Pablo Neruda: voce dei popoli

Pablo Neruda: voce dei popoli

Intervista a Patricia Rivadeneira

Pablo Neruda: voce dei popoli
L'epico Pablo Neruda, capace di riscattare il suo popolo e tutti i diseredati del mondo, nelle parole di Patricia Rivadeneira, addetta culturale dell’Ambasciata del Cile in Italia e direttore artistico del centenario nerudiano. Intervista a cura di Francesca Garofoli.

Quando arrivò la dittatura, in Cile, la gente non usciva più dalle case. Aveva paura persino dei propri pensieri. Ma quando morì Neruda, si sentirono chiamare da una voce contro la quale nemmeno la paura avrebbe potuto far nulla. Una moltitudine silente sfilò nel corteo funebre, sotto lo sguardo attonito e sgomento dei militari. Era avvenuto il miracolo: la poesia, e il suo profeta, avevano battuto la dittatura. Sicuramente a Neruda avrebbe fatto piacere riuscire in vita in ciò che gli riuscì da morto, ma la sua è un’eredità fondata proprio sull’incorruttibile impegno di una vita. Siamo abituati più a rendere onore al Neruda poeta dell’eros, che alle sue poesie a sfondo socio-politico. Forse ne possiamo contestare il gusto estetico, ma quelle parole hanno di fatto alimentato il grido di libertà non di un solo popolo, bensì del popolo: il popolo del mondo. È questo l’aspetto che delle molte sfumature di Neruda ci offre Patricia Rivadeneira, addetta culturale dell’Ambasciata del Cile in Italia e direttore artistico del centenario nerudiano, protagonista di una grande avventura: riscoprire Neruda, seguendone le tracce in Italia.

Come è iniziata questa riscoperta di Neruda?
La mia personale avventura è iniziata tre anni fa, appena arrivata in Italia dal Cile, intenzionata a ritrovare la prima edizione del libro - I versi del Capitano - che Neruda aveva pubblicato anonimo nel 1952, e che tale era rimasto per dieci anni. Motivo di questo anonimato era il fatto che il libro raccontava l’intensa storia d’amore tra Neruda e Matilde Urrutia – che ebbe come teatro il soggiorno del poeta cileno a Capri, in casa di Edwin Cerio – storia che Neruda non voleva, per ragioni di buon gusto, rendere nota alla sua prima moglie. La prima pubblicazione di questo testo risale appunto al 1952. Uscì direttamente in Italia, sebbene in lingua spagnola, stampato in soli 50 esemplari, 44 dei quali erano destinati a importanti artisti e scrittori della cultura italiana: gente che ha fatto la storia dell’Italia nel dopoguerra, come Elsa Morante, Palmiro Togliatti, Luchino Visconti, Paolo Ricci, Guttuso… Dapprima ho ritrovato la tipografia dei fratelli Rossi, che conservava ancora una copia – ormai di inestimabile valore – della prima stampa; poi ho preso contatto con le persone che avevano ricevuto l’omaggio di Neruda, trovandone nove ancora vive. Con il loro aiuto – Massimo Caprara, Giuseppe Zigaina, Fulvia Trombadori, Giorgio Napolitano, Pietro Ingrao – abbiamo rispolverato ricordi e disseppellito materiale autografo e fotografie inedite del poeta cileno.

Cosa ha rappresentato l’Italia per Neruda?
Il libro L’uva e il vento è quello che racconta la visione che Neruda aveva dell’Italia. Questo paese ha rappresentato un periodo di transizione per il poeta, che usciva dalla triste esperienza narrata in Residenze sulla terra e La Spagna nel cuore, per ritrovare il piacere e la bellezza delle cose più semplici. Qui si è espresso al meglio il Neruda che è stato, soprattutto, poeta del popolo: un uomo capace di capire e raccontare quanto sia bello fare il pane o il lavoro del falegname.

Nel suo viaggio, Neruda non viene colpito dai grandi monumenti, ma dal popolo italiano, dalla gente semplice. Andava nelle fabbriche a leggere le sue poesie agli operai. Ciò dimostra che il suo impegno sociale non era legato a una particolare realtà, ma era universale.

Neruda era convinto di poter cambiare il mondo, con la sua forza, con il suo canto, con la sua poesia. Ne L’uva e il vento canta la povertà dei bambini napoletani, perché la sua patria era il mondo. Anche se avrebbe voluto tornare in Cile.

Che cosa ha significato e cosa significa, oggi, Neruda per i giovani del Cile?
Neruda, all’inizio della dittatura è stato proibito, ma è rimasto comunque nel cuore della gente. Di più: la prima volta che la gente ha avuto il coraggio di uscire di casa e di sfidare i militari è stato il giorno del funerale di Neruda. L’esercito non riuscì a contenere le persone; un fiume silente di uomini sfidò la morte per onorare il suo sommo cantore. Trovo molto significativo che il presidente Ricardo Lagos – secondo presidente socialista dopo Allende – abbia deciso di creare un comitato internazionale per celebrare il centenario di Neruda in tutto il mondo. Per noi cileni, oggi, i valori etici, morali e culturali di Neruda rappresentano quello che vogliamo condividere con il mondo. Credo che Neruda sia stato la persona che meglio ha tradotto l’anima del Cile: la nostra anima e il nostro desiderio di pace e di uguaglianza tra i popoli e d’impegno per i poveri.

Quali sono gli elementi della poesia di Neruda tipici della sua cultura?
La poesia di Neruda è molto ricca: lui è in grado di trasformare un limone o un carciofo in una poesia. E ciò fa di lui un poeta unico nel suo genere. Poi abbiamo le poesie politiche – Canto generale e Residenze sulla terra – che rispecchiano l’anima del cileno, dotato di un carattere un po’ piovoso, ottunabondo. Non siamo un popolo che parla più di quello che fa o che sente.

C’è un silenzio nel Cile che soltanto Neruda è riuscito a trasmettere veramente, insieme alla gioia di condividere la tavola.

Abbiamo un forte senso di appartenenza e il Cile rappresenta un posto protetto in cui vivere. Inoltre, Neruda è un uomo che viene dal popolo ed è rimasto vicino al popolo: egli rappresenta la possibilità vivente per un ragazzo del sud di diventare un grande uomo. Alimenta i nostri sogni e le nostre speranze. Neruda ha potuto essere poeta, perché i cileni amano la poesia: il suo successo ha bisogno di un pubblico. I cileni hanno un’anima poetica, meta-letteraria, metaforica, in grado di sentire la poesia. Non dimentichiamo che, quando Neruda si era candidato alle elezioni, nei suoi comizi leggeva poesie. C’è persino una fotografia che lo ritrae a un comizio con Pinochet alle spalle che applaude; e questo è estremamente significativo.