Valerio Meattini. Le vele e la rosa
In cammino con Dante
Dunque appresso la propria perfezione, la quale
s’acquista ne la gioventute, conviene venire a quella
che alluma non pur sé ma li altri; e conviensi aprire
l’uomo quasi come una rosa che più chiusa stare
non puote, e l’odore che dentro generato
è spandere.
Dante, Convivio
Dante è una misura per noi. Ci misura per contrasto. Tra i credi più diffusi e ossequiati del nostro tempo primeggia la ricerca per la ricerca, il nomadismo virtuoso, lo sconfinamento sempre positivo. Dante, uomo dalla veemente passione politica e civile, che senza senza limiti odiò e senza limiti amò, cercò invece, “in terza etade”, la fine del viaggio nel più pieno compimento umano. Lui, l’uomo delle peregrinazioni e dell’esilio (quante suole di cuoio ha consumato Dante?), si fa il profeta che illumina il cammino verso le cose ultime attraverso le cose presenti. Dante è profeta perché interpreta la vita secondo una chiamata e un disegno ed è pellegrino perché la meta è lontana e più di una volta un lume nella notte lascia sperare il raggiungimento, ma non si tratta della “cittade” che ben oltre ci attende. E spesso “il cammino si perde per errore come le strade de la terra”. Occorrono costanza e perseveranza, le virtù del pellegrino e del cercatore.
Se io non fosse per cotal cammino passato,
questo tesoro non avre’io, e non avrei di ch’io godesse
ne la mia cittade, a la quale io m’appresso.
Dante, Convivio
Il paragone tutto terreno e mercantile non inganni. Dante ha cercato il bene che non si può comprare, il congedo dalle mondane cure e la libertà della mente e del cuore, tuttavia il paragone rende bene come si debba far tesoro dei contrasti e delle difficoltà che la vita c’impone per guadagnarsi la dimora nella liberà, il “salir di carne a spirito”.
Né dolcezza di figlio, né pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer poter dentro a me l’ardore
ch’i ebbi a divenir del mondo esperto
e delli vizi umani e del valore.
Dante, Inferno, XXVI
Ulisse. Dante è pieno di non vinta, né per lui vincibile ammirazione, per Ulisse, ma conosce le stagioni e le scansioni della vita umana che invece l’eroe greco palesemente ignora. “Seguir virtute e canoscenza” è anche il programma di vita di Dante, ma in un ordo amoris, cui egli ci richiama nel suo grande poema, che risponde ad una chiamata e ad uno svelamento di senso del nostro essere al mondo. Certamente, su Ulisse pesa il triplice inganno, egli è scelerum inventor, ma per Dante la condanna va infine oltre la morale e la teologia, riguarda espressamente la visione che ha della vita, della conoscenza e dell’amore, visione che lo separa dalla figura (Dante forgia figure concrete non simboli) che egli si fa e ci dà di Ulisse. Corrusca e densa di pathos è l’“orazion picciola” che il poeta gli fa pronunciare, ma in essa c’è anche tutta la dismisura che per ragion poetica, potremmo dire, lo porta al naufragio fisico e morale. Non era più il tempo di prolungare il viaggio, ma del ritorno in porto per non disperdere il sapere acquisito, perché “non più sapere che sapere si convegna, ma sapere a misura” è quel che l’uomo deve chiamare sapere. L’oltre è rischio di vana e pericolosa curiositas. Non si è prestata forse la dovuta attenzione alla ragion poetica della condanna di Ulisse da parte di Dante perché non si è connesso il grande canto dell’Inferno con un illuminante passo del Convivio: “O miseri e vili che con le vele alte correte a questo porto, e là dove dovreste riposare, per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi là dove tanto camminato avete! Certo lo cavaliere Lancellotto non volse entrare con le vele alte, né lo nobilissimo Guido montefeltrano. Bene questi nobili calaro le vele de le mondane operazioni, che ne la loro lunga etade a religione si rendero, ogni mondano diletto e opera disponendo”. Vita e poesia per Dante sono una sola cosa, perché la poesia del più profondo e vitale è conoscenza (non cognitio minor come per molti suoi contemporanei). Quanto scompagina e dissolve il grande tesoro della vita che si compie viene condannato come “folle volo” da quella stessa poesia che con accenti commossi lo celebra; mentre ce lo stampa davanti agli occhi con scultorea potenza, lo riprova. Non sempre è il tempo “per l’alto mare aperto”, c’è pure un porto che attende.
Tu m’hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutt’i modi
Che di ciò fare avei la potestate.
