Canto 26 - Auriga

Purgatorio

XXVI - AURIGA (Matera)
Allenamento dei muli, generale dei cavalieri
Il corpo dei cavalieri della Madonna della Bruna nasce come una unità difensiva per scortare il carro durante la processione. La mattina del due Luglio sfilano alla testa del corteo con i loro bellissimi cavalli e le loro armature sfavillanti.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
Breve introduzione
Per i lussuriosi bisogna fare una riflessione, che spiegherebbe anche la compassione profonda di Dante per Paolo e Francesca. L’Inferno, dunque, è fatto a imbuto, diciamo il contrario del cono tronco che è il Purgatorio. Il regno della disperazione sprofonda verso il centro della Terra, con la cupola sotto la città di Gerusalemme. Più i cerchi si restringono e si scende, maggiore è la pena e peggiore il peccato. Di contro, nel monte della salvezza, più le cornici sono strette e alte, meno grave è il fallo da scontare. Viene così naturale considerare che i lussuriosi sono posti da Dante in una posizione “corrispondente” per le opposte sistemazioni tipologiche: in Inferno, il primo cerchio è costituito dal Limbo, il secondo occupato dai lussuriosi, i quali stanno tra le fiamme in Purgatorio all’ultima cornice, quella vicina al Paradiso Terrestre. Quindi la lussuria è sempre un traviamento, ma il minore rispetto agli altri (alla stessa gola, all’avarizia, all’iracondia etc.).
In questo giro, l’espiazione purificante consiste in ciò: i peccatori camminano tra le fiamme, si baciano e si abbracciano, gridando esempi di castità e di lussuria punita. Il contrappasso è chiaro: arsi dalle fiamme del desiderio dei sensi, ora nel fuoco purificano se stessi dalla libidine smodata che ebbero in vita per la carne; inoltre, i loro atti affettuosi riguardano lo spirito, di contro alla concupiscenza dei sensi nel mondo.

