Canto 28 - Magica

Purgatorio

XXVIII - MAGICA (Trento/ Borgo Valsugana)
Il bosco di Arte Sella
Arte Sella è una originale percorso di ArteNatura nei boschi della Val di Sella presso Borgo Valsugana.
Un museo a cielo aperto, lungo la strada forestale del versante sud del Monte Armentera, dove sassi, foglie, rami, tronchi diventano opere d’arte.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
E’ mercoledì 13 aprile. Primo mattino.
La “divina foresta spessa e viva” è l’antitesi della “selva oscura”. Siamo in un mondo a sé: puro, della purezza primigenia, ove i fiori e le erbe, nati da soli, significano la bellezza; infatti, il peccato, oltre a deturpare l’animo, rende brutta anche la natura, in una sorta di antropocentrismo che, nell’orrore dell’Inferno si allontana da Dio e, alle porte del Paradiso, riverbera la Sua grazia e la Sua leggiadria. Anche lo stile di questi canti a sé stanti muta improvviso, divenendo idilliaco, fortemente allusivo dell’homo novus che ormai è Dante, dichiarato tale da Virgilio. Il passo stesso è ora lento, non più incalzato dalla terribile fretta a salire: è tempo di meditazione, di preparazione spirituale all’incontro con Beatrice; l’amenità del sito in cui misero piede i nostri progenitori Adamo ed Eva, turba il pellegrino, che descrive con stupefatta visione la dolcezza dei luoghi, che da ogni parte odoravano. Ed ecco una brezza carezzare la fronte dell’Alighieri; le foglie appena tremolanti guardavano l’occidente coi rami dolcemente proni dalla parte verso cui il monte getta la sua ombra mattutina; ma tutto è così lieve, delicato, che gli uccelli non smettono di cantare ed anzi le fronde fanno bordone ai loro gorgheggi: un’unità di intenti ovunque, un’unica volontà muove il tutto, nella gioia corale.
Dante cammina ammirando, senza indugio ma senza affanno; eppure, si è tanto addentrato nel bosco che non riconosce il luogo di entrata; ed ecco un fiumicello (il Leté – nella dizione medievale) sbarrargli il passo.
Da questo momento in poi, Dante non tralascia occasione per paragonare l’eccellenza dei panorami che incontrerà con quelli assai belli della Terra, ma dal confronto i nostri luoghi, le nostre cose, escono sconfitti. Infatti, l’acqua del rio, sebbene scorra all’ombra, è talmente pura da mostrare i fondali senza l’ausilio né del sole né della luna. Qualunque ruscello qui da noi, sia pure il più pulito, sembra adombrato da qualche impurità al confronto con le acque che attraevano lo sguardo stupito del pellegrino (quando Dante descriverà l’incantesimo supremo suscitato dal canto che accompagna il trionfo di Maria – Paradiso, XXIII, vv. 88-102 - userà un procedimento identico, affermando che qualunque melodia quaggiù più dolce suona, parrebbe un tuono comparato al suonar di quella lira…)
Il pellegrino ferma i suoi passi per necessità, ma col desiderio trascorre il ruscello e spinge lo sguardo verso i ramoscelli fioriti; là, in quel panorama di fiaba, appare una donna soletta che cammina cantando e scegliendo fior da fiore tanto ne era piena la sua via. Sulla spiaggia del monte, Dante incontra l’amico musicista Casella: la prima anima che – ricantando una canzone elaborata in due – placava nel Poeta tutte sue doglie. La musica comincia ad assumere un significato espressivo, allusivo, lirico, morale: infatti, in Inferno non troviamo alcun musicista.
