Le note di sala del quinto concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Le note di sala del quinto concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Ludwig van Beethoven e Gustav Mahler

Le note di sala del quinto concerto di stagione dell'Orchestra Rai
Ludwig van Beethoven
Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, op. 73 Imperatore

Per quarant’anni il pianoforte è stato il plesso solare della musica di Beethoven. Lì Beethoven ha gettato i semi della sua creatività, lì ha trovato la strada per arrivare al proprio stile originale, lì ha fondato le basi del suo successo professionale. Ma lì ha provato anche sazietà per la vita che fin da bambino era stato il suo mondo. L’ultima esibizione pubblica di Beethoven come pianista, infatti, fu l’eccezionale accademia del 22 dicembre al Theater an der Wien, il più grande evento musicale della sua vita. In quel concerto monstre, diviso in due parti e interamente composto di musiche sue, vecchie e nuove, Beethoven sedette al pianoforte per interpretare il Quarto Concerto in sol maggiore, l’ultimo Concerto scritto per sé stesso. Il compositore e critico musicale tedesco Johann Friedrich Reichardt, parlando di questo Concerto «di enorme difficoltà», racconta che
Beethoven ha eseguito tutto con sbalorditiva bravura prendendo i tempi più veloci. Ha davvero cantato sul suo strumento l’Adagio, un capolavoro di autentico e bel canto, con un sentimento profondo e melanconico che ha pervaso anche me
Alla fine del primo decennio del nuovo secolo, però, il pianoforte stava cambiando, così come Beethoven, che si sentiva ormai un compositore piuttosto che un pianista, e cercava una dimensione del suono diversa. All’inizio del 1809, poche settimane dopo la grande accademia beethoveniana, Reichardt descrive il nuovo fortepiano costruito a Vienna da Johannes Streicher
Streicher ha abbandonato la morbidezza, l’eccessiva flessibilità e la paciosa scorrevolezza degli altri strumenti viennesi, e su consiglio e desiderio di Beethoven ha dato ai suoi strumenti più resistenza, più duttilità, in maniera che il virtuoso che si esibisce con forza e possanza sia pienamente padrone dello strumento per fermarsi e ripartire, per premere e sollevare i tasti. Perciò egli ha conferito ai suoi strumenti un carattere più grandioso e multiforme, in maniera che quei virtuosi che non cercano nel suonare una mera brillantezza superficiale trovino in essi maggior soddisfazione
Senza saperlo, Reichardt stava descrivendo anche il Quinto Concerto per pianoforte, che prende forma proprio in quell’anno e sarà eseguito in pubblico per la prima volta a Vienna il 15 febbraio 1812 da Carl Czerny, il più famoso e fedele allievo di Beethoven. Tutte le qualità del nuovo fortepiano di Streicher illustrate da Reichardt sono compendiate perfettamente nell’ultimo Concerto di Beethoven, che ha scelto per questo lavoro la stessa tonalità della Terza Sinfonia cosiddetta Eroica, mi bemolle maggiore.
 
