Rai Cultura

Giancarlo Liviano D'Arcangelo, L.O.V.E.

L'immane violenza del capitalismo

Ha una silhouette da orso, non è mai stato con una donna, in famiglia conta meno di zero: così si presenta Giordano Giordano, io narrante del fluviale romanzo di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, L.O.V.E., pubblicato dal Saggiatore. Il padre di Giordano, Italo, figlio di contadini divenuti venditori ambulanti, ha creato un impero economico e finanziario, la Sunrise Inc. e l’erede designato è il figlio maggiore Isacco, perfettamente allineato con le idee paterne sia per quanto riguarda l’espansione del capitale sia per l’atteggiamento predatorio nei confronti dell’altro sesso. Succede però che durante un viaggio in Iraq per stringere affari nel bel mezzo della guerra, Isacco salti su una mina e muoia sul colpo e poco dopo muoia anche Italo d’infarto. Una volta trovatosi a capo della Sunrise, Giordano oscilla tra il desiderio di cambiare tutto, migliorando le condizioni di vita degli operai secondo il modello di Adriano Olivetti e quello di rendere ancora peggiore il loro status, applicando regole arbitrarie agli avanzamenti di carriera e un sistema di delazione. Giordano ama Erica, la ex moglie del fratello (o forse no?) e con le due prostitute d’alto bordo con cui s’intrattiene nel corso della storia o domina in modo violento o è dominato. Un ritratto spietato dei lati oscuri del capitalismo, di una società in cui contano solo i soldi e si è persa ogni traccia dei principi umani.

Il denaro è l’unico vero denominatore comune dell’umanità. All’improvviso ogni cosa appare finalmente collegata nel mondo, se proviamo a usare il codice del denaro. L’alfabeto del denaro. Le metriche del denaro. Il denaro come filo d’Arianna per uscire dal labirinto. Più il denaro diviene astratto per mezzo della tecnologia, più si fortifica come equivalente assoluto, come pura informazione. Come segno, quindi come cultura, quindi come ideologia, e infine come ideologia sublimata, cioè inconscio.


Giancarlo Liviano D’Arcangelo è nato a Bologna nel 1977 ed è cresciuto a Martina Franca. È scrittore e studioso di mass media. Nel 2007 ha pubblicato il romanzo d’esordio Andai, dentro la notte illuminata (Pequod), finalista al premio Viareggio.Nel 2011 ha pubblicato per Fandango il reportage narrativo Le ceneri di Mike. Nel 2013 ha pubblicato per Il Saggiatore il reportage narrativo Invisibile è la tua vera patria, sulle grandi storie dell’industria italiana dell’ultimo secolo. Nel 2014, sempre per il Saggiatore, è uscito Gloria agli eroi del mondo di sogno, sull’universo del calcio. Nel 2016, per Edizioni di Comunità, è uscito il reportage Il gigante trasparente sull’Olivetti di Ivrea, mentre per Edizioni CentoUno ha pubblicato in e-book il diario di viaggio, India magical mystery tour. Fa parte della redazione di Nuovi Argomenti, collabora con la rivista Il Reportage, e con diverse testate nazionali.

Di seguito l'intervista di Rai Letteratura.

