Bertolt Brecht e la satira sugli intellettuali

Bertolt Brecht e la satira sugli intellettuali

"Il romanzo dei tui": contro i servilismi dell'ingegno

Bertolt Brecht e la satira sugli intellettuali
Il romanzo dei tui di Bertolt Brecht, pubblicato in Italia dalL'Orma editore, è un progetto decennale (l’autore ci lavorò dal 1931 al 1942), in prosa, che raccoglie un arcipelago di aneddoti, storielle, parabole, esercizi di pensiero umoristico e corrosivo. La parola “tui” nasce dalla storpiatura del termine “intellettuale” (dal tedesco “Tellekt-Uell-In”, e come scrive nell’introduzione Marco Federici Solari (traduttore e curatore del volume):

La definizione brechtiana di tui è quella di un «intellettuale dell’epoca delle merci e dei mercati, il noleggiatore dell’intelletto», ossia colui che vende opinioni e verità al miglior offerente.


Non è un caso infatti che il progetto fu concepito da Brecht in fuga dalla Germania nazista, con l’idea di costruire una satira della storia del Reich tedesco e dell’ascesa al potere di Hitler, ambientandola però in Cina (Cima, come viene chiamata nel libro). Il romanzo dei tui restituisce tutta la potenza satirica di un gigante della letteratura novecentesca contro gli intellettuali che non esitano a mettere il proprio ingegno, la propria intelligenza e la creatività al servizio del miglior offerente. Non risparmia nessuno Bertolt Brecht: alla berlina finiscono non solo gli intellettuali in senso lato ma tutti i grandi ideologi occidentali, da Hegel a Freud, e i leccapiedi di ogni epoca.

Proprio ai leccapiedi è dedicata una geniale ed esilarante sezione del libro, il capitolo XLIV intitolato "L'arte del leccapiedi", sconcertante per la sua attualità… Per gentile concessione dell’editore L’orma pubblichiamo alcuni stralci.

 
L’ARTE DEL LECCAPIEDI

In effetti quasi tutti sono in grado di eseguire in maniera non troppo penosa una leccata senza infamia e senza lode, basta dare libero corso alla propria predisposizione naturale. L’arte del leccapiedi è però un’altra cosa: richiede studio e allenamento. E molta disciplina. Solo con l’esercizio è possibile elevarsi dalle bassezze della leccata corriva, e soltanto quando la perseveranza lascia il posto alla fantasia si diviene veri maestri. Il complimento comune è merce dozzinale, cicaleggio meccanico senza senso né ragione, privo di ogni raffinatezza. Il lecchinaggio praticato come un’arte invece produce espressioni originali, peculiari, profondamente sentite: crea una forma. L’artista completo è duttile, poliedrico, sempre capace di sorprendere.

Davvero ingegnoso è anche travestire da biasimo un elogio. Si rimprovera un generale per l’ardimento che potrebbe strapparlo al suo esercito. All’inizio della Grande guerra i tui ringraziarono l’imperatore esprimendogli tutta la loro rispettosa compassione perché sacrificava la sua gloriosa fama di uomo di pace per assecondare i desideri bellici della nazione. […] Questo non è più dilettantismo, è già arte.

Ben pochi ostacoli si frappongono tra il leccapiedi e l’esercizio della sua arte. […] Nessun divieto può abolire il lecchinaggio. L’imperatore Ko lo proibì. Gli scritti che lo elogiano per questo decreto sono tra i più sublimi capolavori di quest’arte.


E per finire un fulminante passaggio dal capitolo XXVII:
 
E a quel punto si fece avanti e pronunciò il suo discorso più famoso, in cui le frasi non avevano niente a che vedere con il contenuto; e per questo mandò tutti in visibilio. Se qualcuno l’avesse trascritto parola per parola, sarebbe stato rigettato dall’uditorio come una vergognosa presa in giro. Ma riportare il testo di un simile discorso sarebbe parso insensato come esporre il pallone dopo una partita di calcio straordinaria. Con uno slancio davvero rivoluzionario l’oratore proclamò che mai avrebbe tollerato di vedere avanzare la ruota della Storia. No, centinaia di migliaia di manciù avevano versato il loro sangue e sopportato un’onta inaudita non certo perché volevano migliorare il proprio destino. Avrebbe fatto a pezzi coloro che osavano non dare la vita per lui e chiunque ritenesse che ci fosse qualcosa di più sacro del sacro stesso. Ordinò a ogni uomo di fare quello che stava per fare e promise una lotta senza quartiere ai nemici che avrebbero avuto la sfrontatezza di mettersi dalla sua parte. Alla fine enumerò in venti punti di enorme potenza retorica i motivi per cui aveva ragione a sostenere che la Cima era la Cima e che così era dalla notte dei tempi, per determinazione naturale, e così sarebbe stato finché fosse esistita.
Fu il discorso che gli diede la fama di statista. La scelta di tacere sugli omicidi che aveva provocato e su quelli che aveva ancora in animo di compiere venne lodata come fulgido esempio di saggia moderazione. E il fatto che avesse lasciato intendere che ogni cosa sarebbe rimasta tale e quale a prima venne accolto come prova di un robusto senso pratico. Tutti concordarono che era rimasto fedele al proprio programma, ed era vero, perché non ne aveva mai avuto uno.


Brani tratti dal libro Bertolt Brecht – Il romanzo dei tui, pubblicato dalL’orma editore, cura e traduzione di Marco Federici Solari.