Giorgio Caproni: Genova, la mia città dell'anima

Autoritratto con poesie

Giorgio Caproni parla dei luoghi che hanno lasciato un segno nel suo animo e nei suoi versi. Livorno, dove è nato, è una “città malata di spazi”, ovvero troppo grande per il poeta che vi visse bambino e che oggi conserva vivido il ricordo della vasta Piazza Carlo Alberto, dei larghi canali, o “fossi”, e dei bronzei e monumentali “quattro mori” che lo colmavano d’angoscia. Di Genova, città in cui si trasferì nel 1922, il poeta parla come della sua vera città perché là cominciò a vivere da uomo e a comporre poesie. Genova e la retrostante Val Trebbia sono per Caproni i “luoghi dell’anima”, che lo richiamano sempre a sé e che si ritrovano nei versi delle raccolte Il passaggio d’Enea (1956), e Il congedo del viaggiatore cerimonioso (1965). Giorgio Caproni e l’attore Giorgio Albertazzi leggono alcune poesie, tra cui Battendo a macchina, tratta da Il seme del piangere (1959), raccolta dedicata alla madre del poeta e legata al ricordo di Livorno nel periodo della guerra. Caproni e Albertazzi discorrono con una scolaresca, radunata per l’occasione su un prato, dell’origine e del significato dei versi letti. Battendo a Macchina:

Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendoti sulla tastiera,
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d’una
che fu viva e fu vera.
Tu sai che la mia preghiera
è schietta, e che l’errore
è pronto a stornare il cuore.
Sii arguta e attenta: pia.
Sii magra e sii poesia
se vuoi essere vita.
E se non vuoi tradita
la sua semplice gloria,
sii fine e popolare
come fu lei – sii ardita
e trepida, tutta storia
gentile, senza ambizione.
Allora, sul Voltone,
ventilata in un maggio
di barche, se paziente
chissà che, con la gente,
non prenda aìre e coraggio
anche tu, al suo passaggio.

 

Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912. Dal 1922 vive a Genova, sua città adottiva. Lavora come violinista, commesso, impiegato, maestro elementare. Durante la Seconda Guerra Mondiale partecipa alla Resistenza in Val Trebbia; dal '45 alla morte trascorre la sua vita a Roma, dove collabora con diverse riviste. Caproni considera la scrittura espressione insieme aristocratica e popolare, unione di parole e musica. Il poeta, perenne viandante, contempla la vita degli altri e fa dell'ironia su se stesso.