Rai Cultura

Le note di sala del concerto n. 12 della stagione 2024/2025 dell'Orchestra Rai

Gustav Mahler - La Nona Sinfonia

Gustav Mahler
Sinfonia n. 9 in re maggiore

Nona o decima, ultima o penultima: leggendo il catalogo di Gustav Mahler e la sua storia personale a volte ci si chiede quale sia il posto giusto da dare alla sinfonia alla quale volle dare il numero nove. Come sempre per Mahler, e anzi più che per altri lavori, la Nona, composta per la maggior parte nell’estate del 1909, chiede di esser letta tenendo presenti circostanze esistenziali e percorsi poetici, e inquadrata in un divenire stilistico non sempre facilmente decifrabile ma in realtà strettamente consequenziale, in un intreccio continuo di vicende personali e di espressione creativa.

La sua storia può esser fatta cominciare con la tragedia familiare del 1907. L’estate era l’unico periodo dell'anno che lasciasse Mahler veramente libero dai suoi impegni come direttore d'orchestra: così da sempre le vacanze - tempo del riposo, dell’isolamento, del contatto con la natura - erano dedicate alla composizione. Negli anni della sua direzione dell'Opera di Vienna il buen retiro di Mahler era stata la villa di Maiernigg, in Carinzia, sulle rive del Wörthersee. Fra il 1901 e il 1906 aveva trascorso qui le sue estati più felici, insieme con la moglie Alma Schindler e le due figlie. Una casupola nascosta nel bosco, impenetrabile a chiunque, aveva visto nascere i grandi capolavori della maturità: le tre sinfonie “di mezzo” (Quinta, Sesta e Settima, puramente strumentali), i Kindertotenlieder, i Rückert-Lieder.

Una consuetudine regolata da ritmi metodici di vita e di lavoro, interrotta bruscamente nel luglio 1907, subito dopo che Mahler aveva portato a termine l'Ottava, dalla morte a cinque anni di Maria Anna, la primogenita. Una catastrofe privata parallela a una fase critica nella sua carriera, con le dimissioni dall'Opera di Vienna, conclusione infelice di un decennio veramente storico. Segnale per noi eloquente, ma per il momento forse non considerato da lui in tutta la sua importanza, la prima diagnosi di una grave malattia cardiaca. Cominciava una nuova stagione, l'ultima della vita di Mahler: quattro anni scarsi, che lo videro toccare a un tempo i vertici della sua creatività, con il Canto della terra (1907-1908), la Nona sinfonia (1909-1910) e l'incompiuta Decima, e le più gravi crisi interiori; ottenere i maggiori successi internazionali come direttore d'orchestra, con le due stagioni al Metropolitan e le tre alla testa della Filarmonica di New York e imporsi fra i protagonisti della cultura germanica con la prima esecuzione dell'Ottava Sinfonia a Monaco nel settembre 1910, ma anche affrontare delusioni spirituali  pesanti. Chiuso l'appartamento viennese, venduta la villa di Maiernigg popolata di memorie funeste, i poli dell'esistenza di Mahler furono in questi anni New York e Dobbiaco, anche qui con uno chalet riservato alla volontaria clausura creativa.

Estate 1908: Mahler lavora a una serie di canti con orchestra su poesie cinesi, e presto si rende conto che il ciclo è così unitario da caratterizzarsi come una sinfonia di Lieder. Ma se la contasse come nona rischierebbe la stessa sorte di Beethoven e di Dvořák, che appunto a nove sinfonie si sono fermati, se non addirittura quella di Bruckner, che la sua Nona è morto prima di finirla. Mahler è molto turbato da guai privati: il suo matrimonio si sta sfilacciando, ormai. È in crisi anche il suo impegno con il Metropolitan, per la convivenza impossibile con Arturo Toscanini.
Ed eccolo ingaggiare una specie di partita a scacchi con la morte: la partitura cui sta lavorando adesso non sarà definita sinfonia, ma si chiamerà Das Lied von der Erde, Il canto della terra; in cuor suo però la conterà come nona. Così quando scriverà un’altra sinfonia, quella prenderà il numero nove, ma in realtà sarà la decima
Nell’estate del 1909, di nuovo a Dobbiaco, Mahler compone la maggior parte di quella che per noi è la Nona, e potrà pensare di averla fatta franca, superando la cifra fatidica e fatale, e di essere arrivato a scrivere la sua decima. Porta a termine il lavoro nel gennaio del 1910, e in estate comincia un’altra partitura, che per tutti sarà la Decima. Ma ha fatto male i conti: il suo ultimo grande momento sarà l’esecuzione dell’Ottava; dopo un inverno difficile a New York tornerà in Europa già gravemente ammalato, per morire il 18 maggio 1911 in una clinica di Vienna. La Nona resterà così l’ultima sinfonia compiuta di Mahler.

