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Laura Forti, Forse mio padre
Vincitore Premio Mondello Opera italiana
Lettera a un padre mai conosciuto, Forse mio padre di Laura Forti (Giuntina) è tante cose insieme: riflessione sulla propria infanzia e giovinezza segnata da conflitti familiari, ritratto di una madre fragilissima dietro la sua forza apparente, descrizione di cosa voglia dire crescere tra due religioni, quella cattolica e quella ebraica, e infine romanzo su un lungo amore coltivato nell’ombra. Poco prima di morire la madre svela alla protagonista il suo segreto: lei, la sua quarta figlia, è nata da un tradimento, non ha lo stesso padre dei suoi fratelli. Laura si mette sulle tracce del suo padre biologico e lo identifica in uno dei primi fidanzati della madre, mai perso di vista, ritrovato in una fuga da casa durata un mese e sentito quotidianamente al telefono. Più che capire chi fosse quest’uomo, Forti vuole fare i conti con la figura materna, con la sua scissione. Da ragazza energica, capace di fare a quindici anni la staffetta partigiana, a sedici la traduttrice per gli americani e a venti di andare in Israele per diventare infermiera, innamoratasi di un giovane italiano di bell’aspetto, rinuncia a tutto per lui, lo sposa e diventa una casalinga triste e frustrata che riversa sull’ultima figlia le sue aspettative, soffocandola e trasmettendole una grande insicurezza. La scrittura scava nella crepe del passato e il romanzo partito da una storia intima diventa uno specchio in cui il lettore può trovare molto di sé.
Laura Forti è drammaturga, docente di scrittura teatrale e creative writing. Collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. Ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con la Giuntina ha pubblicato L'acrobata e Forse mio padre.
Continuo a usare questo stupido tu, a cercare un’intimità che non esiste, spinta da un bisogno che ancora non capisco del tutto. Ti parlo come se fossi una persona vera in ascolto, che c’è o che c’è stata. È assurdo, parlo a te che sei entrato nella mia vita quando eri già morto, a te che sei finto, un tu letterario. A te che non ho conosciuto. Non so neanche perché lo faccio, al di là delle motivazioni razionali che mi invento. A volte scrivere mi dà una sensazione di pienezza, mi sembra di riempire un buco con le parole, di tenere a bada l’ansia; a volte invece mi manca il fiato e devo smettere, mi viene da urlare, da buttare tutto all’aria, da sprofondare.