Le note di sala del terzo concerto di stagione dell'Orchestra Rai
Sergej Prokof'ev, Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Joseph Haydn
Sergej Prokof'ev
Sinfonia n. 1 in re maggiore, op. 25
Sinfonia classica
La difficile arte della strumentazione
Nel 1908 Sergej Prokof’ev aveva diciassette anni e studiava al Conservatorio di San Pietroburgo. In marzo sostenne gli esami previsti dal suo corso e riportò un voto ai limiti della sufficienza nella prova di strumentazione per orchestra. Proprio in questa materia era allievo di Rimskij-Korsakov: il geniale orchestratore che tutti conosciamo. Nonostante le indubbie qualità le sue lezioni non riuscirono a far presa su Prokof’ev, che dichiarò:
Superai il corso di strumentazione, ma solo cinque o sei anni più tardi, quando composi ogni anno un pezzo per orchestra, imparai a strumentare in modo decente. Sebbene fossi sinceramente preso da Rimskij-Korsakov, non ero a quel tempo capace di approfittare dello splendido sapere che emanava da lui
Così il suo primo tentativo di comporre una sinfonia, proprio nell’estate di quell’anno, si risolse in un fallimento colossale: il suo linguaggio fu unanimemente criticato e considerato immaturo, specie nella strumentazione. Prokof’ev non si perse d’animo, proseguì i suoi studi e anzi, dieci anni dopo, trascrisse per pianoforte il secondo tempo di quella Sinfonia in mi minore e lo inserì nella sua Sonata n. 4. Non pago, nel 1934 lo ritrascrisse per orchestra e ne fece l’Andante op. 29 bis. L’estate seguente, dopo aver ottenuto il diploma di composizione, ritentò la prova e scrisse la Sinfonietta op. 5: l’opera è scritta in modo disinvolto e risulta piacevole, ma la versione originaria è andata perduta; se ne conoscono solo i due rifacimenti del 1914 e del 1929. Per valutare l’evoluzione delle capacità di Prokof’ev nella strumentazione bisogna attendere le opere successive.
La sua formazione si completò: ottenne il diploma di direzione d’orchestra e di pianoforte; vinse anche il Premio Rubinstein del Conservatorio di San Pietroburgo, grazie all’esecuzione del suo Concerto op. 10, fresco di stampa. Visitò Parigi, Londra e la Svizzera accompagnato dalla madre che gli aveva offerto il viaggio come premio per il compimento degli studi. Il grande impresario dei Balletti russi Djagilev gli ordinò le musiche per un balletto su temi popolari russi, che fu l’occasione per scrivere ancora per orchestra. Ma la partitura non vide mai la luce in forma di balletto e si trasformò nella Suite scita: opera di grande esuberanza timbrica e ritmica. I problemi con l’orchestrazione potevano finalmente dirsi risolti quando Prokof’ev decise di scrivere la sua prima autentica sinfonia.
Nascita della Sinfonia classica
Prokof’ev passò gli anni della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione Russa a San Pietroburgo. Così descrisse nella sua autobiografia le circostanze in cui nacque la Sinfonia classica:
La sua formazione si completò: ottenne il diploma di direzione d’orchestra e di pianoforte; vinse anche il Premio Rubinstein del Conservatorio di San Pietroburgo, grazie all’esecuzione del suo Concerto op. 10, fresco di stampa. Visitò Parigi, Londra e la Svizzera accompagnato dalla madre che gli aveva offerto il viaggio come premio per il compimento degli studi. Il grande impresario dei Balletti russi Djagilev gli ordinò le musiche per un balletto su temi popolari russi, che fu l’occasione per scrivere ancora per orchestra. Ma la partitura non vide mai la luce in forma di balletto e si trasformò nella Suite scita: opera di grande esuberanza timbrica e ritmica. I problemi con l’orchestrazione potevano finalmente dirsi risolti quando Prokof’ev decise di scrivere la sua prima autentica sinfonia.
