"M" come Malipiero (I)
Il sogno d'un'incantata bellezza
Il programma da cui è stata estrapolata la clip proposta è Gli anniversari, trasmesso nel 1982, in occasione del centenario della nascita di Gian Francesco Malipiero.
L’intervista era stata realizzata, però, nel 1971, pochi anni prima della morte del Maestro (1973). Dalla casa di Asolo, Malipiero spiega l'origine del proprio saggio, Il filo d'Arianna, commenta ironicamente il libro di Mario Labroca, L'usignolo di Boboli, e, infine, parla degli autori dei testi delle proprie opere: Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello.
Figlio e “nipote” d’arte (il padre, Luigi, pianista e direttore d'orchestra; il nonno, Francesco, operista stimato da Gioachino Rossini), Gian Francesco Malipiero nacque a Venezia il 18 marzo 1882, e iniziò lo studio del violino nel 1890. Nel 1898, si iscrisse al corso di armonia presso il Conservatorio di Vienna, dove aveva seguito il padre, separato dalla moglie. L’anno successivo, tornò a Venezia, dalla madre, e frequentò il liceo musicale Benedetto Marcello, dedicandosi, in particolar modo, allo studio della composizione. Sulla sua formazione giovanile influì, senza dubbio, il lavoro di analisi e di trascrizione dei manoscritti di Claudio Monteverdi, Ippolito Baccusi, Giovanni Nasco, Alessandro Stradella, Giuseppe Tartini e Baldassarre Galuppi. Nel 1908, a Berlino, seguì le lezioni del tardoromantico Max Bruch, che, pure, al pari di Claude Debussy, influenzò i suoi primi lavori.
Nel 1911, con Ottorino Respighi e altri giovani compositori, diede vita ad una "lega", che si prefiggeva di costruire la nuova musica italiana sul sinfonismo, svincolandola dal melodramma. La fondazione di questo gruppo era stata preceduta, nel 1910, dalla pubblicazione di un suo articolo sulla “Rivista musicale italiana”, Il pregiudizio della melodia, e seguita, l’anno successivo, da un nuovo testo, La sinfonia italiana dell'avvenire, apparso sulle pagine dello stesso periodico, attraverso i quali Malipiero aveva manifestato quel tipo di posizione. Nel 1913, con un nuovo articolo, Del dramma musicale italiano e dei suoi pregiudizi, pubblicato dalla rivista “Musica”, Malipiero espresse una condanna nei confronti della teatralità, di ogni convenzione e, soprattutto, della figura del cantante, colpevole, a suo avviso, dell'enfasi della vocalità.
In quegli stessi anni, vinceva quattro premi per altrettante composizioni e assistette, a Parigi, alla prima esecuzione del Sacre du printemps di Igor Stravinsky: per il giovane compositore fu una sorta di scarica elettrica, che lo spinse a disconoscere la gran parte di quanto aveva prodotto fino a quel momento. A quell’esperienza seguirono lavori che costituirono delle fasi transitorie nel lungo cammino creativo di Malipiero, fino al decisivo Pause del silenzio (1917) col quale prese forma il suo metodo costruttivo. È lo stesso periodo in cui rafforzò il sodalizio artistico con il coetaneo Alfredo Casella, che aveva fondato la “Società italiana di musica moderna” e la rivista “Ars nova”; in cui collaborò con Fortunato Depero e i suoi Balli plastici delle marionette futuriste; in cui mise in scena Pantea, dramma sinfonico per danzatrice solista, voci fuori scena e orchestra. Ma la fama internazionale raggiunse Malipiero il 10 luglio 1920, quando, a Parigi, la messa in scena delle Sette canzoni provocò scandalo e stimolò importanti critici ad occuparsi di lui.
Nel 1923, con Casella e D'Annunzio lanciò la “Corporazione delle nuove musiche”, accreditandosi, a livello internazionale, come esempio di compositore di avanguardia moderata. Nel 1932, fu coinvolto nelle polemiche suscitate dal Manifesto di musicisti italiani per la tradizione dell’arte romantica dell’800, di cui Respighi era il primo firmatario, seguito da esponenti autorevoli della musica del periodo fascista. Si trattò di una dichiarazione antimodernista particolarmente polemica nei confronti suoi e di Alfredo Casella, che gli costarono, ancora due anni dopo, la contestazione di Favola al Teatro Reale dell'Opera di Roma da parte di un gruppo di sabotatori e la censura del regime fascista.
Gli anni dell’occupazione tedesca, vissuti a Venezia, videro Malipiero impegnato a strappare insegnanti e allievi dalle mani dei nazisti e dei repubblichini. Dal dopoguerra fin quasi ai suoi ultimi giorni, l’artista intensificò sia la scrittura di nuove composizioni, sia l’attività di carattere musicologico e memorialistico.
Gian Francesco Malipiero è stato accusato, da più parti, di cerebralità e tecnicismo. Ciononostante, la critica ha colto nelle sue opere un assoluto predominio della melodia, in cui il discorso musicale è elaborato come un continuo brulicare di idee melodiche, spogliate di ogni carico armonico e strumentale, ma, al bisogno, combinate polifonicamente con una grande libertà tonale e un assiduo ricorso a «modi antichi». E amò profondamente quei modi senza pervenire, però, all’enunciazione di un freddo neoclassicismo.
L’intervista era stata realizzata, però, nel 1971, pochi anni prima della morte del Maestro (1973). Dalla casa di Asolo, Malipiero spiega l'origine del proprio saggio, Il filo d'Arianna, commenta ironicamente il libro di Mario Labroca, L'usignolo di Boboli, e, infine, parla degli autori dei testi delle proprie opere: Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello.
