Rai Cultura

A Capemonte

Concerto evento al Real Bosco di Capodimonte

Domenica 7 e lunedì 8 luglio, presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Maestro Roberto De Simone si esibirà in due concerti evento eseguendo un’anomala e poco nota composizione di W.A. Mozart: la Serenata per quattro orchestre d’archi e otto corni e una delle più alte liriche di Salvatore Di Giacomo, A Capemonte, composizione nella quale l’immaginario poetico richiama un paesaggio boschivo identificabile con quello di Capodimonte innanzi alla Reggia.

Entrambi gli eventi saranno articolati in due momenti, dando vita a due concerti “itineranti”.  Alle ore 19:30 il Maestro si esibirà nella Serenata di W.A. Mozart sul Belvedere: le quattro orchestre saranno collocate in quattro punti differenti con il direttore d’orchestra al centro, dando al pubblico, ubicato anch’esso al centro, la sensazione di essere circondato dalla musica. Non è noto se realmente la singolare partitura sia stata eseguita vivente l'autore oppure se essa sia frutto di un geniale immaginario compositivo di tipo avveniristico, secondo il quale sarebbe la posizione d'ascolto di un individuo a stabilire la verità uditiva di una composizione musicale. Ci piace però immaginare che il giovane musicista salisburghese abbia concepito l'opera visitando, a suo tempo, la reggia borbonica di Capodimonte ai margini d'un bosco.

A conclusione di questa prima parte, il pubblico sarà accompagnato da una cantante nel cortile centrale del Museo, la quale come un pifferaio di Hamelin attirerà l’attenzione dei presenti e li inviterà a spostarsi per ascoltare la seconda parte di questo concerto: troveranno ad attenderli un’orchestra sinfonica, un coro di sessanta elementi e quattro pianoforti. Il pubblico avrà qui il privilegio di ascoltare il componimento di nove quartine di versi dodecasillabi A Capemonte di Salvatore di Giacomo nelle due versioni di Enrico De Leva e Roberto De Simone. La prima per voce solista (mezzosoprano), coro femminile e tre fisarmoniche plasmata secondo una forma di canzone anomala, priva della struttura canonica con strofa e ritornello e la seconda per coro, quattro pianoforti e orchestra.

La profondità del testo di Salvatore di Giacomo ha indotto il Maestro De Simone a musicarlo una seconda volta: il brano si sviluppa in forma di “cantata” articolata ampiamente, con maggior sviluppo sintattico, digressioni e storiche citazioni, affidando il canto a una compagine corale di stile melodrammatico, sostenuta da orchestra sinfonica e talora da quattro pianoforti, quasi metafora di strumenti immaginari, come una fotografia in negativo dell'immagine in positivo dell'orchestra. 

Dichiara il Maestro Se Simone:

Da tempo – circa quarant'anni – covavo l'ambizioso proposito di realizzare in luogo appropriato e in modo adeguato la genialissima composizione di Mozart, in cui, a una frase musicale proposta dalla prima orchestra, rispondono gli altri gruppi ripetendone frammenti in forma di eco.

In una delle più alte liriche di Salvatore Di Giacomo A Capemonte l’immaginario poetico colloca l’ambiente nel bosco di Capodimonte, innanzi al palazzo reale, tra i cui alberi, come in un sogno di cent’anni addietro, danzavano le più belle donne del Settecento. E ancora nell’aria risuonano violini  e flauti e ricorrono sospiri e occhiate delle danzatrici munite di ventagli d’avorio, profumate di cipria e adorne di vaporosi merletti. A temperare lo struggimento per una trascorsa, irripetibile epoca, il Poeta quasi fotografa le giovani donne del suo tempo che sul ritmo d’un valzer ottocentesco seguitano a ballare tra quegli alberi, né son meno avvenenti di quelle del secolo precedente, le quali, ora, come ombre di fantasmi, assistono alle danze dei nuovi corpi viventi, in una sorta di Totentanz rituale, ribadendo amaramente l’impossibilità di ripercorrere l’età dei vent’anni.

A Capemonte
di Salvatore Di Giacomo

Sotto a chist’arbere viecchie abballavano
‘e ccape femmene, cient’anne fa,
quanno s’ausavano ventaglie ‘avorio,
polvera ‘e cipria e falbalà.
Ce se metteveno viuline e flàvute
pe l’aria tennera a suspirà,
e zenniaveno lI’uocchie d’ ‘e ffemmene,
chine ‘e malizia, da ccà e da llà...
Ma si chest’ebbreca turnà nun pò,
nun allarmammoce, pe carità!
‘E cape femmene ce stanno mo,
cchiù cape femmene de chelli llà!. ..
Da mmiez’a st’arbere sti statue ‘e marmolo
vonno, affacciannese, sentì cantà,
vonno sta museca passere e miérole,
scetate, sèntere, pe’ s’ ‘amparà.
Dice sta museca, ncopp’a nu vàlzere;
“Figliò, spassateve ca tiempo nn’è!
Si ‘e core ‘e lI’uommene sentite sba ttere,
cunzideratele, sentite a me!
L’anne ca passano chi pò acchiappà?
Chi pò trattènere la giuventù?
Si se licenzia, nun c’è che fa ’,
nun torna a nascere, nun vene cchiù!”
E si risponnere, lunta na e debule,
mo n’ata museca ve pararrà,
allicurdateve de chelli femmene
ca nce aballavano cient’anne fa.
Vèneno a sèntere st’ombre ca passano
comme se spassano sti gente ‘e mo:
e si suspirano vo’ di ca ’ penzano
ca ‘o tiempo giovene turnà nun pò. ..
Figliò, spassateve, c’avimmma fa?
nun torna a nascere la gioventù...
Mme pare ‘e sèntere murmulià


A Capodimonte
traduzione di Pier Paolo Pasolini

Sotto questi alberi vecchi ballavano
le donne più belle, cento anni fa,
quando s’usavano ventagli d’avorio,
polvere di cipria e falpalà.
Violini e flauti si mettevano
a sospirare per l’aria tenera,
le ammiccavano gli occhi delle donne,
pieni di malizia, di qua e di là...
Ma se quest’epoca non può tornare,
non allarmiamoci, per carità!
Oggi non mancano le donne belle,
più belle di quelle là!...
In mezzo agli alberi queste statue di marmo
vogliono, affacciandosi, sentir cantare,
vogliono questa musica passeri e merli,
risvegliati, sentire per imparare.
Dice questa musica, sull’onda di un valzer:
“Figliole, spassatevela, che è tempo!
Se sentite palpitare forte i cuori degli uomini,
fateci caso, sentite me!
Gli anni che passano chi può riprenderseli?
Chi può trattenere la gioventù?
Se se ne va, non c’è rimedio,
non torna a nascere, non viene più!”
E se ora vi parrà che risponda,
lontana e debole, un’altra musica,
scordatevi di quelle donne
che ballavano cento anni fa.
Vengono a sentire queste ombre che passano
come se la spassa la gente d’oggi
e se sospirano vuol dire che pensano
che il tempo della giovinezza non può tornare...
Figliole, spassatevela, è più che giusto:
non torna a nascere la gioventù!...
Mi par di sentire mormorare