In qualche modo nel 1907 l’Ottava si era lasciata alle spalle il grande periodo centrale di Mahler, che una serie di Lieder aveva posto sotto il segno di una stella poetica malinconica e spesso tragica addirittura, quella di Friedrich Rückert. In parallelo con l’accostamento al mondo artistico della Sezession viennese erano nate le tre sinfonie strumentali, sbilanciate fra nostalgie di paradisi montani e agresti e consapevolezza di un orrore urbano e sociale angosciante, proiettato in mutamenti stilistici che oggi è facile attribuire a una sorta di espressionismo ante litteram. L’Ottava, la “Sinfonia dei mille”, era sembrata appunto porre fine a queste crisi e profezie sperimentali con il gigantismo degli organici e con la scelta dei testi, il Veni creator spiritus e la scena finale del Faust di Goethe. Mahler si era proposto al mondo, ma anzitutto a sé stesso, come un eroe finalmente affermativo. Ciò che avvenne subito dopo lo costrinse invece a fare i conti con la sua stessa identità e con la crisi non più celabile dell’artista moderno.

La Nona prevede un’orchestra enorme, e occupa una durata media di un’ora e un quarto. Alla successione  allegro - lento - scherzo - allegro della tradizione classico-romantica, che del resto finora Mahler non ha quasi mai rispettato, sostituisce una struttura aperta e chiusa da due tempi lenti. Sembra nascere dal silenzio e dall’oblio, con un Andante comodo anziché con un Allegro, su temi che si concretano e consolidano a poco a poco come tornando a incollare insieme spezzoni di una musica già scritta ma travolta da qualche disastro. Sono motivi dell’ultimo brano del Canto della terra, del quale la Nona è un po’ la continuazione: il che spiega perché cominci con fatti musicali che parrebbero appartenere a un finale invece che a un primo tempo, evocare cose già avvenute e finite anziché proporre temi da sviluppare, muovere dallo stesso nulla immobile in cui Il canto della terra è sfumato, fra nebbie finissime e remoti paesaggi lontani.
Nel nulla, specularmente, sembra dissolversi l’Adagio sterminato che la conclude. Una scelta ancor più sconcertante: già adottata in Terza e Quarta, ma che fuori dal catalogo di Mahler viene utilizzata solo da Pëtr Il'ič Čajkovskij nel finale della Patetica, altro capolavoro nato dalla crisi e testimone di una crisi. Solo che in Čajkovskij la conclusione lenta è segnale di catastrofe, simbolo della fine di tutto, mentre la simmetria costruttiva della Nona di Mahler sembra lasciare sospesa la possibilità di un ripresentarsi ciclico, all’infinito, degli stessi fenomeni
La sinfonia resta per Mahler rappresentazione del mondo e autobiografia ideale, proseguendo un grande tema del Romanticismo, ma con una modernità decisa del linguaggio, che sviluppa in prospettive insolite e profetiche le asprezze già presenti nelle tre sinfonie strumentali di mezzo. L’accostamento alla dissonanza e la liberazione del suono come elemento di violenza primordiale, quasi materico, sembrano annunciare un Espressionismo in gran parte ancora da inventare.
Così anche l’ironia, il senso sinistro del grottesco se non dell’orrido, il gioco continuo fra enigma ed espressione, fra sentimento e disincanto, fra paradosso e disastro, ravvisabile soprattutto nei due movimenti centrali
Proprio in questi, e specialmente nel secondo, per il quale è prescritta l’esecuzione “Nel tempo di un Ländler comodo”, che leggiamo più chiaramente il confronto criticamente autobiografico fra il Mahler di questa fase estrema, forse consapevole dell’imminenza della fine, e tutto il suo passato. Collocare al secondo posto un Ländler, evocatore sarcastico di certi scorci favolistici della Prima Sinfonia, significa rileggere e ridisegnare un po’ tutto un capitolo giovanile, teso a recensire o rimpiangere o idealizzare un elemento folclorico (e anche paesaggistico), in un sostanziale epigonismo romantico. Così per gli scarti ritmici bruschi e sovente paradossali del Rondò-Burleske, in cui ancora una volta sembrano darsi la mano, in prospettive però più disagevoli e inquiete, le fantasie lontane di una prima maturità ispirata costantemente alle filastrocche infantili di Des Knaben Wunderhorn e le allucinazioni angosciose delle sinfonie di mezzo.

Nei due tempi centrali Mahler sembra rivivere e riproporci nella luce del ricordo e della consapevolezza di un’esperienza compiuta appunto, il suo itinerario dalla luce primigenia di un tardoromanticismo aurorale e naturalistico a una modernità stravolta e ossessiva. Lo stesso che Thomas Mann fa percorrere nel Doktor Faustus ad Adrian Leverkühn, che nella sua vicenda di compositore di musica ci appare, volta a volta, come controfigura di personalità diverse, da Čajkovskij a Schönberg, ma che in quanto autore di un ciclo di Brentano-Lieder (cioè di Lieder su testi del Wunderhorn) prima, e di una Lamentatio Doctoris Fausti (ribaltamento in negativo di un eterno femminino rivelatosi distruttivo) da ultimo, ci fa pensare soprattutto a Mahler. Ma l’autobiografia dolorosa di tutta una cultura raccontata da Mann volge decisamente in direzione del negativo; mentre Mahler con la Nona prospetta una relativa pacificazione in termini di addio, di uscita dal mondo, di possibile trasfigurazione:
questo forse il senso del finale, aperto da una evocazione del Tristano, con i violini che sembrano scagliarci in faccia il tema della morte di Isotta, e proseguito a lungo, con oasi cantabili sterminate

Daniele Spini