L'incisione di Giuseppe Zigaina

Una mostra per "Zigaina 100"

Incidere una lastra dev’essere come scavare nella memoria, per strati: si trovano dei fili sparsi qua e là come terminali abbandonati, come radici affioranti di epoche remote. Poi, per un’oscura intuizione o come sfiorati da una grazia, oppure semplicemente per un enzima che è nell’aria – non so come chiamare questo qualcosa che avvia il processo – li raccogliamo e li allacciamo tra loro”
Giuseppe Zigaina, “Paesaggio come anatomia”

In occasione della mostra “Zigaina. Incisioni, edizioni e libri d’artista” (Istituto Centrale per la Grafica, Roma), Rai Cultura propone un excursus dell’esposizione romana raccontata delle due curatrici Francesca Agostinelli, Ilaria Savino e della Direttrice dell’Istituto dalla Grafica Maura Picciau. 
La prestigiosa istituzione situata dietro Fontana di Trevi, conserva matrici storiche a partire del Quattrocento, ma contempla nella sua mission anche la salvaguardia e la promozione del contemporaneo, ossia di opere novecentesche provenienti da lasciti di artisti e collezionisti. 
La mostra nasce nell’ambito dell’articolato progetto “Zigaina 100. Anatomia di una immagine”, una serie di iniziative per ricordare la complessa personalità dell’artista che, nato cent’anni fa, inizia come pittore (La pittura di Giuseppe Zigaina), poi incisore, scenografo, saggista, fotografo, attore e anche regista di un documentario dedicato alla festa dal Primo Maggio e girato nel suo paese natale (1953. I° Maggio a Cervignano) del quale, lo Speciale propone una breve sequenza. 

Zigaina utilizzò più linguaggi espressivi che confluirono e sostennero la sua grande opera incisoria

Fino ai quarant’anni circa, la sua pittura orientata su toni epici e di impegno civile catturava, nella piena responsabilità morale del mestiere d’artista, la “realtà” di lavoratori e contadini del Carso, sua terra natia. La formazione di Zigaina, nota Agostinelli, al pari di molti artisti della sua generazione avveniva nello studio del disegno di grandi maestri come Paolo Uccello. La giovanile folgorazione per la “Battaglia di San Romano” degli Uffizi, sarà ricordata più volte da Zigaina come “il quadro della sua vita”. 
Dal 1964 circa, Zigaina scopriva l’incisione a puntasecca; da allora, l’artista iniziava a restituire nei suoi fogli una visione esistenziale sempre più profonda, grazie anche alla scelta successiva dell’acquaforte, una tecnica di vigorosi contrasti chiaroscurali che Zigaina seppe gestire con padronanza eccelsa. Difatti, l’artista che non smise mai di dipingere conserverà nel bianco e nero del foglio la pittoricità evocativa del suo segno penetrante per parlare di temi umani analizzati in rapporto alla storia, al suo territorio, alla memoria del padre e al sogno. 
Giuseppe Zigaina (1924-2015) nasceva a Cervignano del Friuli, un territorio al quale rimarrà legato tutta la vita; qui, a fine anni Cinquanta costruirà la sua casa-studio in un progetto a quattro mani con l’architetto Giancarlo De Carlo.

Interno di Casa Zigaina a Cervignano del Friuli, architetto Giancarlo De Carlo, fotografia Luca Somma, 2024

Quando inizia ad incidere, Zigaina ha già esposto alla “V Quadriennale di Roma” e alla “Biennale di Venezia” (1948); protagonista dell’acceso dibattito Neorealista con Guttuso e Pizzinato, a trentasei anni era tra i massimi pittori italiani degni di una Sala personale alla “XXX Biennale veneziana” (1960) e di un premio che lo porterà in America consolidando così una fortunata carriera. 

La nostra pelle è il tessuto più irregolare che esista: lascia sulla lastra le impronte della sua unicità. Talvolta è una divinità che ti aiuta, oppure una rabbia, o la voglia sfrenata di agire con la felicità di un gabbiano”
Giuseppe Zigaina, “Paesaggio come anatomia”

Zigaina inizia ad incidere in puntasecca, poi dal 1968 adotta l’acquaforte, la “tecnica prediletta” qui magistralmente spiegata da Ilaria Savino grazie al supporto di alcune sequenze straordinarie tratte da un filmato inedito del 1984 (Le tecniche di incisione. L’acquaforte, di Marcello Terranova) dove l’artista lavora una lastra nella “Stamperia d’Arte Albicocco/Santini” di Udine, con gli stampatori Corrado e Federico, stretti collaboratori di un lungo sodalizio (Zigaina nella stamperia Albicocco Santini). 
Savino evidenzia una tecnica precisa, un fare alchemico nel “corpo a corpo” dell’artista con la lastra dalla quale emerge il caratteristico segno di Zigaina, un tratto inciso, “forte” e “scuro” che in un work in progress unico restituisce la genesi di un’opera esposta: “Mio padre l'Ariete” (1984), primo foglio di una tiratura di trenta esemplari.  
Pur mantenendo costante l’impegno sociale, in queste opere grafiche il riferimento alla realtà non muta neanche quando la sua ricerca, dopo il 1967, vira verso l’indagarne profonda, dai risvolti psichici e onirici, con modi molto vicini all’Informale e alla pittura astratta. 

