Il truccatore
Luigi Rocchetti e Alberto Blasi
Il mestiere del make-up artist nasce ufficialmente quando Thomas Ince, uno dei pionieri del cinema statunitense, negli anni '20 del Novecento, portò sul set George Westmore e gli chiese di truccare i suoi attori. E ad oggi, i discendenti di George, sono l'unica grande dinastia di truccatori che Hollywood abbia mai conosciuto. Figli e nipoti del capostipite hanno lavorato sui visi e sui corpi di generazoni di attori, dai divi del muto fino al 1968, anno in cui la House of Westmore chiuse i battenti.
Ma cosa significa fare il truccatore per il cinema? Saper nascondere le imperfezioni e, al contempo, saper valorizzare tutte le potenzialità espressive di un viso, sottolineandone il fascino. Queste le basi. Poi arrivano creatività e cura del dettaglio e, come spiegano in questa intervista due professionisti del make-up cinematografico, Luigi Rocchetti e Alberto Blasi, tanta pratica sul campo. Solo quando si è certi di conoscere l'ABC del mestiere, si può pensare al salto di qualità: cimentarsi con gli stili e i gusti delle diverse epoche storiche o lanciarsi nel mondo degli effetti speciali.
Luigi Rocchetti, come i discendenti dei Westmore, ha sposato l'arte dei suoi progenitori, a partire da Giuseppe (1874), proseguendo una tradizione che da 150 anni è al servizio del cinema. Il fratello Manlio, Oscar al miglior trucco nel 1990 per il film A spasso con Daisy, è mancato a Miami nel 2017 lasciando il mondo del cinema orfano di un grande professionista. In questa intervista Luigi spiega che il trucco cinematografico si divide in varie categorie: classico, estetico e storico. Poi c'è quello più complesso, detto "prostetico", che utilizza protesi scolpite, calchi o stampi per creare effetti estetici "avanzati". Viene utilizzato quando un attore deve assumere i caratteri somatici del personaggio che deve interpretare. Per fare un esempio recente, Pierfrancesco Favino nel film di Marco Bellocchio Il traditore dove, grazie al trucco prostetico, il truccatore Andrea Leanza è riuscito a farlo assomigliare come una goccia d'acqua al pentito Tommaso Buscetta.
Il consiglio per i giovani che vogliono intraprendere la carriera di truccatore cinematografico è lapidario: frequentate una scuola specializzata.
Ma cosa significa fare il truccatore per il cinema? Saper nascondere le imperfezioni e, al contempo, saper valorizzare tutte le potenzialità espressive di un viso, sottolineandone il fascino. Queste le basi. Poi arrivano creatività e cura del dettaglio e, come spiegano in questa intervista due professionisti del make-up cinematografico, Luigi Rocchetti e Alberto Blasi, tanta pratica sul campo. Solo quando si è certi di conoscere l'ABC del mestiere, si può pensare al salto di qualità: cimentarsi con gli stili e i gusti delle diverse epoche storiche o lanciarsi nel mondo degli effetti speciali.
Luigi Rocchetti, come i discendenti dei Westmore, ha sposato l'arte dei suoi progenitori, a partire da Giuseppe (1874), proseguendo una tradizione che da 150 anni è al servizio del cinema. Il fratello Manlio, Oscar al miglior trucco nel 1990 per il film A spasso con Daisy, è mancato a Miami nel 2017 lasciando il mondo del cinema orfano di un grande professionista. In questa intervista Luigi spiega che il trucco cinematografico si divide in varie categorie: classico, estetico e storico. Poi c'è quello più complesso, detto "prostetico", che utilizza protesi scolpite, calchi o stampi per creare effetti estetici "avanzati". Viene utilizzato quando un attore deve assumere i caratteri somatici del personaggio che deve interpretare. Per fare un esempio recente, Pierfrancesco Favino nel film di Marco Bellocchio Il traditore dove, grazie al trucco prostetico, il truccatore Andrea Leanza è riuscito a farlo assomigliare come una goccia d'acqua al pentito Tommaso Buscetta.
Il consiglio per i giovani che vogliono intraprendere la carriera di truccatore cinematografico è lapidario: frequentate una scuola specializzata.