Rai Cultura

Le note di sala del concerto n. 13 della stagione 2024/2025 dell'Orchestra Rai

Richard Strauss - La Burlesque e la Sinfonia Domestica

Richard Strauss
Burleske in re minore 
per pianoforte e orchestra

Il 26 maggio 1885 Richard Strauss ricevette l’inaspettata proposta di diventare l’assistente di Hans von Bülow nella Cappella musicale di corte a Meiningen, un piccolo ducato indipendente nel cuore della Sassonia. Strauss aveva ventun anni, e non vedeva l’ora di iniziare finalmente una vera professione musicale. Meiningen era una piccola corte ma di grande prestigio per la musica, con un’ottima orchestra, seppur di piccole dimensioni, e un coro ben istruito. Inoltre, Strauss aveva la possibilità di lavorare a stretto contatto con uno dei più grandi pianisti e direttori d’orchestra del suo tempo, Bülow, e d’incontrare molti musicisti di alto livello ospiti dell’orchestra.

L’esperienza senz’altro più eccezionale del suo anno di lavoro a Meiningen, infatti, fu l’incontro con Johannes Brahms, venuto a dirigere la prima esecuzione della sua Quarta Sinfonia nell’autunno del 1885. La Burleske in re minore per pianoforte e orchestra, scritta da Strauss a Meiningen nell’inverno successivo, reca i segni evidenti del carisma di Brahms. Il giovane Strauss era un ottimo pianista, ma dopo aver conosciuto e ascoltato a Berlino il suo coetaneo Eugen d’Albert si era persuaso che la sua strada non sarebbe stata il pianoforte. Lo strumento, tuttavia, continuava a interessargli dal punto di vista compositivo, e il desiderio di fare bella figura con un campione del pianoforte come Bülow lo spinse a tentare una scrittura insidiosa come quella concertante. Il maestro, però, rifiutò l’offerta di eseguirlo, adducendo la scusa che alla sua età non aveva tempo di studiare per un mese un lavoro che richiedeva una posizione della mano diversa a ogni battuta. Quindi la dedica passò a un altro discepolo di Liszt, Eugen d’Albert, che eseguì la Burleske, con Strauss come direttore, il 21 giugno 1890 ad Eisenach, la città natale di Bach.

La Burleske è una sorta di scherzo sinfonico con pianoforte, che si apre con un tema intonato da ben quattro timpani dell’orchestra, il doppio di quanti ne suona abitualmente il timpanista, accordati sulle note re-la-mi-fa. Questa introduzione per timpani e orchestra mette subito in chiaro la natura ritmica e frenetica del lavoro, ribadita dal carattere percussivo del pianoforte nella sua entrata solistica. La forma, però, è quella di una sonata liberamente trattata, piuttosto che di uno scherzo, in maniera analoga all’Allegro appassionato del Secondo Concerto per pianoforte di Brahms, di cui condivide anche la tonalità di re minore e il metro ternario. Il secondo tema, infatti, di natura più espressiva e cantabile, è presentato dal pianoforte con una scrittura decisamente brahmsiana (b. 126, Tranquillo), che lascia trasparire le tracce del passaggio del maestro viennese a Meiningen.
L’esuberante ricchezza di idee del giovane Strauss trasforma il rapporto tra pianoforte e orchestra in una continua gara a inventare nuove forme di variazione delle cellule ritmiche e melodiche principali, con un’ironia a volte beffarda e satanica che anticipa il grottesco sarcasmo di Till Eulenspiegel
Il virtuosismo del pianoforte, infatti, ha dei momenti di furore quasi parodistico, forse per beffeggiare lo stile pomposo degli epigoni di Liszt. Bizzarra e capricciosa, la Burleske sfida il pianoforte a diventare un macchiettista e illusionista alla Fregoli, cambiando d’abito e d’umore da un momento all’altro, con un senso del teatro che lascia intravedere il grande operista del futuro, come dimostra la geniale coda della partitura, che dopo tanto fracasso affida a un solitario re del timpano la parola fine, una volta vaporata in aria con un fil di suono l’ultima volatina del solista.     

