danno delle bastonate, gli rompono i denti. Chisciotte tiene le mascelle con la mano per non perdere i denti. Sancho lo osserva da lontano e dice “che uomo riflessivo, che uomo pensoso questo mio padrone, così si diventa cavalieri”, si appoggia all’asino e mette la mano sulla guancia, un piccolo gesto che è il gesto della malinconia, il gesto di Dürer ne L’angelo malinconico, è il gesto di una lunga tradizione medioevale moderna e contemporanea dell’essere pensosi dell’essere tristi, malinconici. Chisciotte non fa quel gesto, ma è l’interpretazione sbagliata di Sancho che lo realizza. Chisciotte si tiene i denti che gli stanno cadendo, Sancho imita quel gesto per diventare qualcosa che non potrà mai essere. Scopriamo che nel prologo a questo superbo libro che contiene molti libri c’è la spiegazione di cui non c’eravamo accorti, scopriamo che Cervantes scrive:

Mentre io sto scrivendo il prologo del libro che tu stai leggendo, mio disoccupato e fannullone lettore sono qui con la mano nella guancia e non so bene cosa metterci dentro.


Chisciotte tiene i denti come avrebbe fatto un umile realista quale è Sancho, Sancho al contrario crede con questo gesto di diventare un cavaliere filosofico, ma sta in realtà sbagliando, in questo piccolo errore entrambi sono lo stesso Cervantes. Ecco io direi mettiamoci la mano sulla guancia riflettiamo un poco su tutto questo e forse tutto questo ci porterà ad essere un po’ Sancho e un po’ Chisciotte, ogni giorno della nostra vita.

Intervista a cura di Daniela Basso