L'Enigma di Omero di Bartolomeo Passerotti

Un ritrovamento degli Uffizi di Firenze

Le Gallerie degli Uffizi hanno ritrovato e acquistato un dipinto del Cinquecento, da secoli ritenuto perduto

Il museo degli Uffizi di Firenze, ha riportato in vita l’Enigma di Omero, tela del maestro bolognese Bartolomeo Passerotti (1529-1592), da molto tempo scomparsa dai radar degli studiosi e degli storici dell’arte. Il quadro, noto esclusivamente attraverso le descrizioni di alcune fonti storiche, disegni preparatori e d’après, andrà ad arricchire le nuove sale del museo dedicate alla pittura del Cinquecento. 
A testimoniare l'esistenza del dipinto, era stato il primo biografo del Passerotti, Raffaello Borghini che, nella sua opera Il Riposo (1584), riporta questa scrupolosa descrizione: 

Un quadro grande in tela di colorito gagliardo a olio, dove sono in una barca i marinari che propongono l’enigma a Omero, che è sul lito; e da altra parte è una zingana e nel viso d’Omero ha il Passerotto ritratto se stesso e vi si veggono naturalissime l’acque del mare et alcune conche marine et un cane che par vivo
Raffaello Borghini, 1584


Secondo la testimonianza di Borghini, il quadro si trovava nel palazzo del letterato fiorentino Giovanni Battista Deti (1539-1607), collezionista e dilettante d’arte, nonché membro fondatore dell’Accademia della Crusca col soprannome di Sollo e autore, fra gli altri, del primo Vocabolario della Crusca
Nel 1677, l'erudito Giovanni Cinelli ricorda il dipinto nel palazzo di famiglia del senatore fiorentino Carlo Torrigiani (1616-1684) in via Porta Rossa, senza tuttavia riconoscervi la descrizione del Borghini e addirittura confondendo il soggetto rappresentato. 
Da allora, dell’Enigma di Omero si erano smarrite le tracce e negli studi moderni sul Passerotti, l’opera era segnalata come perduta, fino ad oggi, quando il quadro è stato rintracciato proprio presso la famiglia dei discendenti di Carlo Torrigiani. 

Il ritrovamento di questo dipinto è di tale importanza che, nell’occasione della sua acquisizione da parte delle Gallerie, ad esso è stato appositamente dedicato un libro (…) Se l’acquisto di un’opera ricordata nelle più antiche guide di Firenze è di per sé un intervento teso a proteggere il nostro patrimonio dalla dispersione, il volume è un’ulteriore prova dell’intensa attività di ricerca promossa dal museo 
Eike Schmidt, Direttore Gallerie degli Uffizi

La scelta del tema rientra nella fortuna del mito omerico nella seconda metà del Cinquecento, testimoniata da grandi cicli di affreschi come quello di Giorgio Vasari e Giovanni Stradano in Palazzo Vecchio a Firenze, o ancora di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. 


Pellegrino Tibaldi, Sala di Polifemo, la volta con episodi dell'Odissea,  1550-1551, Palazzo Poggi, Bologna

L’episodio dell’Enigma di Omero è un'iconografia piuttosto rara, rispetto alle scene tratte dall’Iliade e dall’Odissea; essa è riportata nelle edizioni in greco della Vita Homeri dello Pseudo-Plutarco, più volte stampate nel corso del Cinquecento. 
Qui, si narra che Omero, mentre si trovava sull’isola di Ios, sedendo su una roccia in riva al mare, vide arrivare una nave di pescatori cui chiese se avessero fatto buona pesca. Gli uomini, che non avevano pescato nulla ed erano intenti a spidocchiarsi, risposero con questo enigma: 

Quel che abbiamo preso, lo abbiamo lasciato, quel che non abbiamo preso, lo abbiamo tenuto

La risposta all’indovinello era riferita ai pidocchi: da una parte, quelli che erano riusciti ad eliminare e gettare in mare, dall’altra, quelli che non erano riusciti a togliere e portavano ancora addosso. 
Secondo il racconto dello Pseudo-Plutarco, Omero si arrovellò a tal punto sull’indovinello, senza venirne a capo, che ne morì.



Il pittore, il poeta e i pidocchi. Bartolomeo Passerotti e l’”Omero” di Giovan Battista Deti
a cura di Marzia Faietti, con scritti di Eike Schmidt, Roberto Bellucci, Federico Condello, Marzia Faietti, Vera Fortunati, Donatella Fratini, Angela Ghirardi
Livorno, Sillabe, 2020

Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529-1592) si formò tra Bologna e Roma, dapprima al seguito di Iacopo Barozzi detto il Vignola, poi con il coetaneo Taddeo Zuccari. 
Nell’Urbe approfondì il disegno dall’antico e si perfezionò nelle incisioni ad acquaforte.
Rientrato stabilmente a Bologna prima del 1560, si dedicò all’esecuzione di grandi pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e soprattutto, delle opere modenesi del Correggio.
Particolarmente celebre fu la sua attività di ritrattista, che gli valse numerose commissioni da parte di personaggi celebri e influenti. Gli interessi naturalistici del Passerotti e lo studio assiduo dal vero, stimolato dall’amicizia col celebre botanico e entomologo Ulisse Aldrovandi, fecero dell’artista una figura fondamentale per la formazione dei Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.


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Gallerie degli Uffizi, Firenze