Giuseppe Zigaina, Mio padre tra i girasoli, 1984, acquaforte su zinco, 100x129,5cm., Albicocco e Santini di Udine, 30 esemplari

Accanto al disegno e all’incisione, nella maturità di Zigaina prende corpo anche una ricca produzione di testi letterari attraverso i quali il Maestro restituisce i risvolti nodali di una ricerca enunciata in “Paesaggio come anatomia”, un testo memorabile di sue riflessioni sul processo creativo dell’incisione (“Paesaggio come anatomia”, Marsiglio, Venezia, 1995). Zigaina restituisce così un orizzonte poetico frutto di anni di scavo e indagini esoteriche, psicanalitiche e semiologiche, un’esplorazione autobiografica che a partire dall’infanzia recupera pezzi di “anatomia” fusi in paesaggi lagunari materni. Dal corpo che si fa paesaggio e sogno nascono negli anni una serie di “libri d’artista” tra i quali “Paesaggio come anatomia”, quattro acqueforti più una di copertina, stampate in centoquindici esemplari dall’amico stampatore Corrado Albicocco (1995). A lui scriverà:

Lavorare con te è come confidarti i miei segreti, i miei sogni, le mie ansie, insomma è come raccontarti la fiaba della mia vita”
Lettera di Zigaina a Corrado Albicocco

Nella grafica degli anni Ottanta e Novanta, questi frammenti allusivi e autobiografici vengono reinterpretati e rivisti in opere realizzate con il taglio di vecchie lastre rivisitate. Zigaina “sprofonda nell’immagine” e dalle viscere di una natura sezionata al microscopio arriva a sorvolare paesaggi in prospettiva aerea. Del progressivo cammino dell’artista verso l’interiorizzazione dell’immagine, con finalità evocative e allusive di sensazioni e sentimenti scaturenti dall’io profondo, ce ne parla Francesca Agostinelli. 

L’esperienza più sconvolgente in questo senso è percorrere a piedi, con brevi soste per riprendere fiato, il tragitto intracerebrale dei nervi encefalici. Il tronco cerebrale è sezionato sagittalmente. Prendiamone la metà destra. Deposta in una landa deserta, è come una immane collina, ingiustificata, assurda. Vista dall’esterno e da un essere non umano è proprio così: un paesaggio”
Giuseppe Zigaina, “Paesaggio come anatomia”

Dai giovanili ricordi drammatici della violenza della guerra espressa nei “Dormitori”, che sono poi i lager, alle presenze inquietanti di farfalle notturne, fino alle misteriose apparizioni di astronavi e alle evocazioni della figura paterna, Zigaina compone le sue storie. 
Una di queste, che meriterebbe un lungo discorso, riguarda l’amicizia con Pier Paolo Pasolini, conosciuto nel 1946, sul quale Zigaina scriverà più libri cercando di interpretare la tragica fine del poeta e regista (Zigaina: la morte rituale di Pasolini). Il sodalizio con il grande intellettuale italiano darà vita, a soli due anni dalla triste scomparsa, ad un libro d’artista esposto in mostra: “I Reca” (1977). Stampato in cento esemplari, con tre grafiche di Zigaina, il libro, illustra una poesia che Pasolini aveva dedicato all’amico, come lui friulano, nel 1969 (I due fiumi: Zigaina e Pasolini). 
I due, come spiega Agostinelli, vivevano un sentimento comune di solitudine dovuto a condizioni particolari di esistenza. Per Zigaina, fa notare la storica dell’arte, giocava un ruolo non marginale anche la drammatica vicenda di gioco che, a cinque anni, privava l’artista del braccio destro. Una menomazione che mai entrerà nel racconto di Zigaina, ma che rimarrà sottesa nel suo “fare arte”, nel suo produrre l’immagine di una realtà che, fin da piccolo, lo costrinse a un processo di adattamento psicofisico importante.

FOTO DI COPERTINA
Giuseppe Zigaina, dettaglio, Mio padre tra i girasoli, 1984