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Canto 2 - Animalia
Purgatorio
Zoo
Lo zoo di Napoli è nato nel 1940, ma aperto al pubblico solo dopo la seconda guerra mondiale, nel 1949, a Fuorigrotta. Secondo in Italia dopo quello di Roma, ha ospitato diverse specie di animali in via di estinzione, come le capre napoletane. Attualmente sono presenti duecento tre specie vegetali e novantasei specie animali di tutti i continenti del mondo.
Sinossi a cura di Aldo Onorati
L’astronomia dantesca è un punto ostico, anche e soprattutto perché alcune “regole cosmologiche” sono differenti dalla visione odierna sia della Terra sia del sistema solare e dell’universo.
È mattino, sono le sei. Per noi questo basta, ma Dante infarcisce di riferimenti difficili l’indicazione dell’ora: il sole era salito all’orizzonte il cui meridiano sovrasta Gerusalemme (agli antipodi della montagna sacra) “col suo più alto punto” (lo zenit), e la notte, che ruota all’opposto del giorno, usciva fuori del Gange con la Libra (siamo perciò all’equinozio di primavera), e il Poeta vede l’aurora divenire da bianca rossa e poi arancio per la vicina nascita del Sole.
Ma dal verso nono, riprende il tono fascinoso della narrazione. Sul mare, così come rosseggia Marte basso nel cielo, ecco apparire una luce velocissima, tanto che, avendo Dante tolto per un attimo lo sguardo dall’oggetto, appena lo fissa di nuovo esso è tanto più grande, segno che si sta avvicinando rapidamente. È la barca dell’angelo nocchiero. Virgilio ordina al suo allievo di inginocchiarsi. I remi di lui sono le proprie ali. Emana uno splendore tale, che il Poeta dapprima non vi resiste: ecco un’altra caratteristica del nuovo regno (anzi: dei nuovi regni, perché pure il Paradiso ha un’intensità crescente di luce e di bellezza canora). Il piccolo vascello è a pelo d’acqua, sembra quasi non immergervisi, al contrario della barca di Caronte, pesante di peccati mortali (e il diavolo griderà al pellegrino: “Più lieve legno convien che ti porti”, a significare che Dante finirà, dopo morto, in Purgatorio). Le anime, scese sul lido, cantano l’inizio del salmo 113 (“In exitu Israel de Aegypto”) e proseguono per tutto l’inno, mentre l’angelo riprese la via verso la foce del Tevere dove lo attendevano gli spiriti destinati alla purgazione.
Il Sole dardeggiava intorno, e il Capricorno era stato scacciato dal punto più elevato del cielo, quando i nuovi venuti alzarono lo sguardo verso i due pellegrini, chiedendo spiegazioni per la strada da prendere onde salire al monte. Virgilio si dice nuovo anch’egli del luogo, ma ecco il colpo di scena, che si ripeterà in varie forme per tutta la cantica: le anime si accorgono che uno dei due incontrati è ancora vivo. Allora, la turba si meraviglia, accalcandosi verso Dante. Dal numeroso gruppo, uno si fa avanti, spingendo l’Alighieri a far “lo somigliante”. Ma l’abbraccio si risolve in un nulla di fatto: “Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, / e tante mi tornai con esse al petto”. I critici fanno risalire i bei versi all’incontro di Enea col padre Anchise, narrato nell’Eneide, però anche nell’Odissea Omero descrive quello di Ulisse con la madre, sempre nell’Averno. Per questo eviteremo – quando possibile - di citare le numerose fonti via via, perché sarebbe inutile (dovremmo cominciare con il citatissimo Ovidio): Dante rivive in luce propria e con emozioni diverse i fatti a cui ha attinto.
La meraviglia, anzi lo sbigottimento che invade il Poeta, porta l’ombra a sorridere e a ritrarsi, e poiché Dante la segue procedendo verso di lei, la parvenza lo prega di fermarsi. Dante lo riconosce e inizia così un commovente colloquio fra i due amici. L’Alighieri gli chiede di cantare, e Casella inizia: “Amor che ne le mante mi ragiona” (è la seconda canzone del “Convivio”, dedicata alla ‘donna gentile’). Nei versi 113 e 114 troviamo “dolcemente” e “dolcezza”, due termini che dichiarano l’amore del Nostro per la musica. Tutte le anime erano attratte dal canto, quando il rigido Catone irrompe nella scena gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?”, redarguendo per il ritardo tutti i presenti, compresi i due pellegrini coi quali aveva severamente parlato prima. Però, anche Virgilio aveva rimproverato Dante nel II canto dell’Inferno, dicendogli: “Perché ristai?”. Non è concesso a nessuno l’attardarsi in qualsivoglia occupazione quando ci aspetta un cammino che non ammette distrazioni, come quello verso Dio (e forse in tale chiave bisogna intendere l’altro monito di Dante “Che ‘l perder tempo a chi più sa più spiace”).
