Cesare Pavese: ho condiviso le pene di molti

"Perdono tutti e a tutti chiedo perdono"

Partendo da alcune parole scritte dal poeta e scrittore Cesare Pavese nel suo diario pochi giorni prima del suicidio, avvenuto a quarantadue anni in un albergo torinese, si leggono e commentano alcuni passi de La luna e i falò, da molti considerato il suo romanzo più bello. Scritto di getto, può considerarsi un’opera finale, definitiva, in cui Pavese riassume e mette a frutto le sue esperienze esistenziali e letterarie. È soprattutto da alcuni passi de La casa in collina che emerge lo straordinario sforzo dell’autore nel recupero del passato. Si parla poi del Pavese traduttore e divulgatore della letteratura anglosassone, attività, questa, che assume il valore di un’appassionata polemica contro la repressione del regime fascista. Nel 1950 lo scrittore riceve il premio Strega per il romanzo La bella estate, ma il riconoscimento della critica non riesce a farlo uscire dalla depressione e dalla solitudine che lo porteranno, di lì a poco, a togliersi la vita. Il filmato si chiude con un’inedita intervista a Pier Paolo Pasolini, realizzata dal regista Franco Contini nel 1972, durante la realizzazione di un film-documentario su Pavese. Il giudizio di Pasolini su Pavese è molto impietoso: lo definisce uno scrittore medio, a tratti persino mediocre anche se nota che non è mai venuto meno alla sua morale letteraria.   

C'è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch'io possa dire «Ecco cos'ero prima di nascere». Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.

Cesare Pavese, La luna è i falò (incipit)


Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950), è stato poeta, scrittore, saggista, traduttore e critico letterario, fu senz'altro uno dei più importanti autori e intellettuali della storia della letteratura italiana. Pavese era nato il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe in provincia di Cuneo. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino ma le colline del suo paese rimarranno per sempre impresse nella sua anima, assieme al ricordo del padre, che muore molto presto. Negli anni del liceo Pavese è assai riluttante ad impegnarsi attivamente nella lotta politica, verso la quale non nutre grande interesse, anche perché tende a fondere sempre il motivo politico con quello più propriamente letterario. A ventidue anni si laurea con una tesi su Walt Whitman e comincia a lavorare alla rivista La cultura, mentre si intensifica la sua attività di traduttore. La morte della madre avvenuta nel 1931 lo scuote e lo segna profondamente. Nel 1933 Pavese partecipa alla nascita della casa editrice Einaudi, grazie all’amicizia che lo lega a Giulio. Nel 1935 la relazione con una donna impegnata nella lotta al fascismo – “la donna dalla voce rauca”, come chiamava l’amore entrato nella sua vita dagli ultimi anni degli studi universitari – gli costerà l’accusa di sospetto antifascismo e la condanna al confino. Al suo rientro, nel 1936, la donna ha già sposato un altro. La delusione lo sprofonda in una crisi tale da indurlo a meditare il suicidio. Finita la guerra, Pavese si iscrive al partito comunista, ma il suo impegno è prevalentemente letterario: scrive articoli di ispirazione etico-civile, riprende il lavoro per la Einaudi, elabora quella teologia del mito che prenderà corpo nei Dialoghi con Leucò. Intanto, a Roma, conosce l’attrice Constance Bowling, che rinnoverà in lui prima il sentimento dell’amore, poi il dolore dell’abbandono. Pavese scrive Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Alla delusione d’amore, alle crisi politiche e religiose che riprendono a sconvolgerlo, alla nuova ondata di solitudine e di senso di vuoto non riesce più a reagire. Logorato, stanco, ma in fondo perfettamente lucido, si toglie la vita in una camera dell’albergo Roma di Torino ingoiando una forte dose di barbiturici. Solo un’annotazione, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, sul comodino della stanza: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.