Biennale Arte 2019: Angelica Mesiti
Linguaggi senza parole
L’artista realizza principalmente film e installazioni video, in cui il linguaggio verbale è sempre assente. Eppure il suo maggiore interesse è proprio il linguaggio, quello della comunicazione trasversale che può scaturire dall’interazione di movimenti, suoni e gesti propri di comunità e popoli di diversa provenienza e etnia. L’artista è andata perciò alla ricerca nel mondo di piccole e grandi realtà che si esprimono tra di loro con gestualità e rituali che riportano a uno stadio primitivo della comunicazione tra gli uomini.
In Danimarca è rimasta affascinata dalla pratica molto frequente del canto in comunità, su cui ha realizzato il video Mother Tounge (2017); in Svezia , alcuni anni prima aveva messo in scena, invece, un lavoro basato sui gesti di comunicazione silenziosa The Colour of Saying, (2015).Nel suo lavoro In the Ear of the Tyrant (Nell’Orecchio del Tiranno), realizzato nel 2013/2014, l’artista australiana di origini italiane ha indagato sull’origine delle prefiche, le donne che nell’antichità erano pagate per dimostrare dolore profondo durante i cortei funebri, intonando canti di elogio del defunto intercalati da grida e pianti. Il lavoro è stato realizzato nella grotta conosciuta come l’Orecchio di Dionisio, scavata nel calcare sotto il teatro greco di Siracusa e chiamata così perché a forma di grande orecchio, dove l’artista ha condotto una cantante, altrettanto appassionata dalla storia delle antiche prefiche.
Il lavoro The Calling (2013/2014) esplora i diversi stadi di questo linguaggio particolare: in Turchia serve ai contadini, giovani e vecchi, che fischiano in codice attraverso i campi a grandi distanze per comunicare quando il timbro della voce non può arrivare; in Grecia viene usato oramai solo da vecchi che abitano sulle montagne, mentre nelle Isole Canarie si cerca di mantenerlo vivo insegnandolo addirittura a scuola o inscenando spettacoli.Nelle sue ricerche sui linguaggi non verbali, l’artista ha, sorprendentemente, scoperto in Turchia, in Grecia e nelle isole Canarie alcune comunità che usano uno vero e proprio linguaggio fischiato per comunicare.
Nakh Removed (2015) invece è un lavoro in cui quattro donne algerine, marocchine e tunisine eseguono il nakh, una danza dei capelli originaria del confine algerino-tunisino, nella quale le donne secondo la tradizione si esibiscono ai matrimoni e durante i periodi di fertilità.
Nel lavoro ASSEMBLY (2019), presentato alla Biennale, l’artista si inspira ancora una volta all’Italia e più precisamente parte dall’uso di Michela, un sistema di stenotipia con tecnica di abbreviazione a forma di tastiera, usato nel Senato Italiano. Il Michela viene impiegato per le trascrizioni ufficiali dei discorsi dei parlamentari al fine di assicurare trasparenza nel processo legislativo democratico. In ASSEMBLY Mesiti utilizza questo dispositivo per codificare una poesia del poeta australiano David Malouf, codice che viene poi messo in musica dal compositore australiano Max Lyandvert e eseguito da un ensemble di musicisti.