Dopo il rimprovero di Catone, il Poeta prende a esempio i colombi che, intenti “a la pastura”, lasciano di beccare il cibo se appare qualcosa che li impaurisce e si disperdono in ogni direzione. Interrotti bruscamente il canto di Casella e la gioia degli ascoltatori, seguirà, nel canto successivo, una riflessione di Dante, la quale si pone come saggezza di proverbio insieme alle altre che incontrammo e che incontreremo, a cui bisogna rivolgere la massima attenzione, perché rappresentano una diretta inserzione dell’autore a sintetizzare il significato profondo (e morale) di un fatto che si commenterebbe da sé, ma forse non avrebbe in noi il chiaro potere di sintesi offertoci da Dante stesso (non dimentichiamo mai l’importanza didattica della “Commedia”).
Ora, quasi a nota della sinossi del II canto, indicheremo l’importanza della musica per Dante. Egli l’amava, forse la conosceva nei suoi rudimenti fondamentali. Fatto sta che non pone all’Inferno alcun musicista o cantante, mentre apre il Purgatorio con Casella, che aveva musicato una poesia dell’Alighieri (con il canto monodico tipico dell’accompagnamento delle poesie provenzali). Ma in Inferno, lo abbiamo notato nella sinossi di quella cantica, non è che non siano menzionati strumenti. C’è il corno di Nembrot, tipico, legato alla caccia e alla guerra. La musica vera e propria iniziamo a trovarla nella seconda cantica sotto la specie corale del canto sia monodico che armonico (l’unisono delle voci può significare l’unità spirituale dei peccatori). Comunque, gli strumenti citati da Dante nella Commedia non sono pochi e indicano la conoscenza del Poeta nel campo musicale. Ne citerò alcuni: l’arpa, l’organo, la tromba, il liuto (Belacqua era un ottimo liutaio di Firenze), il tamburo (in Inferno), la giga, la cetra, la sampogna, e il buon citarista, ma al tempo di Dante, anche se la varietà degli strumenti odierni era impensabile, tuttavia si aveva la chitarra, il mandolino, la viola a cinque corde ad archetto, la ribeca, il ribecchino, la rota (sorta di violino primordiale), il salterio, il cromorno, il flauto, le bombarde, i tromboni e le trombe. Bisogna pensare che a quei tempi musica e canto si realizzavano nelle chiese, ma anche nelle piazze e nelle strade. Nelle chiese la base era il canto gregoriano, prima monodico e poi polifonico. Il gregoriano probabilmente ha colpito per sempre la sensibilità musicale di Dante (che verserà nei suoi endecasillabi). Se non avesse amato così profondamente il canto e la musica, non avrebbe impiantato le melodie celesti unitamente alla luce, come un binomio inscindibile del luogo Eterno.
Lo zoo di Napoli è nato nel 1940, ma aperto al pubblico solo dopo la seconda guerra mondiale, nel 1949, a Fuorigrotta. Secondo in Italia dopo quello di Roma, ha ospitato diverse specie di animali in via di estinzione, come le capre napoletane. Attualmente sono presenti duecento tre specie vegetali e novantasei specie animali di tutti i continenti del mondo.
Sinossi a cura di Aldo Onorati
L’astronomia dantesca è un punto ostico, anche e soprattutto perché alcune “regole cosmologiche” sono differenti dalla visione odierna sia della Terra sia del sistema solare e dell’universo.
È mattino, sono le sei. Per noi questo basta, ma Dante infarcisce di riferimenti difficili l’indicazione dell’ora: il sole era salito all’orizzonte il cui meridiano sovrasta Gerusalemme (agli antipodi della montagna sacra) “col suo più alto punto” (lo zenit), e la notte, che ruota all’opposto del giorno, usciva fuori del Gange con la Libra (siamo perciò all’equinozio di primavera), e il Poeta vede l’aurora divenire da bianca rossa e poi arancio per la vicina nascita del Sole.
Ma dal verso nono, riprende il tono fascinoso della narrazione. Sul mare, così come rosseggia Marte basso nel cielo, ecco apparire una luce velocissima, tanto che, avendo Dante tolto per un attimo lo sguardo dall’oggetto, appena lo fissa di nuovo esso è tanto più grande, segno che si sta avvicinando rapidamente. È la barca dell’angelo nocchiero. Virgilio ordina al suo allievo di inginocchiarsi. I remi di lui sono le proprie ali. Emana uno splendore tale, che il Poeta dapprima non vi resiste: ecco un’altra caratteristica del nuovo regno (anzi: dei nuovi regni, perché pure il Paradiso ha un’intensità crescente di luce e di bellezza canora). Il piccolo vascello è a pelo d’acqua, sembra quasi non immergervisi, al contrario della barca di Caronte, pesante di peccati mortali (e il diavolo griderà al pellegrino: “Più lieve legno convien che ti porti”, a significare che Dante finirà, dopo morto, in Purgatorio). Le anime, scese sul lido, cantano l’inizio del salmo 113 (“In exitu Israel de Aegypto”) e proseguono per tutto l’inno, mentre l’angelo riprese la via verso la foce del Tevere dove lo attendevano gli spiriti destinati alla purgazione.