Costretti a procedere uno dietro l’altro, il Maestro esorta Dante a stare attento a non cadere. Il sole è al tramonto e l’ombra del corpo del Poeta proiettata sul fuoco, rende più visibile le fiamme, al punto che le anime si meravigliano del fenomeno. Questo fu il motivo che spinse loro a parlare, osservando che, appunto, quello di Dante non sembrava un corpo apparente. Quindi verso di me – spiega il Poeta – si sporsero quanto poterono, sempre badando a non uscire dai confini in cui venivano arsi, ed uno iniziò a parlare in questi termini: “O tu, che vai dietro a tutti per riverenza, credo, rispondi alla mia ardente curiosità, che non è solo mia, ma di ognuno di noi. Spiegaci perché fai da schermo al sole come se fossi ancora vivo”. Dante dichiara che si sarebbe subito manifestato, se non fosse stato preso da una novità apparsa al momento: proprio al centro del percorso procedeva una schiera di spiriti in senso inverso all’altra, e di questo fu stupito. Le ombre, all’incontro, si baciavano: veloce rito d’amore, a guisa di formiche che si annusano per comunicarsi qualcosa. Terminata quell’effusione, gridavano a vicenda: “Sodoma e Gomorra”, e “Pasife entra nella mucca di legno per attirare il torello”. Sono esempi di lussuria punita. Poi, i sodomiti continuano verso sinistra e gli altri verso destra. Allora, le ombre che lo avevano pregato di parlare con loro, si accostarono al pellegrino. “Io, che per due volte avevo capito cosa gradissero sapere, cominciai :– Queste che vedete sono le mie membra, non rimaste in Terra separate da me per vecchiezza o per morte precoce. Seguo questa via per non essere più cieco intellettualmente. Più in alto c’è una donna grazie alla quale mi è possibile realizzare il presente viaggio ultraterreno. Ora, possa Dio accogliervi nell’Empireo: ditemi chi siete e chi sono coloro i quali si muovono in senso contrario al vostro”. Da principio, quelle ombre si stupirono come quando il rozzo montanaro scende in città, ma quando si ripresero dalla sorpresa, quella che prima mi aveva rivolto la preghiera, disse: “Beato te che hai la fortuna di fare esperienza dei nostri luoghi per non peccare più! La gente che non fa il nostro senso di marcia, ha peccato di sodomia, perciò nell’allontanarsi gridano ‘Sodoma’, aumentando l’effetto della punizione infliggendosi un senso di vergogna. Il nostro traviamento consisté nell’ermafroditismo (fummo bisessuali) e perché venimmo trascinati come bestie dall’istinto sessuale, noi, nel salutare gli altri, nominiamo Pasife, la madre del Minotauro. Adesso sei edotto della nostra condizione, ma non c’è tempo di elencare i nostri nomi. Posso dirti chi sono io: Guido Guinizelli, pentitomi prima di arrivare alla fine della vita; per questo sono già qui senza aver atteso nell’Antipurgatorio”.
La reazione dell’Alighieri nell’udire il nome di Guinizelli, fu simile a quella di Taonte ed Euneo, figli di Isifile (schiava del re di Nemea Licurgo, era stata messa a custodire Ofelte – figlio del re - su un prato, ma per portare i greci alla fonte Langia, aveva abbandonato al momento il frugoletto, che fu morso da un serpente e morì. Condannata alla pena capitale Isifile, fu liberata dai figli che si lanciarono fra gli uomini armati per abbracciare e salvare la madre). Lo slancio con cui Dante vuole abbracciare Guido è come quello di Toante ed Euneo, ma non ha coraggio abbastanza di osare quell’atto familiare verso “il padre/ mio e de li altri miei miglior che mai / rime d’amor usar dolci e leggiadre”, colui il quale con la poesia “Al cor gentil rempaira sempre Amore” aveva fondato il Dolce Stil Novo. L’ammirazione di Dante è tale, che non solo non osò abbracciarlo, ma a lungo lo guardò con meraviglia, senza tuttavia accostarsi oltre a causa del fuoco. E quando fu sazio di rimirarlo, si mise a sua disposizione giurando che avrebbe esaudito ogni sua richiesta. Ma Guinizelli, dopo aver risposto con una lode, poiché non è di tutti i giorni vedere un vivo nell’aldilà, gli chiede a sua volta il motivo di tanta ammirazione. E Dante: “La cagione è data dai vostri scritti dolci e belli, i quali, finché durerà l’uso della lingua in cui sono stati vergati, faranno preziose le vostra pagine manoscritte”. Però siamo in Purgatorio: e debbo richiamare l’attenzione al canto XI, dove i superbi in Terra divengono umili e considerano la gloria umana come il vento che muta nome perché muta lato. Infatti, come Oderisi da Gubbio si schermì agli onori che gli faceva Dante, affermando che Franco Bolognese era più bravo di lui, così Guido addita un poeta che fu il miglior fabbro nel suo parlar materno (la lingua provenzale). L’umiltà di Guinizelli dà ad Arnaldo Daniello la palma dell’eccellenza nella poesia d’oc.
Si apre qui, anche se brevemente, un importante passo di critica letteraria (regia di Dante Alighieri sul suo tempo). Guido non solo eleva sopra tutti Arnaldo, ma ridimensiona la fama di Giraut de Bornelh (qui detto il Limosino per questione geografica), sottolineando che non bisogna dare ascolto al ‘sentito dire’ degli stolti, come fecero per Guittone d’Arezzo pregiandolo al di sopra delle sue qualità (anche nel De vulgari eloquentia l’Alighieri critica duramente Guittone).
La parentesi letteraria si chiude con la richiesta da parte di Guinizelli d’un “Padre nostro” recitato da Dante in Paradiso a pro delle anime purganti. Poi, forse per dare spazio a uno che lo seguiva, “disparve per lo foco,/ come per l’acqua il pesce andando a fondo” (vv. 134-135). Tanto è duro, Dante, nelle invettive, al pari è elegante e deferente verso i grandi che meritano ammirazione. Infatti, la dichiara anche ad Arnaut Daniel, il quale si esprime nella sua lingua materna (il volgare occitano che l’Alighieri conosce bene: e l’immissione di questo lacerto in altra lingua è un prezioso azzardo stilistico che fa di Dante un precursore dell’idioma aperto, di contro allo schema che sposerà l’Accademia della Crusca). La traduzione degli otto versi nei quali si esprime il poeta provenzale è la seguente: “Tanto mi è cara la vostra cortese domanda, / che io non posso né voglio nascondermi a voi. / Io sono Arnaldo, che piango e vo cantando; / pensoso contemplo la passata follia, / e vedo gioendo il giorno che spero, dinanzi. / Ora vi prego, per quel valore / che vi conduce al sommo della scala, / vi sovvenga in tempo del mio dolore!”. Quindi, anche lui, si ascose nel fuoco che li purifica.