Samanta Schweblin, Kentuki

Parlare con un giocattolo, guardare attraverso un giocattolo

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        Un mondo invaso da pupazzi con telecamera, la gente divisa tra chi compra il giocattolo per avere compagnia e chi compra la possibilità di spiare attraverso questo: Kentuki di Samanta Schweblin (Sur, traduzione di Maria Nicola) racconta una realtà distopica non troppo lontana da quella in cui viviamo. Eva vive a Erfurt, ed Emilia che sta in Perù si riempie le giornate girandole intono nelle vesti di una coniglietta; Marvin è un ragazzino di Antigua che, finito nelle vesti di drago in un negozio norvegese, si avventura per le strade grazie a una padrona compiacente e ai soldi che investe per potenziare il suo dispositivo; Enzo si dispera perché il kentuki del figlio non si mostra amichevole con lui; due ragazzi di Zagabria fiutano l’affare e fanno incetta di accessi vendendo la possibilità di scegliere le vite da spiare. Dietro dispositivi dall’aria innocua tutte le falle di una società minata dalla solitudine e dall’incapacità di comunicare faccia a faccia con gli altri.
        Abbiamo incontrato l'autrice di passaggio a Roma. Traduzione consecutiva di Giulia Zavagna. 

        Mister aveva assimilato perfettamente le sue funzioni di cogenitorialità, ed Enzo gliene era grato. Ricco o povero che fosse, nell’altra vita il kentuki era una persona che evidentemente aveva molto tempo libero. Che vita faceva Mister dall’altra parte? Sembrava che nulla lo allontanasse dall’esistenza che conduceva con loro. Era lì dalla mattina alla sera.

         
        Samanta Schweblin è nata a Buenos Aires nel 1978. Tra le sue opere: La pesante valigia di Benavides (Fazi, 2010) e Distanza di sicurezza (Rizzoli, 2017).Oltre a Kentuki, SUR pubblicherà due sue raccolte di racconti, Siete casas vacías, che le è valso il Premio Ribera del Duero nel 2015, e Pájaros en la boca, la cui traduzione in inglese è stata candidata al Man Booker International Prize.

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