Sironi a Milano, Roma e Sassari

Grandi Mostre, 1985

Sulle pareti ricomincia lo sforzo, seminiamo dei tentativi. L’allegoria può essere benissimo una Primavera o un baratro, il più è non farsene inghiottire
Mario Sironi

Per il centenario della nascita di Mario Sironi (1885-1961), vennero allestite tre mostre, una a Sassari, sua città natale e due tra Milano e Roma, luoghi dove l'artista svolse gran parte della sua attività. 
Nell'occasione, la rubrica Rai "Grandi mostre" presentava il documentario qui proposto, “Mario Sironi a Milano, Roma e Sassari. La primavera e il baratro”, un approfondito ritratto sull'artista che evidenziava aspetti ancora poco noti del pittore, assieme ad alcune opere inedite presenti nelle esposizioni. 
Fu proprio la mostra di Sassari, allestita nel Padiglione dell’Artigianato Sardo e concepita come antologica, a presentare due grandi tele di destinazione pubblica, fino ad allora mai esposte: si trattava di "Il lavoro nei campi. L’Agricoltura" e "Il lavoro in città. L’Architettura (1932-'34, Palazzo delle Poste, Bergamo), opere realizzate appositamente per la Sala dei Telegrafi del Palazzo delle Poste, esposte qualche anno dopo al "Premio Bergamo". 

Sironi è oggi noto come artista instancabile, poliedrico e multiforme, attivo in pittura, architettura, scenografia, scultura, decorazione murale e arti applicate, nonché, nella moderna illustrazione grafica e pubblicitaria

Per la prima volta, infatti, la mostra di Sassari presentava un cospicuo corpus di delicatissime carte, spesso mai firmate e datate, di un Sironi disegnatore inesauribile al pari di nessun altro artista coevo. 
Fin dai primi anni del Novecento, il giovane artista realizzava copertine per riviste e successivamente, il grande formato del manifesto lo aiutava a sviluppare il senso della composizione e della struttura del disegno, assieme ad una certa sensibilità per il lavoro di gruppo (Sironi, illustratore della Grande Guerra). 
Giunto a Roma a circa un anno, Sironi compiva studi tecnici (1898-1902) per poi raccogliere l’eredità ideale del padre ed iscriversi alla facoltà di Ingegneria. 

Ma dopo pochi mesi, piegato dai morsi di una crisi depressiva che ad intervalli lo accompagnerà tutta la vita, abbandonava gli studi

Sironi iniziò così a dipingere, tentennando tra Divisionismo e Simbolismo, un periodo giovanile molto interessante e solo recentemente indagato a fondo nelle ultime esposizioni curate da Elena Pontiggia (Tutto il Novecento di Mario Sironi). 
Nello studio di Giacomo Balla, Sironi conosceva Umberto Boccioni e solo nel 1913 esponeva con i futuristi, esibendo opere dalla struttura “solida” assieme a qualche tela astratta. 
Del Futurismo l'artista condivide l’audacia, la provocazione, lo sdegno per l’individualismo della classe borghese e l'arte “da salotto”, il nazionalismo e la politica interventista. Nel 1915, infatti, si arruolava nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e sottoscriveva il manifesto.
Dopo la Grande Guerra, Sironi iniziava a guardare con interesse  la pittura Metafisica, folgorazione ravvivata nel 1918 dalla nuova rivista di Mario Broglio "Valori Plastici" sulla quale vede i manichini di de Chirico e Carrà accanto alle figure "tubolari" di Fernand Léger (Sironi, artista moderno e arcaico).
Nel mentre, il pittore si era trasferito a Milano dove Boccioni lo aveva introdotto nei salotti culturali, frequentatati da Mussolini, di casa Margherita Sarfatti. Nel 1922, in occasione della Marcia su Roma, Sarfatti promuoveva il gruppo artistico Novecento pensato proprio sulle suggestioni della nuova "sintesi" sironiana messa a punto di un ciclo di opere che l'artista iniziava a dipingere in questi anni: le "Periferie" milanesi (Sarfatti, la musa del Duce). 

