Cesare Pavese: interessi politici e letterari
Il mestiere di vivere secondo Stefano Jacomuzzi
Il filmato presenta lo scrittore Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, Cuneo 1908 – Torino 1950) attraverso la lettura di alcune pagine dei suoi scritti, commentate e arricchite da autorevoli testimoni. Dalla lettura delle ultime righe de Il mestiere di vivere, un diario che ha registrato la progressione della ricerca umana e letteraria di Pavese, ed è tra i suoi testi più letti, Stefano Jacomuzzi, ordinario di letteratura italiana all’Università di Torino, introduce la figura dello scrittore partendo dal tragico epilogo della sua vita, epilogo che egli associa alla scelta di non scrivere più. Passando a considerare altre pagine di Pavese, l’attenzione si sposta sul tema della campagna, delle Langhe piemontesi, vissuto come mito innocente e selvaggio di un mondo dell’infanzia ancora incontaminato, destinato a fare da scenario alla perenne lotta dell’uomo con la vita e la realtà che lo circonda.Si sottolinea inoltre il contributo specifico che, assieme a Vittorini, lo scrittore diede alla scoperta della cultura americana come mitico mondo della libertà da opporre alla chiusura repressiva della cultura fascista.
Sono quarant'anni che Pavese scriveva le ultime righe, l'ultima riga del diario che tutti conosciamo che si intitola "Il mestiere di vivere" con quelle parole tragiche: "Non più parole, un gesto, non scriverò più". Tra due espressioni che si rifanno allo scrivere, il richiamo a un gesto, cioè a un atto che avrebbe dovuto essere un atto vitale, e invece tutti sappiamo che fu un atto tragico - Stefano Jacomuzzi
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950), è stato poeta, scrittore, saggista, traduttore e critico letterario, fu senz'altro uno dei più importanti autori e intellettuali della storia della letteratura italiana. Pavese era nato il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe in provincia di Cuneo. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino ma le colline del suo paese rimarranno per sempre impresse nella sua anima, assieme al ricordo del padre, che muore molto presto. Negli anni del liceo Pavese è assai riluttante ad impegnarsi attivamente nella lotta politica, verso la quale non nutre grande interesse, anche perché tende a fondere sempre il motivo politico con quello più propriamente letterario. A ventidue anni si laurea con una tesi su Walt Whitman e comincia a lavorare alla rivista La cultura, mentre si intensifica la sua attività di traduttore. La morte della madre avvenuta nel 1931 lo scuote e lo segna profondamente. Nel 1933 Pavese partecipa alla nascita della casa editrice Einaudi, grazie all’amicizia che lo lega a Giulio. Nel 1935 la relazione con una donna impegnata nella lotta al fascismo – “la donna dalla voce rauca”, come chiamava l’amore entrato nella sua vita dagli ultimi anni degli studi universitari – gli costerà l’accusa di sospetto antifascismo e la condanna al confino. Al suo rientro, nel 1936, la donna ha già sposato un altro. La delusione lo sprofonda in una crisi tale da indurlo a meditare il suicidio. Finita la guerra, Pavese si iscrive al partito comunista, ma il suo impegno è prevalentemente letterario: scrive articoli di ispirazione etico-civile, riprende il lavoro per la Einaudi, elabora quella teologia del mito che prenderà corpo nei Dialoghi con Leucò. Intanto, a Roma, conosce l’attrice Constance Bowling, che rinnoverà in lui prima il sentimento dell’amore, poi il dolore dell’abbandono. Pavese scrive Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Alla delusione d’amore, alle crisi politiche e religiose che riprendono a sconvolgerlo, alla nuova ondata di solitudine e di senso di vuoto non riesce più a reagire. Logorato, stanco, ma in fondo perfettamente lucido, si toglie la vita in una camera dell’albergo Roma di Torino ingoiando una forte dose di barbiturici. Solo un’annotazione, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, sul comodino della stanza: “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.