Zigaina: la morte rituale di Pasolini
Un fatto un personaggio, 1988
Con queste parole chiare e dirette, l’artista Giuseppe Zigaina (1924-2015) intervistato nella rubrica Rai di approfondimento giornalistico “Un fatto un personaggio” (1988), presentava la sua teoria sulla morte del carissimo amico e conterraneo Pier Paolo Pasolini. Nel 1987, un anno prima, era uscito il primo di una serie di libri che Zigaina dedicava proprio a quest’argomento: “Pasolini e la morte. Mito, alchimia e semantica del “nulla lucente”.La morte di Pasolini non è una morte qualsiasi, cioè non è né una morte naturale, ne è frutto di un complotto politico. La morte di Pasolini è una morte rituale, mitica, dunque programmata, voluta e che è il momento culminante di una strategia espressiva”
Giuseppe Zigaina, 1988
Zigaina lo conosceva profondamente fin dal 1946: lo aveva incontrato la prima volta a una mostra e aveva assistito all’attività di un Pasolini “artista”, scambiando in merito reciproche opinioni (Zigaina racconta Pasolini pittore). Aveva anche visto nascere Pasolini poeta cogliendo nei versi dell’amico il sentimento tragico di un uomo che si sentiva “diverso” e isolato (Zigaina e la poesia di Pasolini). A seguito di un’accusa grave e infondata, lo aveva salutato durante la sua partenza dal Friuli verso Roma (1949: Zigaina saluta l’amico Pasolini), seguendone poi, negli anni, l’attività di regista e intellettuale scomodo.Pasolini muore ad Ostia nel Giorno dei Morti: il 2 novembre del 1975. L’intellettuale scompare con crudeltà e violenza, lasciando margine a tante ipotesi
Subito dopo la morte di Pasolini, Zigaina inizia a cercare tracce nell’opera dell’amico per avvallare una sua un’idea e per dimostrare che la dipartita di Pasolini è stata quasi “annunciata”. Esclusi i fatti realmente accaduti, Zigaina fa emergere dai suoi disegni, dalle poesie, dai romandi e dai saggi, nonché dalle diverse interviste e dalla scelta dei soggetti filmici, l’origine di una volontà esistenziale di Pasolini, quella di progettare la sua morte come un rito, ossia, come la massima “strategia espressiva” di una realtà creativa vissuta all’insegna del mito (Zigaina: il "mito" in Pasolini).
Pier Paolo Pasolini, Il mondo non mi vuole più e non lo sa, disegno su carta
Qualche mese dopo la scomparsa di Pasolini, Zigaina proponeva la prima esposizione di disegni dell’amico, un’attività creativa dell’intellettuale pressoché all’epoca sconosciuta e nota solo a pochi intimi. La mostra fu allestita nel 1978, a cura di Zigaina (Pier Paolo Pasolini. I disegni 1941/1975, a cura di Giuseppe Zigaina, Vanni Scheiwiller, Milano, 1978).
Pasolini aveva sempre disegnato, fogli ricchi di schizzi e idee in parte realizzati proprio a casa di Zigaina che li conservava non solo per affetto, ma anche per l’originalità espressiva. Tra questi, Zigaina rintraccia un disegno particolare, contenuto in una cartella di Pasolini del 1962, realizzato su una carta gelatinosa con matita grassa e nello stile astratto, cosa abbastanza inedita.
Da qui, la ricerca di Zigaina prende avvio per dimostrare che la morte di Pasolini ha un significato esoterico; l’artista friulano legge nel ritmo di questi segni che evocano labbra stilizzate, il passaggio dal caos al cosmo, come nelle leggi della cosmogonia antica.Nel margine inferiore del disegno, appare una scritta del poeta, una meditazione su sé stesso: “il mondo non mi vuole più e non lo sa”
Zigaina rilegge tutto Pasolini: dal 1958 in poi, il poeta e romanziere iniziava a delineare la funzione “rituale e mitica” della sua morte e la raccolta “Poesia in forma di rosa”, è colma di indizi. Anche nei versi di “Orgia”, la cui prima rappresentazione teatrale del 1968 con la regia di Pasolini, alla fine, dice: “finalmente è arrivato qualcuno che ha fatto buon uso della morte”.