Com’è nato questo monumentale romanzo sugli orrori del capitalismo globale nella sua versione italiana e provinciale?
L’urgenza ha avuto due matrici. La prima motivazione forte è stata onorare la funzione della letteratura come dilatazione, come arricchimento dell’immaginario e della consapevolezza del mondo. Noi, nel contemporaneo, viviamo in un mondo iper-connesso, dove è possibile conoscere praticamente in tempo reale se un koala è rimasto imprigionato in un incendio in Australia. Eppure, allo stesso tempo, la nostra consapevolezza dei processi che determinano la realtà è fortemente diminuita, perché nella bolla delle nostre vite che consistono nel circuito chiuso lavoro – consumo – svago – informazione secondo un modello che accogliamo come immodificabile i processi più profondi che regolano le nostre esistenze sono completamente omessi nella loro complessità. In questi giorni di Coronavirus ho letto spesso scrittori e intellettuali riferirsi al nostro tempo come un tempo pacifico, senza traumi, a una “normalità” pacifica che è stata strappata via dal virus, ma non è assolutamente così. L’immane, mostruosa violenza disseminata nel mondo dal capitalismo giunto nella sua fase avanzata, direi nella sua fase anarchica e integralista, è solo differita, in ombra, lontana da noi, rimossa dai media principali che ne parlano solo in alcune piccolissime nicchie spaziotemporali. Hannah Arendt, sempre illuminante, considerava i media come il luogo demandato a creare quella coltre di luoghi comuni che servono a generare la scomparsa della struttura stessa del reale, che fonda la sua architettura sulla differenza di classe e di ricchezza materiale. Ed è così. Noi tutti dovremmo sapere ad esempio che per poterci permettere dei cellulari di ultima generazione è necessario il Coltan, un minerale per la cui estrazione, in Congo, è tenuta viva da anni una guerra civile devastante. Il Coltan è un caso specifico, ma gli intrecci tra nostra “normalità” e violenza differita equiparabili a questo sono tantissimi, ne potremmo enumerare a volontà. Ecco, io volevo scrivere un romanzo che provocasse un ampliamento di percezione, un romanzo sull’antropocene e sulle sue contraddizioni, che investisse il piano collettivo e quello individuale. Che avesse la forza di chiamare in causa. E qui arriviamo alla seconda delle urgenze, che era indagare il rapporto intimo, personale, segreto, tra individuo e denaro, tra individuo e censo, tra individuo e percezione del grande meccanismo economico che ci sovrasta, tra individuo e struttura di classe, e su come venire a capo di questa tensione. Gli economisti neo-liberisti, ai quali dobbiamo l’attuale sistema, sostengono che il comportamento individualista del singolo che agisce per il proprio vantaggio crea un beneficio nel sistema economico, ma naturalmente è solo una teoria fallimentare. Sia perché non è vero che l’uomo agisce sempre razionalmente secondo il suo vantaggio economico, sia perché nell’attuale architettura gerarchica della società le leve e le pressioni sono tali che il risultato è soltanto, a tutti i livelli, il feroce imbarbarimento del mondo secondo la legge del più forte, che poi in genere è il più ricco o il più spietato. L’innalzamento del più feroce darwinismo sociale eletto a regola di vita per i più. Ritorniamo dunque all’esergo che ho inserito all’inizio del romanzo, di Pasolini. “Tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio d’amministrazione o una manovra di borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga uso la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito solo il mio diritto virtù. Sono assassino e sono buono”.