Richard Strauss
Symphonia domestica, op. 53

«Cosa c’è di più serio della vita matrimoniale – osservò una volta Richard Strauss a proposito della Symphonia domestica – Il matrimonio è l’evento più profondo della vita e la gioia spirituale cresce con l’arrivo di un bambino nato da quell’unione». L’ultimo poema sinfonico di Strauss, terminato la sera di San Silvestro del 1903, aveva lasciato di stucco la critica, che non riusciva ad accettare un lavoro così dissacrante come quello in cui si celebrava, con un taglio quasi cinematografico, la vita quotidiana di una banale coppia borghese.

Lo scrittore Romain Rolland, grande amico di Strauss, lo spiega molto bene in un saggio sul Festival musicale di Strasburgo del 1905, dove Strauss aveva diretto la Symphonia domestica:
Egli raffigura sé stesso nella sua casa, assieme alla ‘sua cara moglie e al nostro bambino’ (Meiner lieben Frau und unserm Kind gewidmet). ‘Non vedo perché – era solito dire Strauss – non dovrei scrivere una sinfonia su me stesso. Mi considero altrettanto interessante di Napoleone o di Alessandro’. Alcune persone replicavano che ciò non significa che gli altri condividano il suo stesso interesse. Ma io non ricorrerò a tale argomento: posso comprendere che un artista del suo valore ci parli di sé stesso. Quello che mi sconcerta di più è il modo in cui parla di sé stesso. La sproporzione tra il soggetto e i mezzi di espressione è troppo grande. Soprattutto, non mi piace questa esibizione di tutto ciò che è più segreto in un uomo. C’è una mancanza di riserbo in questa ‘Symphonia domestica’. La casa, il salotto, la camera da letto sono aperti a chiunque. È questo il sentimento della famiglia nella Germania di oggi? Confesso che la prima volta che ascoltai questo lavoro fui scioccato per ragioni puramente morali, a dispetto dell’affetto che provo per il suo autore. Ma più tardi ho rivisto questa prima opinione a causa della musica, che è meravigliosa
Lo sconcerto di Rolland è tanto più comprensibile in un’epoca, i primi anni del Novecento, profondamente segnata dall’idea della «heil’ge deutsche Kunst», la sacra arte tedesca, come proclama Hans Sachs alla fine dei Maestri cantori di Wagner. Che un volgare battibecco domestico scatenato dai capricci di un bimbo fosse rappresentato da una prodigiosa doppia fuga, simbolo dell’arte contrappuntistica, dev’essere sembrato scandaloso a un appassionato musicofilo di allora, mentre oggi lascia forse più sbigottiti la giravolta stilistica di Strauss, che da un soggetto capace di disgregare la prosopopea dell’opera d’arte come la Symphonia domestica passa immediatamente dopo a un testo grondante di retorica come la Salomé di Oscar Wilde. In realtà, nella Symphonia domestica Strauss gioca in maniera ambigua con il principio della musica a programma.
A suo modo di vedere, il programma poetico della Symphonia domestica non era che un pretesto per esprimere in maniera musicale le proprie emozioni, non una mera descrizione di effettivi fatti quotidiani
Il programma, secondo Strauss, aiutava il pubblico a seguire la forma del lavoro, niente di più. La partitura, tuttavia, contiene alcuni punti specifici in cui si può rintracciare una precisa descrizione musicale, come per esempio alla fine del primo episodio, dove le zie, contemplando il bambino, esclamano «Tutto il papà!», mentre gli zii replicano «Tutto la mamma!». Musicalmente, questa sorta di vignetta comica si traduce da una parte nelle due trombe con sordina che intonano un frammento del tema maschile e dall’altra da corni e trombone, sempre con sordina, che replicano con l’inizio del tema femminile, un rovesciamento della testa del tema maschile.