Il libro di Labroca mi ha veramente commosso e ha sollevato tanti, tanti ricordi. Perfino sui miei cani, di cui non vorrei più parlare per non offendere la loro memoria, in quanto che l’animale, quando lo sfruttano come argomento per un articolo, per una conferenza, per un’intervista, mi pare sempre una gran banalità, una roba da ‘cocotte’
Gian Francesco Malipiero
Figlio e “nipote” d’arte (il padre, Luigi, pianista e direttore d'orchestra; il nonno, Francesco, operista stimato da Gioachino Rossini), Gian Francesco Malipiero nacque a Venezia il 18 marzo 1882, e iniziò lo studio del violino nel 1890. Nel 1898, si iscrisse al corso di armonia presso il Conservatorio di Vienna, dove aveva seguito il padre, separato dalla moglie. L’anno successivo, tornò a Venezia, dalla madre, e frequentò il liceo musicale Benedetto Marcello, dedicandosi, in particolar modo, allo studio della composizione. Sulla sua formazione giovanile influì, senza dubbio, il lavoro di analisi e di trascrizione dei manoscritti di Claudio Monteverdi, Ippolito Baccusi, Giovanni Nasco, Alessandro Stradella, Giuseppe Tartini e Baldassarre Galuppi. Nel 1908, a Berlino, seguì le lezioni del tardoromantico Max Bruch, che, pure, al pari di Claude Debussy, influenzò i suoi primi lavori.
Nel 1911, con Ottorino Respighi e altri giovani compositori, diede vita ad una "lega", che si prefiggeva di costruire la nuova musica italiana sul sinfonismo, svincolandola dal melodramma. La fondazione di questo gruppo era stata preceduta, nel 1910, dalla pubblicazione di un suo articolo sulla “Rivista musicale italiana”, Il pregiudizio della melodia, e seguita, l’anno successivo, da un nuovo testo, La sinfonia italiana dell'avvenire, apparso sulle pagine dello stesso periodico, attraverso i quali Malipiero aveva manifestato quel tipo di posizione. Nel 1913, con un nuovo articolo, Del dramma musicale italiano e dei suoi pregiudizi, pubblicato dalla rivista “Musica”, Malipiero espresse una condanna nei confronti della teatralità, di ogni convenzione e, soprattutto, della figura del cantante, colpevole, a suo avviso, dell'enfasi della vocalità.
In quegli stessi anni, vinceva quattro premi per altrettante composizioni e assistette, a Parigi, alla prima esecuzione del Sacre du printemps di Igor Stravinsky: per il giovane compositore fu una sorta di scarica elettrica, che lo spinse a disconoscere la gran parte di quanto aveva prodotto fino a quel momento. A quell’esperienza seguirono lavori che costituirono delle fasi transitorie nel lungo cammino creativo di Malipiero, fino al decisivo Pause del silenzio (1917) col quale prese forma il suo metodo costruttivo. È lo stesso periodo in cui rafforzò il sodalizio artistico con il coetaneo Alfredo Casella, che aveva fondato la “Società italiana di musica moderna” e la rivista “Ars nova”; in cui collaborò con Fortunato Depero e i suoi Balli plastici delle marionette futuriste; in cui mise in scena Pantea, dramma sinfonico per danzatrice solista, voci fuori scena e orchestra. Ma la fama internazionale raggiunse Malipiero il 10 luglio 1920, quando, a Parigi, la messa in scena delle Sette canzoni provocò scandalo e stimolò importanti critici ad occuparsi di lui.
Nel 1923, con Casella e D'Annunzio lanciò la “Corporazione delle nuove musiche”, accreditandosi, a livello internazionale, come esempio di compositore di avanguardia moderata. Nel 1932, fu coinvolto nelle polemiche suscitate dal Manifesto di musicisti italiani per la tradizione dell’arte romantica dell’800, di cui Respighi era il primo firmatario, seguito da esponenti autorevoli della musica del periodo fascista. Si trattò di una dichiarazione antimodernista particolarmente polemica nei confronti suoi e di Alfredo Casella, che gli costarono, ancora due anni dopo, la contestazione di Favola al Teatro Reale dell'Opera di Roma da parte di un gruppo di sabotatori e la censura del regime fascista.
Gli anni dell’occupazione tedesca, vissuti a Venezia, videro Malipiero impegnato a strappare insegnanti e allievi dalle mani dei nazisti e dei repubblichini. Dal dopoguerra fin quasi ai suoi ultimi giorni, l’artista intensificò sia la scrittura di nuove composizioni, sia l’attività di carattere musicologico e memorialistico.
Gian Francesco Malipiero è stato accusato, da più parti, di cerebralità e tecnicismo. Ciononostante, la critica ha colto nelle sue opere un assoluto predominio della melodia, in cui il discorso musicale è elaborato come un continuo brulicare di idee melodiche, spogliate di ogni carico armonico e strumentale, ma, al bisogno, combinate polifonicamente con una grande libertà tonale e un assiduo ricorso a «modi antichi». E amò profondamente quei modi senza pervenire, però, all’enunciazione di un freddo neoclassicismo.
Tutta l’opera di Malipiero sta nell’ambito di due forze essenziali: l’una, il sogno d’un’incantata bellezza, l’altra la distruzione di questo sogno, il suo insensato e inevitabile destino di morte
Silvio D’amico