Giordano, il protagonista è connotato dall’obesità che ne fa un reietto. Lui questa obesità non la combatte anzi la usa come una membrana protettiva. Nel libro le pagine più crude sono quelle dedicate ai suoi rapporti con le donne: la vedova irachena costretta a prostituirsi, la prostituta dominatrice e Erica, l’ex moglie del fratello, idolatrata finché non si concede. Il sesso visto come dominio, come annientamento dell’altro, è l’altra faccia del capitalismo?
L’obesità di Giordano è la metafora dell’obesità del sistema e di tutta una cultura che lo rappresenta. Giordano è l’ipostasi del sistema che diviene isterica. Un segnale di tale obesità lo stiamo avendo in queste ore sospese, nelle quali qualsiasi sfumatura dell’epidemia viene commentata in tempo reale da innumerevoli soggetti, e anche sui focus sostanziali le versioni in competizione tra loro, anche quelle fornite da personaggi con i crismi dell’autorevolezza, sono numerose e generano una sorta di frastuono informativo che funge, infine, da caoticità e azzeramento della conoscenza. L’obesità del sistema è anche quella delle merci e della sovrapproduzione, e dell’utilizzo spropositato delle risorse naturali del pianeta: una forma di obesità ben rappresentata dal lavoro di alcuni artisti visuali come Edward Burtynsky, che nei suoi lavori, come Il progetto Antropocene, mostra con la potenza immediata delle immagini l’impatto abnorme e insostenibile del capitalismo anarchico sul mondo agonizzante in cui il vantaggio di pochi è la distruzione per molti. Giordano vive tuttavia l’obesità, psicologicamente, come un ostacolo a un modello di vita “possibile” che la sua ricchezza dovrebbe permettergli, un modello edonista che somiglia - e che lui identifica - per intenderci, con la vita dei calciatori o della star dello spettacolo, lo pseudo-ambiente in cui il capitale e il sistema di produzione si presentano sottoforma di immagini. Idealizzando quel modello, vive tale impossibilità come un diritto perduto. Perché solo a lui il denaro non garantisce donne splendide, spensieratezza, carisma sociale, potere, possibilità immediata di esaudire i propri desideri, di superare le proprie lacune, di sopperire alla mancanza di talento? Insomma: perché solo lui deve rinunciare alla vertigine di onnipotenza e incarnare l’impostura attraverso il censo? Questo disegno per lui non può realizzarsi, impedendogli di stare nella società dello spettacolo da vincente e consentirgli di compiere, quindi, il delitto perfetto dell’individuo che trionfa sul sistema sociale. La sua sessualità, mi pare s’inneschi in questo quadro di alienazione, ma poi si evolve in esperienza di scoperta, e infine, in strategia ironica. La sottomissione alla donna, che lui cerca schizofrenicamente attraverso la messinscena, la teatralità e il contratto rigido del Bdsm, è una fuga anche qui vertiginosa dal suo “io”, un “io” vasto almeno quanto claustrofobico. Un temporaneo abbandono alla volontà altrui, alla fatalità priva di responsabilità, accettabile solo in quanto erotica. Coincidente cioè con la soddisfazione di un desiderio. Inoltre, e questo mi è sempre sembrato l’aspetto più affascinate della personalità di Giordano, la sua fuga non è mai totale e definitiva: anche nel sesso lui vuole riprodurre la natura dei rapporti sociali nell’era del capitale, che nel contemporaneo sono tutti, nell’essenza, rapporti di potere, rapporti gerarchici. L’intuizione di rappresentare in superficie questa verità cristallina eppure rimossa attraverso l’ironia della messa in scena sadomasochista, e di conseguenza goderne pure, mi sembra la performance meglio riuscita dell’intera esistenza di Giordano. 

Il fratello maggiore di Giordano, il preferito del padre, si chiama Isacco e viene sacrificato sull’altare del denaro in una disastrosa missione nel pieno della guerra in Iraq. I soldi si fanno anche a prezzo del proprio sangue?
L’Iraq e il tentativo di cavalcare la shock economy legata alla guerra, nella mia idea doveva essere per i Giordano quello che la grossa partita di lupini avariati è per la famiglia Toscano nei Malavoglia di Verga. Ovvero la grande ordalia, il tentivo di finale di superare i limiti “biologici” della propria crescita economica. Anni fa, lavorando sulle storie industriali di grandezza e declino che ho raccontato in Invisibile è la tua vera patria, mi sono accorto di un tratto comune che prima o poi unisce tutte le vicende dei grandi imperi economici. Dopo le grandi ascese, i poderosi ingrossamenti, arriva sempre un momento in cui la grandezza biologica di un impero è superata, e i tentacoli della piovra smettono di essere controllabili fino in fondo. Divengono arti incontrollabili. Il passaggio successivo è quello della metamorfosi in multinazionale, che tuttavia è un’entità diversa, spersonalizzata, militaresca e senz’anima, che si fonda sul metodo nazista del plotone d’esecuzione. I nazisti, accorgendosi che i soldati del plotone d’esecuzione iniziavano ad avere squilibri psicologici e sensi di colpa insuperabili, caricavano a salve la maggior parte dei fucili, in modo che nessuno potesse convincersi di aver sparato la pallottola letale. Era una dilazione di responsabilità, salvifica, che facilitava l’assassinio. Lo stesso criterio vige nella macchina capitalista moderna. Ma nell’ambito di un’impresa familiare, anche molto grande, l’avidità è sempre la maggiore minaccia. Per cui direi che i soldi si fanno soprattutto a discapito del sangue degli altri, a discapito dell’ambiente biologico in cui si agisce, ma poi, qualche volta, come nel caso dei Giordano, possono esserci degli effetti indesiderati e collaterali che colpiscono anche i predatori. 

