La vita involontaria di Brianna Carafa secondo Ilaria Gaspari
A cento anni dalla nascita
Il protagonista e io narrante del romanzo di Brianna Carafa, La vita involontaria, riproposto da Cliquot (la prima edizione era uscita da Einaudi nel 1975), si chiama Paolo Pintus e vive a Oblenz, una città immaginaria della Germania. La sua formazione si compie a Valona, in cui si trasferisce per studiare filosofia spinto da un amico, che però non lo segue. Pintus inizia a studiare; si perde; beve; è tentato dalla vita vagabonda; passa a psicologia grazie al suggerimento casuale di un professore; si laurea brillantemente: tutto questo accompagnato dalla sensazione di non aver mai scelto nulla, di essersi fatto portare dalla corrente. Il libro si chiude dove si era aperto, ai Tetti Rossi, il manicomio di Oblenz, che da bambino Pintus temeva e in cui viene mandato come medico. Scritto a cinquantun anni, tre anni prima che Carafa morisse, La vita involontaria è un romanzo di grande lucidità e forza espressiva e, come molta letteratura mitteleuropea, affronta il tema dell’impotenza dell’individuo di fronte alla sua stessa esistenza. Del protagonista del romanzo, dei suoi temi e della sua lingua ci parla Ilaria Gaspari, che ha curato la prefazione a questa edizione.
Brianna Carafa (Roma, 1924-1978) discende da una nobile famiglia napoletana. Di madre polacca, cresce in un ambiente aperto ai più importanti influssi culturali europei e popolato da figure femminili forti ed emancipate. A Roma studia architettura e psicologia, divenendo poi psicanalista. Entrata a far parte del gruppo di poeti e intellettuali che si riuniscono intorno alla figura di Angelo Maria Ripellino, nel 1957 pubblica il volume Poesie (Carucci) e nello stesso anno escono sulla rivista Botteghe Oscure i racconti La porta di carta e Il sordo. Con la casa editrice Einaudi pubblica i suoi unici due romanzi: La vita involontaria, finalista al Premio Strega nel 1975, e Il ponte nel deserto, uscito nel 1978 poco dopo la sua prematura morte.Quando la zia morì, il suo sguardo si fece cupo, come se un ignoto e appassionato rancore le si affacciasse allo spirito, tante volte ricacciato indietro. “Paolo” mi esortò poco prima che l’ultimo e breve fiato le uscisse dalle labbra, e il lenzuolo era quasi piatto sul suo corpo, “Vivi la tua vita. Non fare come me che non l’ho vissuta.”