Dante, Paradiso, XXXI
Qual è il porto, dov’è la dimora, quando le vele vanno ammainate? Chiara e solenne è la risposta di Dante: dove e quando la vita è redenta, le colpe espiate, i mondani legami congedati, l’anima restituita al suo più alto grado, capace d’esser luce “non pur a sé ma [ag]li altri”. Quando, dunque, s’è fatta rosa aulente e sparge intorno il profumo della vita adempiuta, quando gli occhi su levati vedono e incontrano lo sguardo dell’amor che libera. “La personalità più formidabile” tra tutti i letterati che si conoscono (Così Harold Bloom di Dante), l’uomo che “da legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade”, poté annunciare di aver alzato le vele “per correr miglior acque” e trionfalmente ne celebrò la trasformazione in “legno che cantando varca” acqua che prima di lui “giammai non si corse” (e qui dall’Ulisse che sfida l’ignoto di certo lontano non si sente), si è fatto davvero libero quando la fedeltà allo sguardo d’amore gli ha permesso di decifrare i segnali della vita, di sollevare lo sguardo di là dalle cose mondane.
Valerio Meattini si è laureato a Pisa nel 1974 in Storia e Filosofia con una tesi sul pensiero di Piero Martinetti che è poi stata pubblicata. Laureatosi con Francesco Barone e Giorgio Colli è stato assistente di entrambi ed ha insegnato in istituti di istruzione secondaria fino al 1980, anno in cui ha vinto una borsa di studio all’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli dove ha seguito corsi con Giovanni Pugliese Carratelli e Gennaro Sasso. In seguito ha ottenuto una borsa di studio alla Fondazione Einaudi di Torino assegnatagli da Norberto Bobbio e Luigi Firpo. Ha frequentato l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici con diverse borse di studio ed è stato borsista ad Heidelberg per ricerche sull’ermeneutica filosofica, su invito di Hans Georg Gadamer. Ha insegnato all’Università degli Studi di Bari, come associato e poi come ordinario, Filosofia teoretica e Filosofia della mente per trentatré anni. È socio ordinario non residente dell’Accademia delle scienze Morali e Politiche di Napoli.
Ha dato contributi agli studi platonici, alla conoscenza del pensiero di Piero Martinetti (Ragione teoretica e ragione pratica. Martinetti interprete di Kant, 1988) e Giuseppe Rensi e di Giorgio Colli, ha affrontato a più riprese questioni che si connettono al pensiero di Leopardi e di Dante. Ha pubblicato ricerche teoretiche su riviste e in volumi come Il luogo del capire (1996) che è stato tradotto in tedesco (2007) ed Etica e Conoscenza (200-2003) che ha avuto tre edizioni integrate e aumentate di volta in volta. Altri suoi libri: Anamnesi e conoscenza in Platone (1981 e in edizione aumentata 2017), L’orizzonte etico e politico di Platone (1984) testano ipotesi originali sulla teoria della reminiscenza e sulla concezione etico-politica di Platone; Benedetto Croce e la mentalità massonica (2011), Massoneria e storicismo (2021) sono i primi due studi nella letteratura crociana e massonica.
Ha pubblicato racconti su riviste di montagna e ha collaborato ad un libro sulle Alpi Apuane. È stato consigliere artistico del Comune di Pietrasanta (2005-2007) e ivi ha condotto per due anni il colloquio estivo “Capir d’arte” con pittori e scultori nel chiostro della chiesa di Sant’Agostino. Introdotto e composto cataloghi di pittori e scultori. Alla Versiliana di Pietrasanta ha partecipato e diretto, in quegli anni, incontri letterari e teatrali dove ha rappresentato L’angelo nell’angolo. Altre sue composizioni teatrali sono di Il Sileno, rappresentato nel 2000 al teatro di Buti, e Tutto per Bene, messo in scena da una compagnia teatrale di Bari. Ha pubblicato libri di racconti Sospensioni. Cinque racconti circolari e due congetture (2012), Il cercatore. Imprevisti accordi (2023); raccolte di Poesie, Sub Rosa (2010), Non hanno resto i giorni (2013), In più larghi cieli (2023) e con Edda Bresciani tre raccolte di haiku.
Ha collaborato con le riviste “Filosofia”, “Critica storica”, “Nuova Civiltà delle Macchine”, “LEM”, “La Vallisa”, “Rivista internazionale di filosofia e psicologia”, dirige i “Quaderni colliani”. Suoi articoli sono apparsi su “Il sole 24Ore”, “Il Messaggero”, “Il Tirreno”.
Partecipa attivamente da anni come conferenziere alle iniziative di “Il circolo degli inquieti” di Savona, alla “Festa della Scienza e della Filosofia di Foligno”, a “Mythoslogos” (Lerici-Sarzana”) e ai seminari colliani che dal 2018 si organizzano annualmente.