Le note di sala del nono concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Le note di sala del nono concerto di stagione dell'Orchestra Rai

Franz Schubert - Luciano Berio, Gustav Holst

Le note di sala del nono concerto di stagione dell'Orchestra Rai
Franz Schubert - Luciano Berio
Rendering, per orchestra

Se ascoltate Radio 3, Rendering la conoscete: è l'"identificativo di rete" e dunque viene usata, in estratto, per ricordarvi che siete all'ascolto del terzo canale di Radio Rai. Non a caso: Radio 3 si sforza ogni giorno di coniugare passato e presente e questo lavoro di Berio, composto tra il 1989 e il 1990 per l'orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, è uno degli esempi più riusciti di come la contemporaneità possa declinare in modo nuovo la musica della tradizione.
Erano anni che mi veniva chiesto, da varie parti, di fare "qualcosa" con Schubert - spiegava Berio nelle proprie note alla partitura - e non ho mai avuto difficoltà a resistere a quell'invito tanto gentile quanto ingombrante. Fino al momento, però, in cui ricevetti copia degli appunti che il trentunenne Franz andava accumulando nelle ultime settimane di vita in vista di una Decima Sinfonia in re maggiore (D 936a). Si tratta di appunti di notevole complessità e di grande bellezza: costituiscono un segno ulteriore delle nuove strade, non più beethoveniane, che lo Schubert delle sinfonie stava già percorrendo. Sedotto da quegli schizzi, decisi dunque di restaurarli: restaurarli e non ricostruirli
L'idea non era infatti quella di completare la Sinfonia come Schubert stesso avrebbe potuto farlo, seguendo una pratica musicologica che Berio aborriva. Il gioco consisteva nell'orchestrare gli appunti e nell'inventare un tessuto connettivo tra uno schizzo e l'altro, creando una serie di passaggi di collegamento - intessuti di reminiscenze dell'ultimo Schubert (la Sonata in si bemolle per pianoforte, il Trio in si bemolle) e segnalati ogni volta dal suono della celesta - che fossero simili al cemento o all'intonaco nudo che viene usato negli interstizi quando si restaura un affresco lacunoso.

«Gli schizzi, redatti da Schubert in forma quasi pianistica, recano saltuarie indicazioni strumentali ma sono talvolta stenografici - spiegava ancora Berio. Ho dovuto quindi completarli, soprattutto nelle parti intermedie e nel basso. La loro orchestrazione non ha posto problemi particolari. Ho usato l'organico orchestrale dell'Incompiuta e nel primo movimento ho cercato di salvaguardare un ovvio colore schubertiano. Ma non sempre. Ci sono brevi episodi dello sviluppo musicale che sembrano porgere la mano a Mendelssohn e l'orchestrazione naturalmente ne prende atto. Infine, il clima espressivo del secondo movimento è stupefacente: sembra abitato dallo spirito di Mahler».

Nascosto tra le pieghe della partitura, c'è poi un altro dettaglio che Berio amava svelare.
Negli ultimi giorni della sua vita Schubert prendeva lezioni di contrappunto. La carta da musica era cara e scarsa, ed è forse per questo che, mescolato agli schizzi della Decima Sinfonia, si trova un breve ed elementare esercizio di contrappunto (un canone per moto contrario). Non ho potuto fare a meno di orchestrare anche quello e di assimilarlo allo stupefacente percorso dell'Andante
Come ha ricordato Oreste Bossini, «Rendering in inglese ha un duplice significato. In primo luogo, indica l'atto di restituire a qualcuno qualcosa che gli appartiene in qualche modo di diritto. Rendere grazie, rendere un servizio, rendere onore a qualcuno. Il secondo significato si divarica a sua volta in due corni, entrambi suggestivi. Nella direzione dello spettacolo significa interpretare, restituire alla vita un testo per il pubblico, incarnando la parola per un attore e creando il suono per un musicista. Nell'ambito della scrittura, invece, il termine sta per tradurre, portare un intero mondo da una lingua all’altra, renderlo comprensibile. Berio si perde, felice, in questo labirinto di significati, che il suo lavoro amorevole e geniale su Schubert racchiude e comprende tutti, in un vorticoso rispecchiarsi d'intelligenza tra il passato e il presente, che forse indica anche il cammino per la modernità futura».

Nicola Campogrande
(dagli archivi Rai)


Gustav Holst
The Planets, suite op. 32
per coro femminile e orchestra

L'importanza di Gustav Holst nella rinascita della musica inglese nel ventesimo secolo non è adeguatamente valutata fuori dai paesi anglosassoni: non solo il suo interesse per il canto popolare e per Purcell e gli altri autori del secolo d'oro della musica inglese non fu senza influsso su Britten e sugli altri autori della generazione successiva alla sua, ma soprattutto la sua opera contribuì a rimettere l'orologio della musica inglese sulla stessa ora della musica al di qua della Manica. Infatti molti compositori inglesi continuavano a ritenere ancora all'inizio del secolo che i grandi lavori sinfonico-corali vagamente ispirati a Händel e Mendelssohn rappresentassero il vertice cui doveva tendere la musica e Elgar stesso non era andato al di là di una tardiva assimilazione del tardo-romanticismo tedesco, mentre per trovare un idoneo termine di raffronto ai Planets di Holst dobbiamo guardare a Richard Strauss, a Stravinskij e agli altri compositori che giocavano un ruolo fondamentale nella musica europea di quegli anni, da Scriabin a Ravel.