Il Sole dardeggiava intorno, e il Capricorno era stato scacciato dal punto più elevato del cielo, quando i nuovi venuti alzarono lo sguardo verso i due pellegrini, chiedendo spiegazioni per la strada da prendere onde salire al monte. Virgilio si dice nuovo anch’egli del luogo, ma ecco il colpo di scena, che si ripeterà in varie forme per tutta la cantica: le anime si accorgono che uno dei due incontrati è ancora vivo. Allora, la turba si meraviglia, accalcandosi verso Dante. Dal numeroso gruppo, uno si fa avanti, spingendo l’Alighieri a far “lo somigliante”. Ma l’abbraccio si risolve in un nulla di fatto: “Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, / e tante mi tornai con esse al petto”. I critici fanno risalire i bei versi all’incontro di Enea col padre Anchise, narrato nell’Eneide, però anche nell’Odissea Omero descrive quello di Ulisse con la madre, sempre nell’Averno. Per questo eviteremo – quando possibile - di citare le numerose fonti via via, perché sarebbe inutile (dovremmo cominciare con il citatissimo Ovidio): Dante rivive in luce propria e con emozioni diverse i fatti a cui ha attinto.
La meraviglia, anzi lo sbigottimento che invade il Poeta, porta l’ombra a sorridere e a ritrarsi, e poiché Dante la segue procedendo verso di lei, la parvenza lo prega di fermarsi. Dante lo riconosce e inizia così un commovente colloquio fra i due amici. L’Alighieri gli chiede di cantare, e Casella inizia: “Amor che ne le mante mi ragiona” (è la seconda canzone del “Convivio”, dedicata alla ‘donna gentile’). Nei versi 113 e 114 troviamo “dolcemente” e “dolcezza”, due termini che dichiarano l’amore del Nostro per la musica. Tutte le anime erano attratte dal canto, quando il rigido Catone irrompe nella scena gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?”, redarguendo per il ritardo tutti i presenti, compresi i due pellegrini coi quali aveva severamente parlato prima. Però, anche Virgilio aveva rimproverato Dante nel II canto dell’Inferno, dicendogli: “Perché ristai?”. Non è concesso a nessuno l’attardarsi in qualsivoglia occupazione quando ci aspetta un cammino che non ammette distrazioni, come quello verso Dio (e forse in tale chiave bisogna intendere l’altro monito di Dante “Che ‘l perder tempo a chi più sa più spiace”).
Dopo il rimprovero di Catone, il Poeta prende a esempio i colombi che, intenti “a la pastura”, lasciano di beccare il cibo se appare qualcosa che li impaurisce e si disperdono in ogni direzione. Interrotti bruscamente il canto di Casella e la gioia degli ascoltatori, seguirà, nel canto successivo, una riflessione di Dante, la quale si pone come saggezza di proverbio insieme alle altre che incontrammo e che incontreremo, a cui bisogna rivolgere la massima attenzione, perché rappresentano una diretta inserzione dell’autore a sintetizzare il significato profondo (e morale) di un fatto che si commenterebbe da sé, ma forse non avrebbe in noi il chiaro potere di sintesi offertoci da Dante stesso (non dimentichiamo mai l’importanza didattica della “Commedia”).
Ora, quasi a nota della sinossi del II canto, indicheremo l’importanza della musica per Dante. Egli l’amava, forse la conosceva nei suoi rudimenti fondamentali. Fatto sta che non pone all’Inferno alcun musicista o cantante, mentre apre il Purgatorio con Casella, che aveva musicato una poesia dell’Alighieri (con il canto monodico tipico dell’accompagnamento delle poesie provenzali). Ma in Inferno, lo abbiamo notato nella sinossi di quella cantica, non è che non siano menzionati strumenti. C’è il corno di Nembrot, tipico, legato alla caccia e alla guerra. La musica vera e propria iniziamo a trovarla nella seconda cantica sotto la specie corale del canto sia monodico che armonico (l’unisono delle voci può significare l’unità spirituale dei peccatori). Comunque, gli strumenti citati da Dante nella Commedia non sono pochi e indicano la conoscenza del Poeta nel campo musicale. Ne citerò alcuni: l’arpa, l’organo, la tromba, il liuto (Belacqua era un ottimo liutaio di Firenze), il tamburo (in Inferno), la giga, la cetra, la sampogna, e il buon citarista, ma al tempo di Dante, anche se la varietà degli strumenti odierni era impensabile, tuttavia si aveva la chitarra, il mandolino, la viola a cinque corde ad archetto, la ribeca, il ribecchino, la rota (sorta di violino primordiale), il salterio, il cromorno, il flauto, le bombarde, i tromboni e le trombe. Bisogna pensare che a quei tempi musica e canto si realizzavano nelle chiese, ma anche nelle piazze e nelle strade. Nelle chiese la base era il canto gregoriano, prima monodico e poi polifonico. Il gregoriano probabilmente ha colpito per sempre la sensibilità musicale di Dante (che verserà nei suoi endecasillabi). Se non avesse amato così profondamente il canto e la musica, non avrebbe impiantato le melodie celesti unitamente alla luce, come un binomio inscindibile del luogo Eterno.