Canto 20 - Vita

Purgatorio

Museo Laboratorio della Civiltà Contadina
Il Museo Laboratorio della Civiltà Contadina è un museo etno-antropologico che racconta antichi mestieri locali e ricostruisce gli ambienti dei rioni materani. Ha attualmente un'estensione di 500 mq, realizzato da Donato Cascione.

Musma, Museo della scultura contemporanea
Il MUSMA è il più importante museo italiano interamente dedicato alla scultura. Allocato nella suggestiva cornice di Palazzo Pomarici (XVI sec.), è l'unico museo "in grotta" al mondo.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
Mattino del 12 aprile. Siamo nella V cornice, fra gli avari e i prodighi. In questo canto accadrà una cosa di grande interesse nell’economia della salvazione.
I due pellegrini camminano rasente il monte, perché gli espianti, piangendo, si avvicinano sempre più all’orlo esterno del cerchio montano.
Dante ha in seno altre domande, ma, per non appesantire il Maestro, tace. Poi maledice la lupa (causa di ogni male) e descrive il cammino lento e cauto, attento all’ombre che pietosamente piangevano; ma per caso udì: “Dolce Maria!” esclamato da una voce simile al lamento della donna nel parto. E’ il primo esempio di povertà: la Madonna dette alla luce Gesù in una grotta; il secondo riguarda Caio Fabrizio Luscinio (si noti la consecuzione di storia sacra e profana), uomo incorruttibile, povero pur potendo arricchirsi nella sua attività di negoziatore con gli eserciti nemici; il terzo si riferisce alla generosa azione di san Niccolò, vescovo di Mira, il quale, avendo saputo che un uomo povero in canna, non potendo maritare le tre figliole per mancanza di dote, le aveva destinate al meretricio, donò loro il denaro necessario a farle sposare. Ma chi ha esternato questi esempi? L’Alighieri si rivolge all’anima che ha parlato, chiedendo perché lei sola rammenta cose di rara virtù. Ed ecco una promessa di Dante, per ricompensa, dato che lui ritornerà “a compiér lo cammin corto / di quella vita che al termine vola” (vv. 38-39). Risponde lo spirito: “Io ti risponderò non perché mi aspetti compenso da parte tua nel mondo, “ma perché tanta / grazia in te luce prima che sie morto”. Chi parla è Ugo Capeto, re di Francia, capostipite dei Capetingi (Dante confonde Ugo Capeto con Ugo il Grande, come fa lo stesso Villani). Comunque, il succo dell’invettiva dell’anima interpellata è questo: io sono la radice della mala pianta che oscura tutta la cristianità. Se le città di Lilla, Bruggia (etc.) potessero farlo, renderebbero vendetta, che io chiedo a Lui che tutto giudica (giuggia è francesismo e viene da juger che significa giudicare). Da me sono nati i Filippo e i Luigi “per cui novellamente Francia è retta”. Il parlante dichiara di essere figlio di un beccaio di Parigi, ma la verità è altra: era prole di un feudatario. Quando si estinse la dinastia carolingia, e l’ultimo discendente (Carlo di Lorena) entrò in convento, si trovò stretto nelle mani la guida del regno, acquistando grande potere e ricchezza. La verità storica è diversa da quella portaci dal Poeta, il quale mette in bocca a Ugo il fatto che incoronò il figlio Roberto quando la “corona fu vedova”: in realtà lo stesso Ugo Capeto portava la corona regale e se associò al trono il figlio lo fece per rendere sicura la continuità nella successione. I regnanti di poi vollero estendere il dominio, oltre che sulla Provenza, sulla Normandia, la Guascogna. Carlo IX d’Angiò scese in Italia nel 1265 per detronizzare Manfredi, il quale subirà una sconfitta a Benevento che gli costò la vita nel 1266. Corradino, ultimo discendente degli Svevi, venne in Italia con l’intenzione di riconquistare le terre perdute (regno di Napoli e Sicilia), ma fu sconfitto da Carlo il 23 agosto 1268 a Tagliacozzo; sei giorni dopo fu decapitato. Anche san Tommaso d’Aquino fu vittima di Carlo, nel 1274, mentre si recava al Concilio di Lione, perché il d’Angiò sospettava che il filosofo mettesse chiaramente in pubblico i fatti sconvenienti della casa di Francia. Ed ecco la profezia (teniamo sempre presente che Dante pone il viaggio ultraterreno nel 1300, ma quando lo scrive egli già conosce i fatti che preannuncia per bocca di alcuni spiriti: questo memento è addirittura ovvio, ma reperita iuvant): Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, apparve a Firenze (invitato da Bonifacio VIII) in veste di paciere, ma sostenne i guelfi neri commettendo, e facendo commettere, prepotenze e reati di ogni sorta contro i guelfi bianchi – Dante subì l’esilio. Era venuto, Carlo, con soli 500 cavalieri per non scoprire i suoi fini, certo però dell’appoggio del papa. Non guadagnerà territorio (Valois ha significato di “senza terra”) ma “peccato e onta”. Il terzo Carlo, lo Zoppo, re di Napoli, venderà sua figlia come sposa ad Azzo VIII d’Este, come fanno i corsari con le schiave. A questo punto, entra un’apostrofe che ha funzione di pausa e ripresa fra due invettive, di cui il centro è l’avarizia. Ugo vede il giglio (simbolo dei re di Francia) entrare in Anagni e oltraggiare il papa vicario di Cristo: Cristo è di nuovo oltraggiato, deriso, ucciso fra i ladroni. Vede il nuovo Pilato (Filippo il Bello) crudele a tal punto da non ritenersi soddisfatto dell’oltraggio al papa e perciò senza autorità relativa all’atto che compirà, distruggerà l’ordine dei Templari – per impossessarsi delle immense ricchezze dei Cavalieri del Tempio. Ora dà una spiegazione relativa alle regole del Purgatorio, dicendo che l’invocazione alla Vergine in seguito alla quale Dante si era rivolto a lui per avere delucidazioni, vale solo di giorno (con gli esempi che abbiamo visto); di notte, invece, le cose vanno al contrario, perché – continua Capeto – noi nominiamo Pigmalione, divenuto traditore, ladro e parricida a causa della smodata brama di ricchezza; così facciamo del re Mida, la cui infelicità fu causata dall’ingordigia dell’oro, cosa di cui è necessario ridere sempre. Il capovolgimento degli esempi prima positivi ora negativi, porta a porre quelli pagani prima dei sacri. Infatti, tocca ad Acan, lapidato per ordine di Giosuè in quanto si era impossessato di parte del bottino di Gerico. Altri sono gli esempi di vizi legati alla punizione qui scontata.
“Noi eravam partiti già da esso, / e brigavam di soverchiar la strada / tanto quanto al poder n’era permesso, / quand’io senti’, come cosa che cada / tremar lo monte”: Dante prova un senso di paura e sgomento che ricorda la chiusa del III e del V dell’Inferno. Subito dopo quel terremoto, un grido unanime partì da ogni giro, ma così alto, che Virgilio dovette rassicurare il discepolo. Tutti dicevano: “Gloria in excelsis deo”. Lo stupore dei due viandanti è simile a quello dei pastori a Betlemme, quando udirono l’annuncio della Nascita santa.
Il cammino riprese osservando il comportamento delle anime “tornate in su l’usato pianto”. Dante dichiara che mai prima di allora cosa alcuna lo aveva reso tanto desideroso di sapere, di conoscere la causa del tremare del monte, ma sia la fretta, sia l’impossibilità di comprendere da solo il fenomeno gli chiusero la bocca in un andare timido e pensoso.