Con i principali compositori suoi contemporanei Holst aveva, fra l’altro, in comune il desiderio di ampliare i parametri espressivi della musica, traendo ispirazione da fonti extramusicali ancora mai affrontate: lo spazio cosmico, il misticismo, la filosofia orientale, l'occultismo e le forze imperscrutabili che governano il mondo. In un'intervista a proposito della suite The Planets, Holst spiegò:
Questi sette pezzi sono ispirati al significato astrologico dei pianeti: non c'è nulla di descrittivo, né c'è una qualche connessione con le divinità della mitologia classica dallo stesso nome. Se è necessaria qualche guida alla musica, il sottotitolo di ogni pezzo sarà sufficiente, specialmente se inteso in senso ampio. Per esempio, Jupiter porta allegria nel senso comune del termine ma anche nel senso di un tipo più cerimoniale di allegrezza associato alle festività religiose o nazionali. Saturno porta non solo decadimento fisico ma anche una visione di appagamento. Mercurio è il simbolo della mente
Questa suite orchestrale fu composta dal 1914 al 1916; se ne ebbe un'esecuzione privata nel 1918, un'esecuzione pubblica ma senza iI secondo e il settimo movimento nel 1919 e infine un'esecuzione completa soltanto nel novembre 1920. Il primo movimento, Mars, the Bringer of War, fu composto nei primi mesi del 1914 ed era già completato all'inizio della guerra, quindi, non è giustificato vedervi un riflesso di eventi ancora di là da venire. Il pezzo si apre con un vigoroso ostinato ritmico, che verso la fine si combina con un altro ritmo, sovrapponendoglisi con un effetto di grande presa. Su questo martellamento ritmico Holst scaglia implacabili richiami delle trombe e grandi ondate di accordi metallici: non vi è nulla di bellicoso, se si intende questo termine come un sentimento umano, ma vi è piuttosto come l'evocazione di un idolo terribile o di una enorme macchina minacciosa che l'uomo, dopo averla messa in movimento, non è più in grado di con­ trollare. Archi, ottoni e timpani stabiliscono il colore di Mars; Venus, the Bringer of Peace è invece delineato, con sfumature sapientemente graduate, dai timbri dei legni, dell'arpa e della celesta, mentre la melodia, di una bellezza astrale più che umana, è affidata al violino solo. Anche qui, come in Mars, sono numerosi i passaggi in ostinato ritmico, ma si tratta adesso di un calmo altalenare di accordi di arpa e legni, che sembrano rendere la tenue oscillazione luminosa degli immensi spazi interstellari.

Il terzo movimento, Mercury, the Winged Messanger, con la semplicità della sua idea tematica fondamentale e con la sua leggera vivacità ritmica, costituisce un momento di distensione dopo la complessità dei due pezzi precedenti: è un veloce scherzo in cui arpe, celesta e archi si inseguono in un rapido e perpetuo ritmo di 6/8. Jupiter, the Bringer of Jollity è stato definito "un'ouverture per una festa inglese di campagna", in quanto effettivamente, contraddicendo l'ampiezza e il fascino arcano degli altri pezzi della suite, Holst introduce qui un'atmosfera inequivocabilmente terrestre, sotto forma di saporiti temi di canzoni popolari inglesi. È un pezzo di rumorosa allegria, con un'orchestrazione brillante e melodie seducenti e vigorose.
Saturn, the Bringer of Old Age era il movimento preferito di Holst.
È come una processione che si snodi interminabile: dagli accordi di flauti e arpa, oscillanti con estrema lentezza, si sviluppa un corale che poi svanisce; l'andamento allora accelera un po', la trama orchestrale si dirada e possono così venire in evidenza prima gli incorporei armonici delle arpe, poi i rintocchi di due campane, mentre infine il tessuto sonoro si infittisce nuovamente
La figlia del compositore, lmogen, dopo la prima esecuzione in forma privata del 1918, scrisse:
Gli ascoltatori, perduti nella grande sala scura e a metà vuota, si sentivano invecchiare essi stessi a ogni battuta
Un tema altisonante annunciato da ottoni e timpani serve di base a Uranus, the Magician, che con il suo perpetuo ritmo di 6/4 è un po' una variante da incubo dell'Apprenti Sorcier di Dukas. Ma Holst non prende la magia veramente sul serio: l'ironia affiora evidente nella frase dello xilofono e nel motivo della tuba, ripetuto più volte seppure con ritmi diversi.
Settimo e ultimo movimento è Neptune, the Mystic, un capolavoro di strumentazione raffinata, complessa, quasi esoterica, forse debitrice in qualche punto del Sacre du printemps di Stravinskij, così come l'introduzione di un coro femminile a bocca chiusa ricorda Sirènes di Debussy: l'effetto complessivo resta non di meno originale, anche per le audaci e armoniche via via crescenti e gli accenni di bitonalità. Christopher Palmer ha scritto di questo movimento:
È puro impressionismo, un'immagine del nulla, tutto atmosfera, un presagio tra i più impressionanti dell'infinito

Mauro Mariani
(dagli archivi Rai)