Perché si scrive secondo Antonio Tabucchi

Le tante motivazioni di uno scrittore

Perché si scrive? Risponde lo scrittore pisano Antonio Tabucchi. 

È una domanda inevitabile per gli scrittori, che ritorna sempre. Si scrive perché si ha paura della morte, o perché si ha paura della vita, Si scrive perché si ha nostalgia dell'infanzia, perché il tempo è passato troppo alla svelta. Si scrive per rimpianto o per rimorso, si scrive perché si è qui ma vorremmo essere là, o si scrive  o perché si è andati là ed era meglio se si restava qui.

Baudelaire diceva che la vita è un ospedale in cui oguno vorrebbe cambiare di letto. Con questa citazione si chiude la puntata di Scrittori per un anno dedicata a Antonio Tabucchi.

Antonio Tabucchi nasce a Pisa il 24 settembre 1943. Si laurea nel 1969 con una tesi sul Surrealismo in Portogallo, si perfeziona alla Scuola Normale Superiore di Pisa negli anni Settanta e nel 1973 viene chiamato ad insegnare lingua e letteratura portoghese a Bologna. Il suo primo romanzo è Piazza d'Italia (1975). Pubblica i racconti: Il gioco del rovescio, 1981; Piccoli equivoci senza importanza, 1985; L'angelo nero, 1991 e i romanzi: Notturno indiano, 1984; Il filo dell'orizzonte, 1986; Requiem, scritto in portoghese, 1991, tradotto in italiano nel 1992; Sostiene Pereira, 1994; La testa perduta di Damasceno Monteiro, 1997. Per il teatro scrive I dialoghi mancati (1988). Cura un'antologia dell'opera di Fernando Pessoa (Una sola moltitudine, due volumi, 1979-84), autore al quale dedica gran parte della propria attività di studioso. Muore a Lisbona il 22 marzo 2012. Nel 2018 la sua opera omnia è stata raccolta in due volumi.