Negli anni Trenta, grazie all'azione promotrice di Sarfatti e alle abilità anche tecniche di Sironi, l'artista diventa il "deus ex machina" di numerose manifestazioni culturali del regime

In queste occasioni Sironi mette in pratica i concetti enunciati nei suoi scritti teorici sigillati, nel 1932, nel “Manifesto della pittura murale”, al quale aderirono Campigli, Carrà e Funi.
L’occasione più importante per dar prova delle sue capacità di rinnovatore e organizzatore, già testimoniate nell'allestimento pubblico della Mostra della Rivoluzione Fascista al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1932), sarà la V Triennale di Milano del 1933. 

Qui, nella nuova sede progettata da Giovanni Muzio a Parco Sempione, Sironi esplicita la “funzione sociale”, “educatrice” e di “governo spirituale” dell’arte, al pari di un programma che potrebbe essere stato concepito dalla Bauhaus ed era invece a servizio dello stato fascista

Della grande rassegna dedicata alle Arti decorative e industriali e all’Architettura moderna, Sironi è organizzatore, architetto, pittore, scultore, grafico, ideatore d’imponenti scenografie e selezionatore di ben trenta artisti incaricati di decorare il palazzo. L’immagine coordinata della Triennale portava la sua firma, dal logo, al manifesto ufficiale, alla carta intestata, fino ai diplomi e alle medaglie d’onore. 
Ancora una volta, come oramai di prassi, non mancheranno le critiche da parte del regime: il camerata Roberto Farinacci, che definiva Sironi un “bolscevico" e la sua opera “la pittura dei piedoni”, dichiarava così il fastidio intrinseco per i toni di dura presa “morale” e di sostegno delle masse espressi dal pittore.

Tra le molte opere a mosaico, antica tecnica che Sironi ripristinava per decorare i suoi muri, la mostra di Sassari esponeva numerosi bozzetti dove l'artista indicava a disegno, per il suoi collaboratori, anche l'andamento di posa delle piccole tessere 

La mostra su Sironi allestita a Roma documentava l'inizio del restauro dell'opera pubblica più emblematica dell'artista: i quasi cento metri quadrati del murale “Italia tra le arti e le scienze”, realizzato nel 1935 per l’Aula Magna del Rettorato in occasione dell’inaugurazione della nuova Città universitaria. Dopo le aspre critiche per la Triennale milanese, il murale doveva costituire una sorta di risarcimento per la "quarantena" allora subita dall'artista. 

Considerato uno dei più significativi esempi della grande decorazione del Ventennio, fu Marcello Piacentini, fedelissimo architetto di Mussolini, ad affidare a Sironi l'affresco nel momento di maggiore ascesa e consenso del regime, all’inizio della guerra d’Africa 

Nell'immediato Secondo Dopoguerra, l'Italia tra le arti e le scienze fu al centro di un acceso dibattito censorio: due commissioni nominate dai rettori, di cui fu membro lo stesso Piacentini, oscillarono tra l’idea dell’oscuramento totale dell'affresco e della parziale cancellazione (Sironi, un pittore "difficile"). Come in epoca di controriforma, quando i nudi michelangioleschi della Sistina venivano scalpellati e imbraghettati da Daniele da Volterra, prevalse l'opzione di rimuovere i "simboli del peccato". 

L'affresco fu così mutilato di vittorie alate, cavalieri, aquile e fasci, assieme a una ridipintura pesante che alterò la tonalità generale dell'immagine e il profilo dei volti effigiati da Sironi. L'artista non volle rivedere mai più la sua opera

Per l'inizio di un lungo restauro filologico, concluso solo nel 2017, l’Aula Magna dell'Università di Roma esponeva allora, per l'occasione, disegni, cartoni preparatori, bozzetti e fotografie di fondamentale importanza per il ripristino dell’autografia originale dell'affresco. 

La pittura di Sironi è sempre stata buia, nei toni cupi e terrosi dei grigi, dei blu, dei bruni, delle ocre e soprattutto dei neri; pochi gli accenti vivaci di rosso che appare anche nelle sue ultime "Apocalissi"

La mostra di Milano dedicata a Sironi e allestita a Palazzo Reale, era interamente incentrata alla pittura dell'artista e in particolare, proprio a sfatare il falso mito di in pittore anticolorista. Malgrado la controllata tavolozza, Sironi sapeva modulare i suoi colori in maniera sottile e sempre ricercata, consona al soggetto e alla tecnica impiegata. 

FOTO DI COPERTINA 
Mario Sironi, Italia tra le arti e le scienze, 1935, affresco, Aula Magna dell'Università La Sapienza, Roma