La forma della vita domestica degli Strauss è la sinfonia classica, articolata in quattro movimenti. Nel primo, indicato come «Bewegt» (mosso), sono descritti i tre protagonisti della sinfonia: il compositore, la «cara moglie e il nostro bambino», come recita la dedica del lavoro. L’autoritratto dell’autore è definito da tre temi: il primo, «gemächlich» (pigramente), è intonato dai violoncelli; il secondo, «träumerisch» (sognante), dall’oboe; il terzo, «feurig» (focoso), dai violini. Poi è la volta del ritratto della moglie, tratteggiata con altrettanti temi. La prima immagine è quella civettuola di una parodia del primo tema maschile tutta trine e risatine, addolcita da un grazioso scritto in partitura; la seconda, quella di una donna sensibile e appassionata («gefühlvoll»), un passaggio peraltro singolarmente breve; infine – forse il lato più riconoscibile di Pauline – quella di un carattere forte e fumantino («zornig», recita la partitura, irato). Il terzo personaggio, il figlio, è introdotto alla fine di un breve episodio di sviluppo, dove si mescolano diversi elementi dei temi maschili e femminili. Per il piccolo Franz, detto Bubi, che all’epoca della composizione aveva sei anni, basta un solo tema, che lo rappresenta probabilmente addormentato nella culla – «ruhig» (calmo), indica la partitura.
Per Bubi, Strauss ripesca dalla memoria uno strumento bachiano come l’oboe d’amore, che riempie la stanza dei giochi con il suo canto morbido ed espressivo
E questa è l’esposizione, conclusa dalla scenetta umoristica dei parenti venuti ad ammirare il nipote fresco fresco, unica sopravvivenza nella partitura del dettagliato programma poetico che tanto aveva indignato Rolland.

Il movimento che segue è lo Scherzo, sebbene il lavoro sia la parafrasi di una sinfonia piuttosto che una sinfonia vera e propria. La Symphonia domestica, infatti, racconta una storia, alludendo ai tempi di una sinfonia ma mescolando le carte liberamente secondo le esigenze narrative. Lo Scherzo, dunque, riparte dal mondo del bambino, con l’oboe d’amore che detta un nuovo tema in 3/8 di sapore settecentesco, indicato come «munter» (vispo). Intervengono i genitori, con sprazzi dei loro temi che ravvivano la scena finché gli archi riprendono, in re maggiore, il tema principale del bambino, che si sviluppa in maniera avvolgente ed espressiva. Arriva il momento di andare a dormire, con un’incantevole ninna-nanna («Wiegenlied») sulla melodia del Venetianisches Gondellied, il Lied ohne Worte op. 19 n. 6 di Mendelssohn. Strauss cita alla lettera la tonalità di sol minore e l’andamento per terze della melodia, trascritta qui per una coppia di clarinetti, ma la mescola con una variazione del tema dell’oboe d’amore.

La notte scende, e il ritorno del tema «träumerisch» (sognante) del papà collega lo Scherzo al successivo Adagio, che racconta la grande scena d’amore dei genitori. Sette rintocchi del glockenspiel risvegliano la casa, che si rimette in moto nel Finale con i trilli dei flauti e delle trombe. Il soggetto della fuga è subito anticipato da corni e violoncelli, ma la doppia fuga inizia solo con il primo tema dettato dai fagotti a quattro, mentre il secondo è energicamente spazzolato dai violini al tallone. Questa pagina magistrale, per l’abilità tecnica di maneggiare tutte le risorse del contrappunto, non manca di spunti anche ironici, come quando al culmine della tensione polifonica i quattro sassofoni impiegati nella partitura sovrappongono il tema sognante del marito (soprano e contralto) e quello bisbetico della moglie (baritono e basso), con un evidente effetto comico. Al termine del bisticcio domestico, ritrovata la serenità, una magnifica e imponente coda riassume i temi principali del poema sinfonico, dal focoso del marito a quello della fuga, dal grazioso della moglie a quello di Bubi, in una vera apoteosi della vita domestica quale né Napoleone, né Alessandro in musica hanno mai ricevuto.   

Oreste Bossini