La pittura di Giuseppe Zigaina
Un racconto di Vanja Strukelj
Giuseppe Zigaina (1924-2015) era nato a Cervignano del Friuli. Dopo il collegio, nel 1944, conseguiva la maturità presso il Liceo artistico di Venezia, città che nel ‘49 accoglieva la sua prima personale alla Fondazione Bevilacqua La Masa presentata dall’amico, anche lui friulano, Pier Paolo Pasolini.
In qualità di scenografo, Zigaina realizzava per Pasolini i bozzetti del film ”Teorema” (1968) e nel 1971, interpreta il frate santo nel “Decameron”. Il sodalizio tra due durò oltre la tragica morte dello scrittore e poeta, una tragedia interpretata da Zigaina in una teoria raccolta in ben sette libri (Zigaina: la morte rituale di Pasolini).
Nel 1948, partecipava alla Biennale di Venezia con una pittura di marcato impegno civile; nell’occasione conosce il “fronte” di Guttuso, Pizzinato, Corrado Maltese, De Micheli, De Grada Treccani, Titina Maselli, Emilio Vedova e Leoncillo, ma soprattutto rimane affascinato dall’inedita libertà compositiva e dalla cromia brillante dell’opera di Chagall e Picasso.Zigaina esordiva giovanissimo nel mondo dell’arte catturando fin da subito l’attenzione della critica
Pittore, disegnatore e incisore, con la maturità l’artista approfondiva la scrittura per analizzare e scavare dentro sé stesso; “Paesaggio come anatomia”, è un’originale autobiografia artistica, lucida e poetica nello stesso tempo, dove il “corpo a corpo” con l’incisione restituisce tutta la complessità di Zigaina.Come nota Strukelj, nell’evoluzione della pittura di Zigaina i temi, le iconografie, i rapporti cromatici delle sue tele tornano ripetutamente e, in contesti diversi, un processo di metamorfosi libera significati sempre nuovi
Fin dagli anni giovanili, Zigaina ha dimostrato una personalità straordinaria, idee forti e spesso controcorrente già manifestate alle Biennali veneziane tra il 1948 ed il ‘52. Sono gli anni del Neorealismo, il movimento che vide impegnati poeti, letterati, fotografi, registi ed artisti nella produzione di opere significative a testimonianza della tormentata epoca italiana lacerata da contrapposte ideologie.
Zigaina porta in primo piano l’esigenza e i problemi delle classi operaie, un’umanità dolente di proletari asserviti ad un padronato miope e chiuso nei propri meschini interessi di classe.
L’artista offriva una serie di stupefacenti immagini, una delle pagine più alte e vive della pittura italiana del Dopoguerra; lo stile Neocubista con il quale ricostruiva la “grande storia”, spesso dimenticata, in una dimensione epica e coinvolgente della “realtà” friulana e veneta, attingeva alla memoria ancestrale degli affreschi di Aquileia la cui “passione” del Cristo ne è l’emblema.
Giuseppe Zigaina, Biciclette e falci, 1949, olio su faesite, 101x77cm., Collezione privata
Le biciclette dei partigiani e dei braccianti, i carri carichi di strumenti di lavoro, muti testimoni del dramma quotidiano, sono riprodotti con forza evocativa e immane presenza al pari degli uomini: disperati che attendono un traghetto, che occupano terre, che scioperano, o tornano dai campi, sono immersi nella campagna spogliata dal lirismo romantico ottocentesco, un sentimento già tratteggiato da Pasolini nei suoi versi giovanili e rappresentato da Zigaina nella cruda “realtà” del dopoguerra (I due fiumi: Zigaina e Pasolini).
Per la serie “Uomini che uccidono cavalli” (1948), tema che l’artista trattò più volte tra il 1947 e il ’49 con tecniche diverse, Strukelj rimanda al “quadro della mia vita”, come Zigaina definiva la “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello; l’opera vista agli Uffizi, veniva discussa del giovane Zigaina con Bruno Saetti alla maturità artistica. In questa serie, come per quella delle “biciclette”, spicca l’esattezza formale del forte impianto geometrico e l’eleganza di rappresentazione propria del maestro rinascimentale. In “Uomini che uccidono cavalli”, la composizione lascia spazio al dramma, allo scontro di forze, alla violenza e alla sopraffazione. Per questo i contorni si fanno duri e severi, mentre la grande lezione pittorica vive nella calibrata costruzione di luci che imprimono all’opera un vigoroso dinamismo.