Beethoven, congedandosi dal ruolo di pianista che fino ad allora era stato il suo personaggio principale, quello al quale aveva affidato i sogni e le speranze, le imprese titaniche e le meditazioni più intime, vuole lasciare ai posteri l’immagine di un pianoforte prometeico, di un eroe della tastiera disposto a sfidare gli dèi per amore degli uomini, di un artista araldo di un mondo nuovo. Non può più essere lui a interpretare quel ruolo, vuoi per la crescente sordità, vuoi per l’esaurirsi della spinta a plasmare nel pianoforte la sua identità poetica, ma intende congedarsi da quel mondo con un lavoro che lo ponga definitivamente al di sopra della quotidiana realtà della musica viennese, adatta alle tastiere morbide, flessibili e paciosamente scorrevoli dei suoi rivali. Per celebrare l’eroe pianistico che ormai è stato, Beethoven comincia in un certo senso a raccontare sé stesso. Il Concerto Imperatore, titolo spurio dovuto forse all’editore e pianista Johann Baptist Cramer, comincia con una sorta di fantasia improvvisatoria del pianoforte sugli accordi cadenzali della tonalità principale di mi bemolle maggiore. A quanto pare, questa era la maniera di suonare tipica di Beethoven. Czerny, che ha studiato con Beethoven dall’età di dieci anni e che è stato scelto dal maestro non solo per interpretare il suo ultimo Concerto ma anche per insegnare il pianoforte al nipote Carl, scrive nell’ultima delle sue Lettere sull’insegnamento del pianoforte
Signorina Cäcilie! Lei sa che la Musica è in un certo senso un’arte del linguaggio, attraverso il quale è possibile esprimere i sentimenti e le emozioni che proviamo o che ci commuovono. Allo stesso modo le è noto che su uno strumento musicale, e soprattutto sul Fortepiano, si possono eseguire molte cose che non sono state scritte, né studiate e preparate in precedenza, ma che sono meramente il frutto di un’ispirazione momentanea e fortuita. Questo si chiama Fantasieren o Improvisieren. Tali Improvisationen naturalmente non possono e non devono avere rigorosamente la forma di una Composition scritta; tuttavia la libertà e la spontaneità conferisce loro un fascino peculiare, e molti famosi maestri, come Beethoven e Hummel, si sono particolarmente distinti in quest’arte
Il carattere improvvisatorio, infatti, è una costante del primo movimento, Allegro, che nei momenti cruciali della forma, come l’introduzione o il ritorno dell’esposizione, mette in luce questo stile libero, quasi una fantasia, del solista. L’aspetto ovviamente contraddittorio è che l’improvvisazione pianistica è accuratamente scritta in ogni dettaglio, come se Beethoven, impossibilitato a farlo di persona, volesse imprimere a fondo il marchio della sua personalità, senza lasciare all’interprete molte possibilità di mettere in luce la propria sensibilità. Non a caso, infatti, a fronte di questo carattere improvvisatorio della parte pianistica, Beethoven elimina espressamente l’unico luogo dove per tradizione il solista ha spazio per muoversi liberamente, la cadenza, indicando in partitura con una nota «Non si fa una Cadenza, ma s’attacca subito il seguente». Il riferimento alla Sinfonia «Eroica» non è legato soltanto alla tonalità, ma anche al profilo marziale del tema principale.
Nell’esposizione dell’orchestra, tuttavia, il carattere eroico si mescola a una tinta melanconica, quando il tema dei violini è riformulato sottovoce dal clarinetto, avvolto dal brusìo delle viole divise in due gruppi
Un altro capitolo di questa tensione tra eroismo e malinconia è il rapporto tra il tema principale e il suo, per così dire, antagonista, un tema sommesso e claudicante in mi bemolle minore. Quando il pianoforte riprende l’esposizione, entrando di soppiatto qualche battuta prima del tema principale, sempre con quel carattere d’improvvisazione che abbiamo visto essere la costante di questo primo movimento, il secondo tema è già virato in si minore, e la sua seconda parte, che prima era evocata come da lontano dal suono dei corni, adesso è scandita con piglio virile dall’intera orchestra in si bemolle maggiore. In altre parole, la riesposizione del pianoforte è già un’elaborazione del materiale, prima che incominci la fase dello sviluppo vero e proprio, se per questo lavoro si può parlare di schemi formali in maniera così netta e articolata. Un altro aspetto del Concerto Imperatore, infatti, è la fluidità del linguaggio, che scorre da un episodio all’altro, da un’idea all’altra con la massima naturalezza e coerenza. 