Nascita della Sinfonia classica
Prokof’ev passò gli anni della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione Russa a San Pietroburgo. Così descrisse nella sua autobiografia le circostanze in cui nacque la Sinfonia classica:
L’estate del 1917 la trascorsi solo in campagna, vicino a San Pietroburgo, leggendo Kant e lavorando moltissimo. Di proposito non avevo portato con me il pianoforte, perché desideravo provare a comporre senza di esso. Sino a quell’epoca avevo sempre composto al pianoforte, ma avevo pure notato che il materiale tematico composto facendone a meno era spesso migliore […]. Di qui nacque la tentazione di scrivere un’intera sinfonia senza ricorrere a questo strumento nella convinzione che l’orchestra potesse così suonare naturale
Alla luce delle difficoltà già dimostrate nella strumentazione, si potrebbe pensare che Prokof’ev volesse proprio evitare di strumentare materiali pianistici. Probabilmente anche lo sfortunato primo esempio di Sinfonia in mi minore nacque al pianoforte, e al pianoforte ritornò, trasformandosi in materiale per la Sonata n. 4. È come se Prokof’ev imprimesse un marchio “pianistico” alle musiche nate su questo strumento, che ne rendeva difficile la trascrizione orchestrale. Per ovviare a questo problema Prokof’ev scrisse la Sinfonia classica senza l’ausilio del pianoforte, e questo influì anche sulla “classicità” dello stile:
Di qui anche l’origine del progetto di una sinfonia nello stile di Haydn; giacché avevo molto approfondito la tecnica haydniana con Čerepnin [il suo maestro di composizione], sapevo di muovermi su di un terreno sufficientemente familiare da potermi avventurare nel difficile viaggio senza pianoforte
Anche se il programma creativo di tipo classico dipende dalla convinzione di Prokof’ev che se Haydn fosse vissuto ai giorni nostri avrebbe serbato parte del suo vecchio stile, pur accettando nello stesso tempo qualcosa di nuovo.
Questo era il progetto reale di un compositore di ventisei anni che conosceva perfettamente la musica di Haydn: riportarlo in vita attraverso se stesso e metterlo all’opera nel 1917, alla luce di tutte le nuove acquisizioni del linguaggio musicale. Un programma che può sembrare ludico o presuntuoso. Il risultato è la sinfonia di maggior successo tra le sette di Prokof’ev.
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore, KW 622
Questo era il progetto reale di un compositore di ventisei anni che conosceva perfettamente la musica di Haydn: riportarlo in vita attraverso se stesso e metterlo all’opera nel 1917, alla luce di tutte le nuove acquisizioni del linguaggio musicale. Un programma che può sembrare ludico o presuntuoso. Il risultato è la sinfonia di maggior successo tra le sette di Prokof’ev.
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per clarinetto e orchestra in la maggiore, KW 622
L’ultimo Concerto
Di ritorno da Praga e dall’insuccesso della Clemenza di Tito, nell’ottobre del 1791 Mozart si apprestava a vivere le sue ultime settimane di vita. Fuori, per le vie di Vienna, la gente fischiettava i motivi del Flauto magico, ma ormai era troppo tardi perché la città si rendesse conto di aver ospitato per dieci anni uno dei più grandi musicisti del tempo. Mozart era stanco; a Praga aveva cominciato ad avvertire i primi sintomi della malattia che in dicembre l’avrebbe portato alla morte; ma la sua creatività non poteva permettersi alcuna tregua. La moglie Konstanze se la godeva alle terme di Baden; l’inverno si preannunciava rigido, le preoccupazioni economiche non mancavano affatto e poi c’era quel committente inquietante e misterioso, che ogni tanto veniva a bussare alla porta per avere notizie del Requiem. Mozart era al collasso delle forze; eppure continuava a prendere impegni, quasi come se si rendesse conto di dover stringere i tempi. L’amico massone Anton Stadler proprio in quei giorni gli chiese un lavoro per clarinetto e orchestra; ci sarebbero state decine di motivazioni valide per giustificare un rifiuto; ma anche quella richiesta venne soddisfatta e in pochi giorni nacque il Concerto KV 622.
La pagina colpisce da sempre per la sua eterea espressività, per la sua scrittura profondamente distante dalla violenza emotiva del Requiem
Il materiale melodico è estremamente vario, eppure ciò che conquista la memoria dell’ascoltatore non sono i temi, ma le suggestioni timbriche evanescenti che percorrono i tre movimenti. La stessa assenza delle trombe, dei timpani e degli oboi, sembra motivata dall’esigenza di non turbare la trasparenza della strumentazione.
Mozart sceglie di confinare ai margini le ombre, come se la sua intenzione fosse quella di riflettere sul trascendente con fragile delicatezza. Si sente il profumo di Cherubino nel primo tema dell’Allegro; l’ingenua purezza che accompagna il paggio delle Nozze di Figaro si trasforma qui in un messaggio contemplativo, nell’estasi di uno sguardo rivolto verso il cielo
Mozart pensa al timbro ancor prima che alla melodia; e la conferma viene dalla riproposizione del primo tema alla dominante, avvolto da una nebulosa serie di imitazioni: la tradizionale dialettica tra i due personaggi tematici si annulla in una dimensione puramente timbrica. E anche l’Andante non colpisce certo per l’originalità dell’invenzione melodica, ma per una sonorità cristallina che materializza un canto di pace e rassegnazione: la stessa sensazione di impotente contemplazione del trascendente che si avverte anche nel Quintetto KV 581. Ma è in terra che si scrive musica; ed è lì che torna il Concerto KV 622 nel Rondò finale, in cui solista e orchestra giocano con un motivo spensierato come un’amabile conversazione tra amici.