In punto di morte Italo Giordano racconta al figlio la storia del suo successo, della sua ascesa da figlio di contadini/venditori ambulanti a miliardario. Qual è la funzione di questo racconto all’interno del romanzo?
Nella mia ottica di “costruttore” la funzione di quelle pagine è molteplice. Sul piano puramente strutturale il lungo flashback su come è nata ed è cresciuta la Sunrise Inc. rompe in due il cronotopo “orizzontale” del romanzo e interrompe il susseguirsi degli eventi che determinato la vicenda principale vista con gli occhi del protagonista, Giordano. Consente di uscire dal suo punto di vista e fare una pausa dal suo flusso di coscienza, sempre sospeso tra attendibilità e inattendibilità. La digressione tuttavia non doveva essere fine a sé stessa, ma doveva consentire alla narrazione di proseguire nel suo incedere serrato. Così, in quelle pagine, viene approfondito il rapporto tra Giordano e suo padre: il loro antagonismo sfuma, così come sfumano i confini netti che Giordano vuole segnare tra la sua vocazione morale e l’immoralità di Italo. Infine, sul piano dei contenuti del romanzo, l’ascesa della Sunrise Inc. si compie nel quadro storico dell’evoluzione novecentesca del capitalismo, al contempo italiano e mondiale, decennio dopo decennio. I Giordano vivono da protagonisti o da spettatori interessati tutti i cambiamenti secolari. La guerra mondiale, la restaurazione del potere clerico fascista e dei latifondisti sotto altre forme nella nuova Italia repubblicana, il boom economico dell’Italia negli anni cinquanta e sessanta, la grande trasformazione industriale guidata dalla macchina statale, la progressiva osmosi tra economia legale ed economia mafiosa che via via si confondono sempre meglio, la fine della guerra fredda e la successiva globalizzazione, fino all’incoronamento del neo-liberismo come infezione pandemica del mondo. Volevo che tutto il novecento con la sua storia materialista ed economica fosse rappresentato attraverso la vicenda dei Giordano, affinché chiunque potesse riconoscere almeno un frammento del proprio tempo o del proprio vissuto.  

A un certo punto Giordano prova a convertirsi al vangelo olivettiano a e trasformare la sua fabbrica in un luogo vivibile ma l’esperimento fallisce miseramente. Non c’è possibile catarsi in una storia così?
Quello di catarsi è un concetto molto legato alla percezione soggettiva, a meno di non collettivizzarlo nel nome di principi religiosi condivisi. In questo senso l’errore di Giordano mi pare quello di cercare una catarsi che per lui sia reale, profonda, sostanziale. Lui non riesce mai, in nessuna fase della sua vicenda, a sentire la propria ricchezza come una sorta di diritto divino, come un “mandato celeste”. Non si cala mai in questa bolla psichica ingannevole, come avviene per la maggior parte di coloro i quali si sentono migliori degli altri solo in virtù della posizione che occupano nella scala gerarchica della società. Giordano è troppo legato a quelli che Max Stirner, nel volume L’unico e la sua proprietà chiama spettri, ovvero le ragioni ideali o valoriali che impediscono agli individui, talvolta, di divampare nel mondo come fiere o divinità, spigionando a pieno tutta la propria volontà di potenza e realizzarsi a pieno. Giordano sa molto bene che la sua opulenza non è innocente, e non lo è nemmeno anche se suo padre è stato così abile da costruire l’impero dal nulla. Lui sa bene che, direttamente o indirettamente, la sua fortuna, come tutte, è costruita sullo sfruttamento degli altri e non sa accettarlo. Le prova tutte, ma la catarsi per lui non può mai essere definitva. Provare la strategia olivettiana della fabbrica sociale, fondata su un diverso approccio al profitto e alla percezione della forza lavoro, quando s’insedia a capo della Sunrise Inc., è il suo tentativo di curarsi attraverso un farmaco salvavita da poter somministrare a sé stesso ogni giorno, senza estirpare la malattia definitivamente, ma limitandosi a tenerla sotto controllo. Tuttavia anche il migliore dei farmaci ha degli effetti collaterali, e Giordano sarà costretto a cercare cure ancora più estreme e scioccanti. Il suo dramma è non sapersi accontentare, come fanno tutti, di una catarsi “solamente sociale”, efficace al punto tale da rendere la sua azione funzionale all’egemonia: la beneficenza, i finanziamenti per l’università, per gli ospedali, per la fame nel mondo, la filantropia. C’è troppa guerra di assoluti in lui. Troppo bisogno di libertà, di odio, di vendetta, e di eternità.