Il movimento centrale, Adagio un poco mosso, è come se provenisse da un altro mondo. La tonalità, si maggiore, non solo è la più remota rispetto a mi bemolle maggiore, ma anche la più estranea al pianoforte di Beethoven, che non ha mai usato questa tonalità nelle Sonate. L’introduzione è affidata a una melodia corale degli archi con le sordine. L’incomparabile bellezza e malinconia di questa introduzione prepara l’ingresso del pianoforte, che dispiega nella mano destra un’incantevole melodia cantabile d’infinita lunghezza accompagnata da un semplice arpeggio della mano sinistra. Qui l’arte dell’improvvisazione non c’è, ma ci sono altre qualità per le quali Beethoven era celebrato come virtuoso, per esempio il legato nel cantabile e la bellezza dei trilli.
L’Adagio trapassa nel finale, Allegro, attraverso una transizione poetica, nella quale il pianoforte anticipa, come fosse un presagio, il tema del Rondo
Il finale esplode come un petardo dalla tastiera del pianoforte, sostenuto soltanto da un pedale dei corni. Il tema del Rondo, in 6/8, ha da un lato la tipica impronta energica e danzante di una giga finale, ma dall’altro anche il carattere di uno scherzo, con lo slittamento degli accenti e il netto contrasto delle dinamiche (fortissimo e piano). Del resto la forma tradizionale del concerto, a differenza della sinfonia, non ha un movimento di questo genere, e quindi si potrebbe immaginare che Beethoven abbia inteso rendere un po’ più sinfonico quest’ultimo lavoro concertante, mescolando nel movimento finale una goccia del carattere dello scherzo. La struttura di questo tema, infatti, è una sorta di miniatura di uno scherzo, con la prima frase di otto battute divisa in due emistichi di quattro, e la seconda, sempre di otto battute, ripartita nello stesso modo ma con il secondo emistichio diviso tra pianoforte e archi, che prolungano l’idea cromatica discendente. In questo ultimo movimento emerge un’altra caratteristica peculiare della scrittura di questo lavoro, l’importanza del dialogo tra il pianoforte e i singoli strumenti dell’orchestra, un rapporto che si può rilevare in maniera particolarmente evidente nella coda, dove la precisa scansione ritmica dei timpani accompagna il pianoforte verso la volatina finale. Ma è l’orchestra, e non il pianoforte, a mettere la parola fine sul lavoro, con un’ultima sferzante ripetizione dell’acciaccatura caratteristica del tema principale.


Gustav Mahler
Sinfonia n. 4 in sol maggiore in quattro tempi per orchestra e soprano solo, “La vita celestiale”

Dopo aver terminato la drammatica e colossale Terza Sinfonia, gigantesca sintesi musicale del pensiero decadente europeo, Mahler inizia a lavorare alla Quarta Sinfonia nell’estate del 1899.
Lo sforzo di portare a termine l’immenso lavoro, non solo musicale ma anche spirituale, aveva prosciugato l’energia creativa del compositore, che sentiva il bisogno di tornare a respirare un’aria più serena e umana, dopo le vertigini metafisiche del pensiero di Nietzsche
Due anni prima, nel 1897, Mahler era stato nominato Direttore dell’Opera di Corte a Vienna, toccando a soli trentasette anni la vetta della carriera musicale. Per ottenere l’incarico, Mahler non aveva esitato a lasciare la religione ebraica dei padri per convertirsi al Cristianesimo. Nel 1898, inoltre, era stato eletto anche direttore musicale dei Wiener Philharmoniker, diventando in pratica il sovrano assoluto della musica viennese. Il povero ebreo di provincia, allievo del Conservatorio, tornava da conquistatore nella città in cui aveva studiato e cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica. I lavori di quest’ultimo scorcio di secolo risentono gli influssi di quest’eccezionale rivincita sociale. L’impronta di Vienna e della sua musica, infatti, rimane impressa in maniera indelebile nello stile lirico e pastorale della Quarta Sinfonia, che rappresenta il punto d’arrivo di un lungo ciclo creativo iniziato negli anni Ottanta con i Lieder eines fahrenden Gesellen