L’idea, dice Zigaina, parte dall’opera di Mircea Eliade, storico delle religioni, antropologo, scrittore, filosofo, mitografo e saggista romeno, che spiega in modo molto chiaro come nella tradizione della storia delle religioni, la morte è vista come “come una battaglia vinta o persa”, affermazione che lo stesso Pasolini riporta nei suoi scritti.
Zigaina aveva espresso per la prima volta questa sua teoria nel 1983, all’Università di Barclay durante una conferenza dal titolo: “La contaminazione totale in Pier Paolo Pasolini”. “Contaminazione totale” perché secondo Pasolini, l’uomo si esprime soprattutto con l’azione, che è la sua vita. Dunque, opera e vita in Pasolini coincidono. L’intervento di Zigaina non fu capito. L’artista concludeva la conferenza con una frase famosa di Pasolini riportata in un saggio di “Empirismo eretico”:La sua morte, dunque, fu un modo per “interpretare, dilatare, esaltare semanticamente la sua opera”, afferma Zigaina
Nel programma poi, l’attore Piero Padovan legge alcuni versi di Pasolini, tra cui “Comunicato all’Ansa. Scelta stilistica”, pubblicato in “Poesia in forma di rosa” (1964):“Dovrò rendere conto, nella valle di Giosafat, della debolezza della mia coscienza davanti alle attrazioni, che si identificano, della tecnica e del mito?”
Pier Paolo Pasolini
Zigaina spiega che Pasolini adotta un sistema collaudato per essere più libero. La “libertà” per Pasolini è stata la libertà di scegliere come morire, un segno linguistico di “massima trasgressione”.Smetto di essere poeta originale, che costa mancanza / di libertà: un sistema stilistico è troppo esclusivo. / Adotto schemi letterari collaudati, per essere più libero. / Naturalmente per ragioni pratiche”
Pier Paolo Pasolini
Piero Padovan legge poi alcuni versi tratti dalla poesia “Una disperata vitalità” dove, secondo Zigaina, Pasolini ha profetizzato in chiave mitica il luogo della morte: Ostia.
Un verso della poesia, scritta in lapidario, appare mancante di tre parole: “come colui che”, un verso dantesco che rimane sospeso. Zigaina spiega che il verso, così composto, rimanda al mito finnico della discesa all’inferi dell’eroe Väinämöinen, uno dei protagonisti dell’epopea del Kalevala che, per liberarsi ha bisogno proprio di queste tre parole.
Ma non è tutto. Il poeta ha predetto anche la modalità con cui essere ucciso, ossia a bastonate come nel libro “La Divina mimesis” (1975), un'opera incompiuta consegnata da Pasolini ad Einaudi poco prima di morire e publicata postuma. Qui, Pasolini riscriveva l’Inferno di Dante in chiave moderna per “punire i peccatori” della sua epoca, conformisti, piccoli benpensanti e volgari borghesi. Aveva iniziato questo libro nel 1963 e tornò a lavorarci saltuariamente per il resto della sua vita; appunti e pagine manoscritte furono ritrovate anche nella macchina nel luogo dell'omicidio e nelle stesse tasche del cadavere di Pasolini. Qui scriveva:
Per Zigaina, questa è una sentenza, una chiara profezia di “discesa agli inferi” per compiere un’operazione mitica e rituale come la morte del santo.Egli è morto, ucciso a colpi di bastone …
Pier Paolo Pasolini, 1975
La teoria di Giuseppe Zigaina intorno alla morte di Pier Paolo Pasolini è stata esposta in saggi, conferenze, interviste e otto libri dell’artista tradotti in più lingue: “Pasolini e la morte. Mito, alchimia e semantica del “nulla lucente” (Marsilio, Venezia 1987); “Pasolini tra enigma e profezia” (Marsilio, Venezia 1989); “Pasolini e l’abiura” (Marsilio, Venezia 1994); “Hostia. Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini” (Marsilio, Venezia 1995); “Pasolini. Un’idea di stile: uno stilo (!)” (Marsilio, Venezia 1999); “Temi e treni di Pier Paolo Pasolini. Un giallo puramente intellettuale” (Edizioni La Scaletta, San Polo d’Enza 2000); “Pasolini e il suo Nuovo Teatro ‘senza anteprime né prime né repliche” (Marsilio, Venezia 2004); “Pasolini e la morte. Un giallo puramente intellettuale” (Marsilio, Venezia 2005).
FOTO DI COPERTINA
Pier Paolo Pasolini, Il mondo non mi vuole più e non lo sa, disegno su carta