Rai Cultura
Soldati italiani durante la ritirata
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Un carro armato in azione nella neve: Hitler non aveva assolutamente tenuto in considerazione le condizioni estreme dell’inverno russo
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Colonne corazzate sovietiche nella steppa innevata
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Un gruppo di bersaglieri motociclisti italiani impegnati in Russia
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Mussolini insieme al Generale Giovanni Messe a capo dello Csir, durante la visita del Duce in Russia il 29 agosto 1941
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Mario Rigoni Stern, alpino impegnato nella campagna di Russia e sopravvissuto alla ritirata
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Mussolini, Goering e Hitler studiano una mappa del fronte russo, il 26 agosto 1941
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Truppe tedesche in ritirata a Leningrado nel 1941
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Due soldati tedeschi al fronte in Russia, il 26 giugno 1943
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Soldato motociclista tedesco: si nota un miglior equipaggiamento per i soldati tedeschi
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Truppe tedesche invadono un paese russo
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Difficoltà addirittura per i carri armati a muoversi nella neve sul campo di battaglia
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I soldati italiani in Russia

Una disfatta annunciata

Il 21 giugno 1941 nel pieno del conflitto mondiale Hitler decide di sferrare l’attacco alla Russia: scatta l’operazione Barbarossa. I vertici militari tedeschi sono convinti di chiudere la questione al massimo in cinque settimane. Mussolini è convinto dell’importanza e della buona riuscita dell’operazione e soprattutto ritiene fondamentale essere al fianco del proprio alleato per condividere le conquiste annunciate. Nel luglio 1941 costituisce il Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir). A questo un anno dopo, nel 1942, subentrerà un nuovo corpo di spedizione: l’Armata italiana in Russia (Armir), stanziata sul medio Don e che viene coinvolta nel drammatico tentativo di resistenza alla controffensiva sovietica. Il 16 dicembre 1942 l’Armata italiana subisce una delle più gravi sconfitte dell’esercito italiano nella Seconda Guerra Mondiale: vengono fatti prigionieri dai russi più di 640000 soldati, costretti a raggiungere a piedi nella neve i campi prigionia.

“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don"


Chi non riesce a rimanere al passo viene ucciso: si rivela una carneficina. Tra il 1945 e il 1946 torneranno in Italia dei 640000 solo circa 10000. Rispetto a tutte le altre campagne della Seconda Guerra mondiale quella del fronte orientale è ancora oggi ricordata per le sofferenza a cui sono stati sottoposti i soldati: non equipaggiati, a corto di munizioni e non pronti a quel tipo per affrontare le avversità del freddo sovietico. Mario Rigoni Stern, alpino sopravvissuto alla ritirata e autore dell’avvincente libro Il Sergente nella neve, scrive: “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”.