In origine, Mahler aveva abbozzato una sorta di sinossi spirituale del lavoro, prendendo spunto da alcuni temi di Nietzsche che avevano già influenzato la precedente Terza Sinfonia. Il disegno iniziale, tuttavia, subì varie trasformazioni durante la stesura della partitura, che fu terminata nell’estate del 1901.
La Quarta Sinfonia è la sintesi del lungo percorso artistico ed esistenziale compiuto da Mahler nei vent’anni precedenti, e rappresenta il passaggio verso nuovi scenari psicologici e intellettuali
Al posto dell’ultimo movimento, Mahler inserì la versione orchestrale di un Lied scritto nel 1892, Das himmlische Leben, tratto come altri Lieder di quel periodo dalla raccolta romantica di fiabe e leggende popolari Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo). Das himmlische Leben (La vita celestiale) è un inno giocoso alla vita e descrive in maniera infantile il Paradiso, raffigurato come una sorta di Paese della cuccagna in contrasto con la tragica realtà della vita terrena. La prima esecuzione della Sinfonia in sol maggiore, accolta in maniera negativa da critica e pubblico, avvenne il 25 novembre 1901 a Monaco di Baviera, con la voce di Margarete Michalek e l’Orchestra Kaim diretta dall’autore.

Dalla Quarta Sinfonia, benché scritta in un periodo di forti tensioni emotive, spira un’atmosfera serena e di benessere. Mahler sentiva il desiderio di conferire al nuovo lavoro un carattere viennese, in omaggio alla città ritrovata. L’organico torna alle proporzioni dell’orchestra classica, così come le forme musicali impiegate nei quattro movimenti sono consone al linguaggio di Haydn e Beethoven.
Il titanismo, il carattere demoniaco e le inflessioni filosofiche dei precedenti lavori sono messi da parte, in favore di uno stile intimo, più confortevole
Mahler, da grande direttore d’orchestra qual è, dissemina la partitura d’indicazioni espressive molto accurate, fin dalla definizione di ciascun movimento. Ciascuno di essi, per esempio, reca un titolo che richiama il desiderio di calma e tranquillità. Il primo, Bedächtig, nicht eilen, recht gemächlich (Riflessivo, non affrettato, molto comodo), è una forma sonata di carattere lirico, più che drammatico, nella quale i temi principali s’intrecciano in maniera inestricabile e si trasformano in continuazione. In gemächlicher Bewegung, ohne Hast (Con movimento tranquillo, senza fretta), innervato di ritmi rustici e di umorismo popolare, sostituisce il tradizionale scherzo. Nel terzo movimento, Ruhevoll (Calmo), la musica esprime nella maniera più calorosa il lato delicato e sensibile dell’anima di Mahler.
Quest’Adagio meraviglioso, unico anche nella produzione di Mahler, rivela una profonda compassione e un’infinita nostalgia per il mondo di Schubert e dei classici. Non il rimpianto nostalgico per un passato perduto, bensì l’anelito per un’ideale irraggiungibile, quella tensione vitale carica di desiderio che la lingua tedesca esprime in maniera intraducibile con il termine Sehnsucht
L’Adagio si sviluppa su una melodia cantabile romanticamente proiettata sull’infinito, avvolta in un suono orchestrale ricco di sfumature e di colori. La deliziosa ironia del testo del Wunderhorn, trasformato in un grande Lied per voce e orchestra, si rispecchia nella magistrale scrittura dell’ultimo movimento, tutto pervaso da fremiti improvvisi e incantevoli pittoricismi musicali. La coda finale, immersa nella luce sublime e radiosa della tonalità di mi maggiore, incarna la purezza celestiale evocata dalla Sinfonia. Mahler sembra indicare agli ascoltatori che esiste la possibilità di trovare un Paradiso sulla terra, nonostante le miserie e le tragedie della condizione umana. La Quarta Sinfonia traccia la mappa ideale dell’isola felice, che tutti sognano di trovare in questa o nell’altra vita.

Oreste Bossini (dagli Archivi Rai)

Concerto del 21 e 22 novembre Auditorium Rai "Arturo Toscanini" di Torino - biglietti da 9 a 30 euro anche online