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La rappresentazione scenica
Quelle nuove diavolerie tecniche
L’ondata di innovazione sociale, culturale e di costume che pervade l’Italia e l’intero mondo occidentale a partire dalla metà degli anni Sessanta e fino alla fine dei Settanta, non poteva non investire anche la musica colta e il teatro musicale. Sia la Scala, sia la televisione, che in quegli anni, in Italia, si chiama esclusivamente Rai, si aprono alla sperimentazione, dando spazio a nuove forme di rappresentazione. Luigi Nono, che lavora già da alcuni anni nello Studio di fonologia della Rai di Milano a una nuova composizione per le scene, entra alla Scala, il Teatro per eccellenza, grazie al suo direttore musicale, Claudio Abbado, assieme a Maurizio Pollini e alla musica elettronica. Nel 1966, la Rai aveva prodotto e mandato in onda Fantarca, musiche di Roman Vlad su soggetto di Giuseppe Berto e regia di Vittorio Cottafavi, un’opera buffa in cornice televisiva e fantascientifica, realizzata negli studi di Roma e perfezionata per gli effetti musicali e sonori nello Studio di fonologia della Rai di Milano.
È chiaro che il teatro di vecchio tipo è un ambiente non atto, secondo me, all’esecuzione di opere nuove. Opere, cioè, che comportino tutte quelle nuove ‘diavolerie tecniche’ delle quali, oggi, si può servire il compositore. La stessa televisione potrebbe essere, per esempio, una sede adattissima a un rilancio dell’opera.
Gino Negri, compositore
La ricerca continua negli anni Ottanta. Alla Scala - e alla Rai - approdano, tra gli altri, Karl Heinz Stockhausen con il suo Giovedì da Luce (regia di Luca Ronconi), Luciano Berio con La vera storia (regia di Maurizio Scaparro) e Giacomo Manzoni con Doktor Faustus, (regia di Bob Wilson). La tecnologia porta nel teatro il movimento del suono nello spazio e una particolare attenzione al timbro. La Rai, per poter riprendere questo nuovo tipo di suono, deve affrontare grandi difficoltà, risolte con la sperimentazione e con escamotage tecnici, come quello di riprodurre il segnale in controfase.
Il video proposto è tratto da Scala - Rai, il futuro della tradizione, di Felice Cappa (Italia, 2018).