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Laura Imai Messina, Quel che affidiamo al vento

Dar voce al dolore

Yui ha trent’anni, vive in Giappone, lavora alla radio e ha perso la madre e la figlia di tre anni nello tsunami dell’11 marzo 2011. Un giorno intervenendo nel suo programma, un ascoltatore parla di un giardino nel nord est del paese dove c’è una cabina con un vecchio telefono nero in cui la gente va a parlare con i propri morti. Lei parte. Per anni frequenterà il giardino di Bell Gardia, diventerà amica dei custodi e di alcune delle persone in lutto, s’innamorerà di Takeshi, un medico a cui è morta la moglie di cancro e che ha una bambina che ha smesso di parlare e alla fine anche lei riuscirà a prendere in mano la cornetta di quel telefono. Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina, pubblicato da Piemme, è un romanzo sul rapporto che non si esaurisce mai tra i vivi e i morti, sul bisogno di dare espressione verbale a ciò che ci portiamo dentro, sull’accettazione dei limiti della nostra esistenza. 

Yui pensò allora che la cornetta, più che incanalare e guidare le voci verso un solo orecchio, avesse il compito di diffonderle in aria. Si domandò se quei morti richiamati alla vita di qua, in quella di là non si tenessero invece per mano, se non finissero per fare conoscenza tra loro, e per dare vita a storie che i vivi ignoravano completamente. Altrimenti come spiegare quella leggerezza? La morte, lì, sembrava una bellissima cosa.

Laura Imai Messina è nata a Roma. A 23 anni si è trasferita a Tokyo dove ha conseguito un PhD presso la Tokyo University of Foreign Studies. Insegna in  diverse  università della capitale. Ha esordito con successo nel 2014 con Tokyo Orizzontale (Piemme). Nel 2018, sempre per Piemme, è uscito Non oso dire la gioia, e per Vallardi Wa. La via giapponese all’armonia. www.lauraimaimessina.com