Clarinetto o clarinetto di bassetto?
Il manoscritto autografo del Concerto KV 622 è andato perduto; ma è probabile che il lavoro inizialmente sia stato concepito per corno di bassetto, strumento che Stadler suonava con grande maestria (l’abbozzo del primo movimento conferma la supposizione). Fu, tuttavia, il clarinetto di bassetto (strumento dall’estensione intermedia rispetto agli altri due) il primo timbro solista del Concerto KV 622 nel 1791. Stadler fin dagli anni Ottanta del Settecento collaborava con il fabbricante imperiale Theodor Lotz per incrementare l’estensione dello strumento nel registro grave; e fu proprio a coronamento di quelle ricerche che nacque il lavoro mozartiano. La versione per clarinetto, oggi comunemente suonata nelle sale da concerto moderne, è pertanto frutto di una trascrizione effettuata dall’editore Sieber nel 1801 (alcune note gravi sono trasportate un’ottava sopra). Nel corso dei secoli si sono perse le tracce del clarinetto di bassetto, e solo intorno alla fine del Novecento è stato possibile ricostruire lo strumento sulla base di dettagliate istruzioni reperite in alcuni documenti dell’epoca.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n. 100 in sol maggiore, Hob:I:100 Militare
I due viaggi compiuti da Haydn a Londra negli anni 1791-92 e 1794-95 coincidono con l'ultima fioritura della sua produzione sinfonica: le dodici sinfonie nn. 93-104 rappresentano il coronamento di una lunga stagione, iniziata nel 1758, durante la quale lo stile di Haydn aveva subito vistose trasformazioni, sviluppando, a poco a poco, un discorso in cui tutte le voci acquistarono eguale importanza. La varietà nell'unità è la caratteristica fondamentale di questo stile in cui la forma sonata, resa compatta dalla coerenza del materiale tematico, sprigiona un’energia nuova attraverso i mutamenti che investono di continuo temi sempre riconoscibili. La Sinfonia in sol maggiore n. 100 fu composta nel 1794 e accolta a Londra con un eccezionale successo.
Clarinetto o clarinetto di bassetto?
Il manoscritto autografo del Concerto KV 622 è andato perduto; ma è probabile che il lavoro inizialmente sia stato concepito per corno di bassetto, strumento che Stadler suonava con grande maestria (l’abbozzo del primo movimento conferma la supposizione). Fu, tuttavia, il clarinetto di bassetto (strumento dall’estensione intermedia rispetto agli altri due) il primo timbro solista del Concerto KV 622 nel 1791. Stadler fin dagli anni Ottanta del Settecento collaborava con il fabbricante imperiale Theodor Lotz per incrementare l’estensione dello strumento nel registro grave; e fu proprio a coronamento di quelle ricerche che nacque il lavoro mozartiano. La versione per clarinetto, oggi comunemente suonata nelle sale da concerto moderne, è pertanto frutto di una trascrizione effettuata dall’editore Sieber nel 1801 (alcune note gravi sono trasportate un’ottava sopra). Nel corso dei secoli si sono perse le tracce del clarinetto di bassetto, e solo intorno alla fine del Novecento è stato possibile ricostruire lo strumento sulla base di dettagliate istruzioni reperite in alcuni documenti dell’epoca.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n. 100 in sol maggiore, Hob:I:100 Militare
I due viaggi compiuti da Haydn a Londra negli anni 1791-92 e 1794-95 coincidono con l'ultima fioritura della sua produzione sinfonica: le dodici sinfonie nn. 93-104 rappresentano il coronamento di una lunga stagione, iniziata nel 1758, durante la quale lo stile di Haydn aveva subito vistose trasformazioni, sviluppando, a poco a poco, un discorso in cui tutte le voci acquistarono eguale importanza. La varietà nell'unità è la caratteristica fondamentale di questo stile in cui la forma sonata, resa compatta dalla coerenza del materiale tematico, sprigiona un’energia nuova attraverso i mutamenti che investono di continuo temi sempre riconoscibili. La Sinfonia in sol maggiore n. 100 fu composta nel 1794 e accolta a Londra con un eccezionale successo.