Giuseppe Zigaina, “Assemblea dei braccianti sul Cormor. Sciopero a rovescio del luglio 1950”, 1952, olio su tela, 250×316 cm., Casa Cavazzini, Museo di Arte Moderna e Contemporanea, Udine
“Assemblea dei braccianti sul Cormor: sciopero a rovescio del luglio 1950”, presentato alla Biennale del ‘52, è un quadro di grandi dimensioni e rappresenta l’espressione più alta della produzione pittorica di questo periodo, un vero capolavoro della stagione Neorealista italiana.
La tela, un’assemblea di braccianti sul greto del Cormor, torrente che dal Friuli sfocia nella laguna, divenne simbolo della lotta dei braccianti friulani contro un destino di emigrazione. La forma di protesta scelta, lo “sciopero a rovescio”, prevedeva il fatto di lavorare senza essere pagati: l'obiettivo era quello di dimostrare la necessità del loro lavoro nelle terre della Bassa Friulana attraversate da un torrente che, periodicamente, esondava sottraendo terreni all’agricoltura.
Nella calda estate di quell’anno, la ribellione coinvolse migliaia di uomini pesantemente osteggiati dalle forze dell’ordine e sostenuti da una rete civile e dall’impegno di alcuni intellettuali: tra questi, Zigaina pubblicava un testo di adesione alla causa dei braccianti sulle pagine di “Rinascita”.
Strukelj pone l’accento sul colore e sulla sintesi del disegno che in Zigaina assumono una valenza simbolica e innalzano il dipinto a valori universali sublimati nella fermezza e la volontà dei braccianti friulani, figure immobili e dai volti fissi e virili, espressione di animi “armati” di vanghe e falci luccicanti.Quella mattina di luglio, quando salii sull’argine non seppi dire una parola per l’emozione. Squadra dopo squadra, con le bandiere issate su lunghe pertiche, spalavate in silenzio, disseminati fino all’orizzonte lungo il letto del fiume. Non avevo mai visto, né immaginato, battaglia più bella, più organizzata, più giusta.
Giuseppe Zigaina, Ai lavoratori della terra, 1951
Il robusto plasticismo Neocubista dei dipinti di questo periodo si disfa nelle opere degli anni seguenti quando Zigaina riteneva conclusa, a soli trent’anni, quest’epoca importante della sua prima attività artistica.
Con la maturità, l’artista approdava ad una visione esistenziale: temi profondi e umani come la violenza e la morte rivivono in rapporto alla propria storia personale, alla memoria di un territorio e al sogno (Le ceppaie di Zigaina).
A inizio anni Sessanta, il pittore interpretava tutto ciò con sottile pessimismo e senso critico (Zigaina, ricordi del Colle di Redipuglia).
Sbucano nuove icone, nuovi simboli, nuove procedure “alchemiche” di trasformazione provenienti dall’acquaforte, la “straordinaria avventura” della sua vita. “La farfalla del 4 novembre”, o il “Colle di Redipuglia”, sorprendono per il contenuto e l’impaginazione, decisamente rigorosa nell’accentuato e astratto geometrismo, peculiare caratteristica della nuova pittura.Zigaina abbandona le biciclette e i braccianti e accoglie le nuove istanze materiche dell’Informale europeo e della pittura astratta
Dagli anni Settanta, entra prepotente il tema del “Paesaggio” e della figura del padre protagonisti e simboli dominanti sia nella pittura, sia nella grafica. Un padre “come un ariete”, animale sacrificale e una serie di “Paesaggi come anatomie” visti dall’alto, costituiscono le ultime opere concepite con frammenti di memoria di un artista colto; Zigaina attiva un lungo processo interiore fatto di meditazioni, ripensamenti, ricordi, vissuto, sentimenti, speculazioni filosofiche, rielaborazioni culturali, colloqui e discussioni con i tanti amici del mondo dell’arte, della letteratura e del cinema (L’immaginario di Giuseppe Zigaina).
I dipinti degli anni Ottanta presentano tutti la particolare e straordinaria raffigurazione “a volo d’uccello”, un’arditezza prospettica che, per la sua accattivante spettacolarità, non manca di trovare proseliti anche nell’epoca moderna.
Dipinti di grande dimensione ripropongono a perdita d’occhio l’amato e solenne paesaggio friulano; non più quello dell’infanzia, ma un luogo ormai modificato dal lungo lavoro dell’uomo, con vigneti, papaveri di un rosso accecante e “anatomie” geometriche intarsiate nelle atmosfere serali verdeblu della laguna di Grado.
FOTO DI COPERTINA
Giuseppe Zigaina, dettaglio di “Assemblea dei braccianti sul Cormor. Sciopero a rovescio del luglio 1950”, 1952, olio su tela, 250×316 cm., Casa Cavazzini, Museo di Arte Moderna e Contemporanea, Udine