E’ naturale che il pellegrino, circonfondendo di complimenti l’apparizione della donna, vuole che si avvicini in modo che lui possa afferrare il significato delle parole oltre la melodia. Dichiara che la bellezza dei sembianti è testimone del cuore puro. E, nonostante si stia nel Paradiso Terrestre, il Poeta non si perita di rifarsi, nelle similitudini, agli accadimenti pagani; infatti, le dice che la sua beltà gli rimembra il rapimento di Proserpina da parte di Plutone, il quale ne fece la regina dell’Averno a causa dell’amore. Come una vergine pudica che muova appena i passi del ballo, la bella fanciulla si fa verso Dante, tra i fiori vermigli e gialli (i cui colori hanno un significato ben specifico nel Medievo: e lo vedremo più avanti). L’avvicinarsi di lei, chiarì le parole all’intendimento di Dante, il quale spinge a un punto estremo di stilizzazione il personaggio femminile come fosse un pittore. Appena fu in prossimità della riva, tanto che le erbe umide venivano bagnate dalle onde, lei fece dono al pellegrino di guardarlo in faccia coi suoi occhi splendenti. Osserva Dante: “Non credo che splendesse tanta luce nello sguardo di Venere quando si innamorò di Adone a causa del figlio Cupido che la colpì col suo strale senza farlo apposta”.
Ella sorrideva intrecciando fiori per una ghirlanda (Lia operava altrettanto per farsi bella): fiori che il terreno produce senza bisogno del seme.
Dante dice che lo divideva dalla donna un fiumiciattolo di tre passi, ma qui sarebbe da aprire una lunga spiegazione sulla “numerologia del poema, in quanto il numero tre (la Trinità) è alla base di ogni sistemazione nell’economia della Commedia, per cui i tre passi sono una segnalazione vaga della reale distanza che separava Dante dalla donna. La quale inizia a parlare così: “Voi siete nuovi del luogo. Forse il fatto che io sorrida in questo punto eletto come sede naturale dell’umanità vi meraviglia e vi fa stupire, ma vi può illuminare il salmo Delectasti (“Come son grandi le tue opere, Signore, perché Tu allieti con esse”). E tu, che sei avanti agli altri, parla se vuoi dire altro: per questo mi sono avvicinata al tuo richiamo”.
Il pellegrino dichiara di aver appreso informazioni per cui il Purgatorio era esente da ogni variazione atmosferica: come mai le fronde stormiscono? La donna spiega che Dio creò l’uomo buono, dandogli come caparra della beatitudine eterna l’Eden. Per sua difalta (viene dal francese antico défaute, colpa) qui dimorò poco, mutando il sorriso della gioia in pianto e affanno. Per essere franco dalle perturbazioni terrestri, il monte si innalzò tanto, da rimanere immune dai capricci del clima dal punto in cui è situata la porta del Purgatorio. Ma l’aria che ruota intorno alla Terra, mossa dal Primo Mobile, qui batte sulle foglie e fa suonare la selva perché è folta. Gli alberi, smossi dal vento, lasciano cadere su questo terreno i semi, e anche sull’altro, dove abitate voi uomini, così che – secondo l’influsso delle costellazioni e la ricchezza del suolo, da queste semenze nascono piante diversificate. Non vi meravigliate, dunque, se sulla vostra terra qualche volta sboccia una piantina senza seme “palese”, perché la campagna santa ove tu ora sei, è piena di sementi, ed ha pure frutti che voi non conoscete. Vedi, anche l’acqua che qui scorre non è alimentata dalla pioggia o dalla neve, come invece i vostri fiumi che risentono della siccità e delle alluvioni, ma nasce dalla volontà divina, sorgente inesauribile, e si diparte in due direzioni. Dall’ una, quella a noi vicina, proviene la virtù che cancella il ricordo dei peccati commessi; dall’altra, quella che restituisce la memoria delle azioni virtuose. Questo è il fiume Letè (oblio); quello è l’Eunoè. Perché siano efficaci ai fini suddetti, la loro acqua dal sapore ineguagliabile deve essere bevuta. E benché io ritenga di avere soddisfatto la tua curiosità, voglio offrirti un altro dono, che non ti sarà meno caro. I poeti che anticamente cantarono l’età dell’oro ed il suo stato felice, forse sognarono questo luogo in Parnaso. Qui l’umana radice visse innocente; qui è sempre primavera e vi sono frutti di tutte le specie; l’acqua di questi rivi è il nettare di cui essi parlavano.
Dante si volge a guardare Stazio e Virgilio, i quali non emisero parola ma sorrisero come toccati direttamente dall’allusione della donna, a cui l’Alighieri tornò a rivolgere lo sguardo. Ormai a Dante non basta più la ragione umana, né la ragione illuminata dalla fede, ma la Grazia, rappresentata – forse - da Matelda (il cui nome conosceremo più in là).