Colpiva, naturalmente, la perfezione dello stile haydniano, la varietà di prospettive strumentali che lo avevano arricchito negli ultimi anni, anche in seguito all'influsso delle ultime sinfonie di Mozart e, in particolare, delle tre composte nel 1788; ma, ancor più, avevano entusiasmato il pubblico le trovate sorprendenti che conferiscono alla sinfonia il suo colorito fondamentale e giustificano l'appellativo di Militare
Il primo movimento è aperto da un Adagio interrogativo che crea un senso di attesa tra pause, effetti di sospensione, domande e risposte palleggiate tra le varie sezioni dell'orchestra. Quattro accordi decisi lo concludono, prima che flauti e oboi espongano un tema guizzante e sorridente che segna l'avvio di una ronda festosa. Il secondo motivo non potrebbe essere più arguto e brillante: si capisce, ascoltandolo, quale insegnamento Rossini avrebbe tratto dalle Sinfonie di Haydn per quanto riguarda sia l'invenzione tematica sia la polifonia orchestrale. Nello sviluppo il primo tema passa dal suo andamento leggero, in punta di piedi, a sventagliate energiche che creano un gioco di contrasti tra pieni e vuoti, passi cameristici ed effetti di massa, pieni di salubre, razionale energia. Tutto è sempre lucido, trasparente, inequivocabile nel suo significato espressivo: Haydn ignora l'ambiguità che tanto sarebbe piaciuta a Mozart. È un campione, come Gluck, del razionalismo in musica: e, come lui, immette nelle strutture di chiarezza illuministica un fuoco d'energia che avrà conseguenze vistose negli sviluppi della musica successiva.
Il secondo movimento, Allegretto, è quello che dà alla Sinfonia l'appellativo di Militare. Nella sua sorridente melodia, in tempo di marcia lenta, irrompono, ad un certo punto, i piatti, il triangolo, la gran cassa che, insieme ai timpani e a tutta la schiera dei fiati, scaraventano sugli ascoltatori le festose sonorità delle bande militari. L'effetto è ribadito dall'assolo della tromba, abilmente incorniciato in un contesto che è eminentemente di carattere ludico e pittoresco: Haydn guarda a questa parata militare con un senso di sorridente umorismo, gioca a rimpicciolire ciò che è maestoso e a ingigantire forme miniaturistiche, prendendo improvvisamente sul serio la vita di questi soldatini di piombo per ricondurla, subito dopo, alla dimensione di innocenti giocattoli. Il piroettante Minuetto porta un eco tematico dell'Adagio precedente, e si accompagna ad un trio dal carattere lievemente popolaresco, una melodia delicata e sospirosa rotta bruscamente da un rataplan ritmico che ne amplifica una cellula. L'ultimo movimento è un vivacissimo Presto che, nella corsa dei sei ottavi, scanditi in un fraseggio staccato-legato, culmina con una nuova irruzione di musica militare: timpani piatti e gran cassa incendiano le sonorità e concludono la Sinfonia in un tripudio di suggestioni evocative.
Paolo Gallarati
(dagli archivi Rai)
Il secondo movimento, Allegretto, è quello che dà alla Sinfonia l'appellativo di Militare. Nella sua sorridente melodia, in tempo di marcia lenta, irrompono, ad un certo punto, i piatti, il triangolo, la gran cassa che, insieme ai timpani e a tutta la schiera dei fiati, scaraventano sugli ascoltatori le festose sonorità delle bande militari. L'effetto è ribadito dall'assolo della tromba, abilmente incorniciato in un contesto che è eminentemente di carattere ludico e pittoresco: Haydn guarda a questa parata militare con un senso di sorridente umorismo, gioca a rimpicciolire ciò che è maestoso e a ingigantire forme miniaturistiche, prendendo improvvisamente sul serio la vita di questi soldatini di piombo per ricondurla, subito dopo, alla dimensione di innocenti giocattoli. Il piroettante Minuetto porta un eco tematico dell'Adagio precedente, e si accompagna ad un trio dal carattere lievemente popolaresco, una melodia delicata e sospirosa rotta bruscamente da un rataplan ritmico che ne amplifica una cellula. L'ultimo movimento è un vivacissimo Presto che, nella corsa dei sei ottavi, scanditi in un fraseggio staccato-legato, culmina con una nuova irruzione di musica militare: timpani piatti e gran cassa incendiano le sonorità e concludono la Sinfonia in un tripudio di suggestioni evocative.
Paolo Gallarati
(dagli archivi Rai)