Massimo Carlotto: il giallo è racconto sociale
Intervista di Wanda Marra
Massimo Carlotto in questa intervista di Wanda Marra racconta la creazione del suo detective l'Alligatore, la funzione conoscitiva e di denuncia del giallo, il legame con le istituzioni e con il territorio.
Il nordest provinciale, dove al miracolo economico si accompagna una sotterranea realtà di quotidiana criminalità, l’Alligatore, detective che viene da sette anni di carcere ingiusto, più a suo agio nel mondo extralegale che in quello della polizia e della magistratura, storie con uno sfondo di impegno politico e sociale: sono questi gli ingredienti dei gialli di Massimo Carlotto, padovano, classe 1956. La serie dei gialli dell’Alligatore comprende, per adesso, cinque romanzi, Le verità dell’Alligatore, Il mistero di Mangiabarche, Nessuna cortesia all’uscita, Il corriere colombiano, Il maestro di nodi (tutti usciti per le edizioni e/o). Una scrittura che va diritta al cuore delle cose, la capacità di ricostruire minuziosamente ambienti e situazioni, una visione del mondo lucida e rigorosa lo rendono uno dei principali scrittori italiani contemporanei.
Qual è la tua definizione di giallo?
Il detective è il personaggio che si aggira nella storia facendo domande e seguendo piste promettenti. Il suo fine è risolvere il caso. È uno strumento straordinario nelle mani dell'autore per raccontare e descrivere.
Qual è il rapporto dell’autore di gialli con le istituzioni?
Molti autori ripropongono nei loro romanzi figure istituzionali e una verità altrettanto istituzionale.
Il giallo è racconto sociale. In Italia la sfida del genere è quella di colmare il vuoto lasciato dal giornalismo d'inchiesta. Il che significa mescolare fiction, verità e un pizzico di sana controinformazione. Mi sembra che i lettori apprezzino il tentativo.
Mi puoi spiegare il motivo della territorialità del giallo?
L'Italia è un paese dove il luogo riveste un'importanza strategica. Gli autori di poliziesco dedicano un'attenzione particolare alle descrizioni e alle ambientazioni, e di solito, descrivono i luoghi dove vivono e lavorano.
In Italia non esiste per fortuna una scuola nel senso classico del termine. Il giallo è un grande pentolone al cui interno bollono fermenti e idee molto diversi tra loro. Personalmente ritengo di appartenere al filone del "noir mediterraneo" e in questo senso mi sento più vicino ad autori spagnoli e francesi che italiani. Inoltre le sacre regole che hanno diviso per lungo tempo il poliziesco dal noir a mio avviso non esistono più. Ma questo è un parere assolutamente personale e minoritario.
Il nordest provinciale, dove al miracolo economico si accompagna una sotterranea realtà di quotidiana criminalità, l’Alligatore, detective che viene da sette anni di carcere ingiusto, più a suo agio nel mondo extralegale che in quello della polizia e della magistratura, storie con uno sfondo di impegno politico e sociale: sono questi gli ingredienti dei gialli di Massimo Carlotto, padovano, classe 1956. La serie dei gialli dell’Alligatore comprende, per adesso, cinque romanzi, Le verità dell’Alligatore, Il mistero di Mangiabarche, Nessuna cortesia all’uscita, Il corriere colombiano, Il maestro di nodi (tutti usciti per le edizioni e/o). Una scrittura che va diritta al cuore delle cose, la capacità di ricostruire minuziosamente ambienti e situazioni, una visione del mondo lucida e rigorosa lo rendono uno dei principali scrittori italiani contemporanei.
Qual è la tua definizione di giallo?
E come definiresti la figura del detective?Narrare una storia criminale che si svolge in un determinato luogo e in un determinato momento significa raccontare la realtà sociale che circonda gli avvenimenti.
Il detective è il personaggio che si aggira nella storia facendo domande e seguendo piste promettenti. Il suo fine è risolvere il caso. È uno strumento straordinario nelle mani dell'autore per raccontare e descrivere.
Qual è il rapporto dell’autore di gialli con le istituzioni?
Molti autori ripropongono nei loro romanzi figure istituzionali e una verità altrettanto istituzionale.
In che senso il giallo si può definire racconto sociale?A me interessa poter attraversare il confine della legalità pur di arrivare a narrare la realtà che mi interessa. Di solito le istituzioni le evito e i miei personaggi bazzicano ben altri ambienti.
Il giallo è racconto sociale. In Italia la sfida del genere è quella di colmare il vuoto lasciato dal giornalismo d'inchiesta. Il che significa mescolare fiction, verità e un pizzico di sana controinformazione. Mi sembra che i lettori apprezzino il tentativo.
Mi puoi spiegare il motivo della territorialità del giallo?
L'Italia è un paese dove il luogo riveste un'importanza strategica. Gli autori di poliziesco dedicano un'attenzione particolare alle descrizioni e alle ambientazioni, e di solito, descrivono i luoghi dove vivono e lavorano.
Quali sono i sottogeneri e le correnti di pensiero nel giallo?Non è più pensabile sviluppare una trama in un territorio che non si conosce bene, il romanzo perderebbe di credibilità.
In Italia non esiste per fortuna una scuola nel senso classico del termine. Il giallo è un grande pentolone al cui interno bollono fermenti e idee molto diversi tra loro. Personalmente ritengo di appartenere al filone del "noir mediterraneo" e in questo senso mi sento più vicino ad autori spagnoli e francesi che italiani. Inoltre le sacre regole che hanno diviso per lungo tempo il poliziesco dal noir a mio avviso non esistono più. Ma questo è un parere assolutamente personale e minoritario.